I poeti di ‘Periferie’ letti da Achille Serrao

di NICOLA FIORENTINO

Lodevole iniziativa quella di ripubblicare in volume le note critiche del Direttore apparse nella rivista Periferie nel’arco dell’ultimo decennio. Lodevole perché ora si può ammirare sincronicamente il panorama poetico come nelle letture scandite dai vari tempi della rivista appariva come un mosaico dalle tessere belle, sì, e preziose in se stesse, ma scombinate e sparpagliate. Sicché in questa veste il pensiero critico serraiano risulterà più ‘leggibile’ nella sua ‘sistematicità’, nonostante il ritegno del nostro, che definisce le sue soltanto ‘letture’, "non analisi in senso stretto". E così aggiunge: ”Vi è infatti assente una metodologia univoca, un approccio ai testi non sempre cauto, spesso una generosa ingenuità e, su tutto, un sufficiente grado di immedicabile fantasia”. Certo, qui stiamo parlando di critica militante, con tutti i rischi che essa comporta. Ma la personalità culturale e poetica di Serrao è tra le più affermate in Italia ed all’estero e, dunque, la sua pronunzia può validamente essere assunta per un proficuo dialogo tra poeti e lettori sui messaggi della poesia, nonostante non sia mancato chi, in questi ultimi tempi, ha: parlato dell’inutilità della critica.
Sia pure con diverse articolazioni interne, Poeti di Periferie si suddivide in una prima parte dedicata ai poeti in lingua, ed in una seconda riservata alla poesia in dialetto: quest’ultima contiene un prezioso saggio intitolato La poesia neodialettale: una realtà ineludibile, in cui lucidamente l’autore passa in rassegna le più importanti e spesso controverse problematiche dell’argomento in questione.

In particolare, schematizzando al massimo, possiamo così riassumere: si sente spesso ripetere – rileva Serrao – che i. dialetti sono in via di estinzione e, pertanto, si rivela assolutamente ingiustificabile la forma espressiva che di· questi si serve; però non si è voluto vedere che da un trentennio, ormai, “si assiste ad un rigog/io creativo meditato, colto, seguito spesso in molti autori dall’abbandono definitivo della poesia in lingua in cui erano impegnati; perché mai come in questi anni è apparso davvero il dialetto, secondo una profezia desanctisiana, il nuovo semenzaio delle lingue letterarie”. Il secondo dissenso al pieno riconoscimento della poesia vernacolare – prosegue Serrao – “è opposto da alcuni studiosi e da formulette ostative quali la dialettalità negata, che individuerebbe l’atteggiamento di chi, pur possedendo la necessaria attrezzatura, respinge la tentazione di scrivere poesia dialettale, ritenendo che i giochi vadano giocati, più difficilmente e rischiosamente in italiano: come si dovessero solo allo strumento linguistico adottato connotazioni·di poesia e non alle capacita creative del poeta e all’uso che egli è in grado di fare del proprio idioma”. Il terzo ingombro, poi, “è rappresentato dall’assunto, ,miope e anacronistico, secondo cui si assisterebbe ad una pratica della poesia in dialetto come scorciatoia o abbandono sentimentale. Che davvero rivela l’assoluta ignoranza del fenomeno nelle sue articolazioni”.
Di qui in avanti, con tutti gli approfondimenti opportuni nelle varie ramificazioni del discorso, il saggio procede tracciando le linee evolutive della neodialettalità dal 1952 (cioè dalla pubblicazione dell’antologia di Dell’Arco e Pasolini) fino ai nostri giorni:Da allora in poi- com’è noto – il senso precipuo di quella svolta venne riposto nella concezione di una poesia che – per dirla con il compianto Amedeo Giacomini., si facesse, “adulta e finalmente alta, tale da contare in definitiva più come capitolo del ’900 letterario europeo che nella surrettizia letteratura locale”. Contemporaneamente – continua Serrao si richiese allo strumento linguistico di “sciogliersi dai vincoli della tradizione popolaresca, impressionista, folklorica, per volgersi ad esiti di ‘cultura’ prevalentemente espressionistici, autorappresentarsi come possibilità poetica non meno aulica della poesia in lingua”.

