Franco Brevini, ne La poesia in dialetto dalle origini al Novecento (collana I Meridiani, Mondadori 1999), del secolo appena concluso antologizzava i poeti nati prima del 1940 e degli altri, esclusi per ragioni anagrafiche, presentava una panoramica nell’introduzione al terzo volume. Considerando che l’“officina della poesia dialettale è in pieno fermento e, contro ogni previsione, anche le giovani generazioni sono attive”, Brevini suggeriva a chi volesse farsene un’idea di “scorrere l’informatissima antologia Via terraallestita da un profondo conoscitore come Achille Serrao”.
Chi dunque vorrà continuare l’opera e ricostruire l’apporto che i poeti e la poesia in dialetto, ma non solo, hanno dato alla letteratura negli ultimi vent’anni, a cavallo di due secoli, dovrà necessariamente fare riferimento a iniziative editoriali come quella appena citata (Via Terra, Campanotto 1992) o questa nuova pubblicazione Poeti di Periferie, una antologia di testi poetici e di presentazioni critiche che riguardano circa sessanta autori. Nella breve avvertenza Achille Serrao espone, tra le linee guida del suo più che decennale lavoro, “la necessità di dar prove di un fare poetico appartato, quello cui le storie letterarie e le cronache critiche di rado rivolgono attenzione (…) sollecitando in volonterosi interpreti l’idea di una “riscrittura” di crestomazie e storie della letteratura”. Il curatore sottolinea l’assenza di una metodologia univoca, in realtà sia l’opera in sé, sia l’approccio critico sono coerenti rispetto all’obiettivo di “garantire spazi di visibilità alle migliori voci poetiche, in lingua e in dialetto”.
L’interesse per la poesia senza preclusioni sul codice usato, l’apertura alle diverse tipologie espressive, l’attenzione verso autori noti come per gli esordienti, dando a costoro un credito basato sulla qualità di una scrittura che avrebbe fornito in seguito un sicuro riscontro: tutte queste caratteristiche di ‘critico sul campo’ hanno consentito a Serrao di restare fedele ad una delle principali finalità da lui assegnate alla critica letteraria, “testimoniare lo stato degli atti”, obiettivo perseguito con un costante lavoro saggistico, confluito su riviste e antologie. Ritrovare qui riuniti molti testi (soprattutto presentazioni di libri, recensioni e uno studio critico) dà modo di percepire la profonda unità di intenti e la precisione di strumenti metodologici del curatore, così che di ciascun autore antologizzato vengono colti gli snodi tematico-espressivi ed evidenziati sia la singolarità stilistica, sia il suo relazionarsi – per opposizione o somiglianza – con altre opere, in un costante confronto con la critica letteraria più attuale.
Alla prima sezione, Poesia in lingua, segue una più ampia sezione su Poesia in dialetto, a cui Serrao premette un saggio introduttivo che, fin dal titolo, delinea l’inequivocabile prospettiva: La poesia neodialettale: una realtà letteraria ineludibile. Assodato che la poesia in dialetto occupa un ambito letterario che è ormai impossibile misconoscere e individuate le caratteristiche e le differenze tra la poesia dialettale della prima metà del ‘900 e quella neodialettale successiva a Pasolini, il curatore segnala alcuni filoni utili per orientarsi lungo la “proliferata e proliferante poesia in dialetto”. Il primo è rappresentato da esperienze liriche con influssi crepuscolari e simbolisti, più vicine alla lirica in lingua italiana. Il secondo, meno frequentato, segue una matrice narrativa e comico-realistica (ma “le traiettorie possono convergere”, dando spazio a nuove possibilità). Il terzo è più sperimentale e “il dialetto si apre a fucina di commistioni lemmatiche, di urti fra registri, addirittura di sorprendenti neologismi”. Di questa “disseminazione” delle poetiche dà conto Serrao, come fosse un mosaico che nel suo lavoro critico è venuto componendo: ogni presentazione di un autore ne è un tassello, autonomo nella sua peculiarità ma indispensabile per fornire una panoramica sullo stato della poesia neodialettale odierna.
C’è un altro aspetto che va evidenziato, un filo sotteso – discreto ma resistentissimo – di corrispondenza tra le persone attraverso la poesia, per cui il lavoro del critico letterario non è mai distaccato o isolato ma si situa dentro la condivisione di uno spazio culturale di vita, dove è importante la capacità di ascolto, di amicizia, di sostegno, di impegno e presa di posizione verso avvenimenti culturali in senso ampio. Come la creazione del Centro di documentazione della poesia dialettale “Vincenzo Scarpellino” presso la biblioteca Gianni Rodari di Roma. O l’attenzione al paesaggio, spazio di vita reale e di scrittura, testimoniata dalle sezioni I poeti per il paesaggio (“poeti chiamati al capezzale di un organismo crocifisso, a brandelli”)e Poesia a Roma, dove si inserisce anche l’autore, che confessa di sentirsi a suo agio in periferia: “mi ritrovo in pace con una vita intera di disamori urbani: qui mi acclamo cittadino di un’area barbara metropolitana che corrisponde a ciò che sono quando vivo e quando sono in versi”.
Chiudono il libro due “Ricordi di…” Walter Galli e Amedeo Giacomini, a ricordare al lettore la valenza etica della poesia, la sua capacità di mantenere attivi i legami più profondi con la vita, le persone, il futuro: “Il poeta non muore: torna. Identico, trasognando per sé e per quelli che confidano nel sogno della poesia. Torna con la sua parola e una stretta di penna. Noi che azzardiamo, sempre, sangue e anima in gioco, restiamo in attesa”.