I sonetti dolenti e balordi di Lucetta Frisa

Una recensione di Anna Maria Curci e tre testi

C’è una via per narrare, cantare, attraversare il dolore che prende le distanze dal lamento copioso così come dal cinismo di maniera. Questa è la via scelta da Lucetta Frisa nella raccolta Sonetti dolenti e balordi (Prefazione di Francesco Marotta, CFR 2013). Già il titolo, che dichiara una manifesta convivenza di registri, illumina questi testi della luce di sfida consapevole che la poesia occidentale conosce da Villon.

La lettura e l’ascolto dei testi che la compongono arricchisce l’intuizione iniziale, scaturita dal titolo, di un’ulteriore consapevolezza, quella che riguarda l’eccesso di “luce occidentale”.

La misura, nota caratteristica della poesia di Lucetta Frisa, si rivela frutto di una conversazione, densa, serrata, ma non per questo priva di armonie originali, che evita soluzioni dalla facilità accattivante e affronta, con vista acuta e udito all’erta, la complessità, segno dei tempi che altri temono ed evitano con pari affanno e goffaggine.

La composizione rigorosa nei testi di Lucetta Frisa discende invece da conoscenza e padronanza di arti antiche – coro e contrappunto, per menzionarne alcune. La padronanza di queste è palese nelle sette Sequenze e nel conclusivo Sole dell’insonnia che compongono la raccolta. Conoscenza e padronanza si affiancano, inoltre, al coraggio nello scarto rispetto alla tradizione, così come avviene nella scelta del modulo compatto per il sonetto. Ricerca ed espressione trovano qui approdi significativi e, insieme, uno slancio a proseguire il percorso di esplorazione del mistero, non certo resa della ragione, con tratti più o meno folkloristici, ma sicuro baluardo alla barbarie che si scopre dentro e fuori di sé, punto saldo di partenza e ripartenza:  «Per vivere ho bisogno del mistero» dichiara, nella sequenza del mistero, Lucetta Frisa. Più avanti, la citazione di Novalis posta all’inizio della sequenza dell’inconclusione («Dove andiamo? Sempre a casa») dà conto di inesauribilità e complessità – non a caso di partenza e ripartenza si è scelto di parlare in questa breve nota – di natura e meta di tale esplorazione. (amc)

 Per vivere ho bisogno del mistero
i sogni mi difendono dai barbari
che sempre hanno ragione con l’arma
della storia che àltera i colori
sfumati penso a Tanizaki e all’ombra
su tazze laccate e carta opalescente
per distinguere l’Oriente e preservarlo
dalla troppa luce occidentale.
Oscilla il pipistrello rovesciato
lasciamolo dov’è alla sua saggezza
nient’altro c’è da dire alle creature
al centro di sé sempre padrone
delle latitudini d’ombra e luce.
Noi, i barbari arrivati da un pezzo. *

(da: sequenza del mistero, p. 24)
.
In Garfagnana esiste un’altra Kitez
sommersa da una diga artificiale
di giorno il calmo lago azzurro è chiuso
di notte s’alzano dal fondo i fabbri
le loro cupe ombre sull’incudine
battono coi martelli e chiamano
gli antichi tempi di ferro a riaffiorare.
Nessuno risponde. Una civetta
stride pianissimo poi si nasconde
sotto la luce e i suoni troppo umani.
Tornerà tutto alla norma, nel presente,
piatta immagine al plasma video del niente.
acqua stagnante di passato e futuro.
Solo nel sogno si traverserà il fondo.

(da: sequenza del sogno, p. 30)
.
Orrore le ultime parole di Kurtz
dopo di lui ancora orrore e orrore
quanto pesa il nero che s’accumula
su altro nero o lo strato sembra uguale?
È morta la mia eternità dice Vallejo
ed io qui sto vegliandola. L’eternità
sta nel vino, coppiere, a me vèrsane
l’ultima goccia – risponde Hàfez dal buio.
Amiche tanto vicine queste voci
basta toccare certi punti dell’aria
e giungono a bisbigliarci all’orecchio
un solidale dolore sgomento
che un po’consola mentre sprofonda
il loro brusìo nel grande Suono.

(da: sequenza dell’inconclusione, p. 49)

——–

* Di questo sonetto esiste una versione in tedesco:

Zum Leben brauche ich das Geheimnis
die Träume schützen mich vor den Barbaren,
die mit der Waffe der Geschichte, die
die nuancierten Farben fälscht, immer Recht
haben ich denke an Tanizaki und an den Schatten
auf lackierte Tassen und opaleszentes Papier
um den Orient zu unterscheiden und ihn
vor dem maßlosen abendländischen Licht zu bewahren.
Es schwingt die Fledermaus, die kopfüber hängt
lassen wir sie hängen, wo sie ist, seiner Weisheit überlassen
nichts Anderes ist den Lebewesen zu sagen,
die im Mittelpunkt von sich selbst immer die Herren sind
der Breiten aus Schatten und Licht.
Wir, die schon längst gekommenen Barbaren.

(traduzione in tedesco di Anna Maria Curci)

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Lucetta Frisa è poeta, traduttrice, lettrice a voce alta. I suoi libri di poesia: La Follia dei morti (Campanotto, 1993), Notte alta (Book, 1997), L’altra (Manni 2001), Se fossimo immortali (Joker, 2006) e Ritorno alla spiaggia (La Vita Felice, 2009), L’emozione dell’aria (CFR, 2012). Ha tradotto vari autori francesi, tra cui Henri Michaux (Sulla via dei segni, Graphos, 1995), Bernard Noël (Artaud e Paule, 2005) e L’Ombra del doppio, 2007) e Alain Borne (Poeta al suo tavolo, 2011), tutti nella collana “I libri dell’Arca“, che cura insieme a Marco Ercolani per Joker edizioni. Suoi testi sia in riviste (Poesia, L’Immaginazione, Pagine, Nuova Prosa, La Mosca di Milano, La Clessidra, Italian Poetry Review, ecc.) sia in antologie come Il pensiero dominante (a cura di F.Loi e D. Rondoni, 2001), Genova in versi (a cura di S. Verdino, Philobiblon, 2003), Trent’anni di Novecento (a cura di A. Bertoni, Book ,2005), Altramarea (a cura di A. Tonelli, Campanotto, 2007), Poems from Liguria (a cura di R. Bertoni, Manni, 2009, con traduzione inglese). Collabora con saggi, racconti e poesie a diversi siti web.
Pubblica racconti per ragazzi sul quotidiano “Avvenire” e note critiche sulla rivista di letteratura giovanile “LG. Argomenti”. In prosa ha scritto: Sulle tracce dei cardellini, Joker, 2009, e La torre della luna nera e altri racconti, Puntoacapo, 2012. Sempre in prosa, insieme a M. Ercolani ha pubblicato: L’atelier e altri racconti (Pirella, 1987), l’epistolario fantastico Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000), Anime strane (ibidem, 2006) e Sento le voci (La Vita Felice, 2009). Questi due ultimi sono stati tradotti in francese nel 2011 per le edizioni États civils di Marsiglia.
Finalista ai premi “Montale” e, più recentemente, al “Montano” e al “Merini”, ha vinto il Lerici-Pea (2005) per l’Inedito e l’Astrolabio 2011 della critica per Ritorno alla spiaggia e la sua opera complessiva.