Da tali premesse discende tutta una serie di considerazioni, che per ragioni di spazio non possiamo riferire ma che si affiancano – è doveroso sottolinearlo – alle speculazioni teoriche dei più accreditati storici ed esegeti della materia. Tra l’altro, ci piace evidenziare come – diversamente da altri studiosi, che riduttivamente, hanno puntato tutto sulla dimensione soggettivistica della poesia neodialettale – Serrao non prec1uda le porte alle motivazioni sociologiche, fermi .restando i presupposti delle nuove poetiche. In ciò d’ accordo con Franco Brevini, il quale fa notare che, dal dopoguerra in poi, si è verificato nel nostro Paese un evento decisivo: L’accesso alla cultura di larghi strati precedentemente esclusi, con radicate abitudini di dialettofonia”.
In conc1usione – afferma l’autore è – “difficile tracciare linee prospet­tiche di svolgimento della contemporanea poesia in dialetto, orientative nella fitta tramatura di voci che attraversa questo inizio millennio con proposte di lettura diversissime”.Può ritornare utile individuare “alcuni grandi filoni nei quali inscrivere, senza alcuna pretesa di definitivo ordinamento della materia, la creatività dialettale in corso. e quella appena pregressa".
Coerentemente con le formulazioni della sua teorica si muove il Serrao critico. Confluisce ecletticamente nel suo laboratorio un po’ tutta la riflessione critica del Novecento, a cominciare dalla nuova stilistica per proseguire con il formalismo russo, lo strutturalismo, la critica semio­logica. Non saprei dire quanto tale sintesi sia frutto di. una riflessione condotta in termini scientifici o di una spontanea assimilazione da parte di un temperamento intuitivo che da una vita lavora alla forgia della poesia. Ma importa poco. Sono i risultati che contano. Convinto com’è che tutto è segno nella poesia, che niente è inerte o indifferente, Serrao e attento alla scelta dello strumento linguistico, alle dinamiche dei registri ed alle loro interrelazioni, agli slittamenti semantici, alle simbologie, alla struttura complessiva dell’opera e delle sue proporzioni, al potere evocativo degli oggetti, alla ricostruzione di tutti i piani significanti dell’opera, al fonosimbolismo, alle risorse retoriche di ogni tipo, alle impronte·della creatività individuale che si confronta .con l’istituto ·linguistico, alle dinamiche delle combinazioni formali.

Qualche esempio, scelto a caso. A proposito di “Framezzo ar maruame” di Rosangela Zoppi leggiamo: “Verso libero, ma non sciolto, dato it ricorso, di tanto in tanto, alla rima. L ‘isotopia stabilita da questa a livello di suono, ha il compito di creare un immediato rapporto di senso fra i termini rimanti, talvolta divaricandoli, cioè creando fra le parole in rima scarto e tensione espressiva,·più··spesso avvicinandoli, mostrandone le relazioni allusive”.
Ma, soprattutto, quel che incanta nella lettura serraiana è l’attenzione continua; direi quasi testarda, alle- finalità ed alle funzionalità delle invenzioni poetiche, con un “riporto dialettico costante all’io, al substrato coscienziale di tutti i fatti esperienziali” (e qui ripeto una dizione dell’autore usata a proposito di Nelvia Di Monte ma che si può estendere ad una prassi generalizzata delle analisi serraiane). Altro,esempio stralciato dalla recensione a “Dentro a millanta Rome” di Mauro Marè: “L’effrazione di parola sottende il disagio di vivere, il profondo scontento, i temi insomma della poesia mareiana; sostanzialmente: la solitudine degli uomini invischiati nella monotona circolarità degli avvenimenti e in un destino senza riscatto, la citta-inferno, l’amore anch’esso senza destino”. Se, dunque l’obbiettivo ultimo è l’individuazione del nucleo lirico più profondo, che poi magicamente si offre alla sintonia con il lettore, allora si capisce la riluttanza del Nostro a ricercare le famose ‘ascendenze’: operazione che troppo spesso viene condotta con irresponsabile superficialità e, dunque, nelle sue discutibili formulette, nei suoi inveterati priegiudizi, finisce col negare ogni originalità ed ogni evoluzione dell’arte.

Nella sua pratica artistica, con l’escavazione nei recessi più profondi della vita e della psiche, Serrao propende per la ricerca, per lo sperimentalismo. Ma tale predilezione non gl’impedisce di apprezzare la purezza della parola quando sgorga da una sensibilità incontaminata. A proposito del suo amico così si esprime: “La parola di Luciani mostra scarsa disponibilità ad assumere sensi altri per sovrapposta semantizzazione o per metaforico slittamento semantico; mostra, al contrario, una attitudine a conservare il senso originario, vivificato per se stesso e quasi gelosamente nella ‘discrezione’ del racconto”. Tra l’altro, non è frequente nella critica attuale l’attenzione per il “sentimento”, a torto o a ragione ritenuto un arnese retrò di marca ottocentesca. Ma quando vi si imbatte, ecco come il Nostro si esprime: “Ne emerge un dolore asciutto, e severo che si placa, ora sulle cadenze di una serena malinconia, ora nel dolce rifugio della memoria”.

Ma basta così. Ci sono in Italia ottimi poeti che, però, rimangono esclusi dalla logica della grande industria editoriale. Periferie li ha ascoltati. Serrao ha mischiato la sua voce alla loro e, ripetendo un pensiero di Marina Cvetaeva, ci ha detto che “poesia significa far conoscere qualcosa o qualcuno che nell’uomo vuole disperatamente essere”. Sono voci di una umanità dolorante, dilacerata, relegata in un’isola deserta ed aspra, ma sono forse le uniche voci autentiche contro il falso sistemico, totalizzante, che sta montando come livida marea.