Dialetto e poesia nella Valle dell’Aniene

dalla presentazione di Ugo Vignuzzi

Vincenzo Luciani ha colpito ancora! A brevissima distanza dalla pubblicazione di Le parole recuperate. Poesia e dialetto nei Monti Prenestini e Lepini (che a sua volta seguiva La regione invisibile. Poesia e dialetto nel Lazio. Tuscia meridionale e Campagna romana nord-occidentale, sempre per le sue cure, insieme con quelle della mia brava allieva Silvia Graziotti), ci offre il frutto di questa sua nuova fatica, con questo volume dedicato alla Valle dell’Aniene. Per un “addetto ai lavori” verrebbe da dire “scusate se è poco!”. Infatti, come ho avuto modo di far osservare già da molto tempo (cfr. almeno il mio studio Italienisch: Areallinguistik VII. Marche, Umbrien, Lazio, in G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt (Hrsgg) Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), vol. IV, Tübingen, Narr, 1988, pp. 606-42), siamo qui non solo nel “cuore” del “Lazio dialettale”, ma anche in una delle aree “di elezione” dei nostri studi dialettologici (e non soltanto professionali!). Già quasi ottanta anni fa, nel 1930, la Società Filologica Romana nella benemerita collana dei Dialetti di Roma e del Lazio aveva scelto la Valle dell’Aniene quale area di avvio dell’indagine a tappeto sui dialetti della regione (che poi purtroppo non avrebbe avuto séguito): è il fondamentale volume di Merlo, Clemente, La Dama di Guascogna e il Re di Cipro, novella di Giovanni Boccaccio (Decam. I, 9), tradotta nei parlari del Lazio, I, Valle dell’Aniene, trascrizioni fonetiche con commento linguistico di Clemente Merlo, con 36 traduzioni per ben 31 località.

Nel 1905 Oscar Norreri aveva dato alle stampe il pionieristico e ancor oggi benemerito Avviamento allo studio dell’italiano nel Comune di Castelmadama, uno dei “manualetti” che dovevano servire, secondo le magistrali linee tracciate da Ernesto Monaci, a insegnare la lingua nazionale muovendo dalla descrizione della grammatica dialettale (e nel 1907, sempre in quella sede, A. Lindsström aveva pubblicato Il vernacolo di Subiaco); nel 1922 era apparsa la Fonologia del dialetto della Cervara in provincia di Roma, di Clemente Merlo (e ancora negli anni ’20 si sarebbero svolte le inchieste per l’AIS a Palombara Sabina).

Un’area cruciale per le ricerche dialettologiche che, come già sottolineavo vent’anni fa, nel secondo dopoguerra avrebbero tratto ricchissimo incremento e frutto dall’operosità di “appassionati”, rimarchevoli per quantità e qualità (Giovanna Mastrecchia, Veronica Petrucci, Franco Sciarretta, Alessandro Moreschini, Emilio Liberati, Giacomo Orlandi).

Ora Luciani, a distanza di più di un secolo dai primi studi linguistici, ci offre, da par suo, un panorama approfondito delle testimonianze dei dialetti di 26 comuni della Valle, non solo documentarie ma anche, e soprattutto, letterarie.

Il volume è costruito, canonicamente, sul modello dei precedenti: al “Panorama dell’area”, segue un’amplissima disamina della “tipologia dei testi dialettali”, con i “vocabolari e le grammatiche”; i “proverbi e i modi di dire”, i “toponimi e i soprannomi” (va sottolineato, con vivissimo plauso, il sistematico ricorso da parte di Luciani alla documentazione informatica accanto a quella su supporto cartaceo, vd. più in generale la “webgrafia” in fondo al volume); “filastrocche e cantilene, indovinelli, giochi, ricette ed altro” (scongiuri, preghiere; e poi ancora canti, gastronomia, con relative feste e sagre); quindi i “testi in prosa”, distinti in testi di teatro e racconti, e finalmente i “testi di poesia”, quasi il clou del volume a compimento del dittico del titolo, “dialetto e poesia”.

Una poesia che muove anche da molto lontano nel tempo: per Agosta G. Panimolle ci tramanda una lauda sulla Passione (messa per iscritto dalla madre) che sembra conservare elementi molto arcaici (o almeno molto “orali”); per diverse località abbiamo testimonianze ottocentesche, ma nel caso della “Chiatta mea” di Arsoli l’ascendenza del modello pare proprio risalire (per vie che ignoriamo al momento) al massimo poeta dialettale reatino sei-settecentesco Loreto Mattei; e poi, nel Novecento, tantissima poesia e molti poeti – certamente, alcuni di maggiore altri di minore “impatto” ma tutti di notevolissimo significato nella prospettiva di un modello culturale che si fa “sistema”, fra “testimonianza” e “rappresentazione” (si pensi a es. ad Achille Pannunzi, l’“indimenticato poeta-centravanti” e al suo Na rattatuglia ’e versi in dialetto di Subiaco).

Ma il poeta, come scrive Luciani, “più rappresentativo di quest’area per forza poetica e capacità espressiva, meritevole di una maggiore notorietà sia in campo regionale che nazionale” è Alessandro Moreschini, poeta in italiano e in dialetto di Castel Madama: e ce lo conferma a pieno in tutta la sua portata un testo antologizzato da Luciani quale “Nònnemo” (Spissu / a ll’appummissu, / a la piazza d j-ulimu, / stea l’ore mutu a vardà / le cose e la ggènte che jea e venea / co ju sicaru ’m-mocca. // Ca’ unu, passènno, / ju chiamea pe nnòme… // Issu ’i responnea co j-occhi / e sbattea ju pède pe ttèra / come pe’ ddine: / So’ vivu, / ancora ce stòne), ma anche la poesia sui soprannomi ha andamenti che in intertestualità sorgiva sembrano rinviare a una scrittura largamente presente nella poetica novecentesca quale l’Antologia di Spoon River.

Se poi ricordiamo di Moreschini anche l’amplissima attività di studioso (e, si direbbe forse meglio, di promotore e difensore della cultura) dialettale, culminata con i tre volumi dell’Avviamento allo studio del dialetto nel Comune di Castel Madama (Il Centauro, 2005), veramente splendidi e paradigmatici, possiamo davvero concludere che con lui (e con le tante altre figure di studiosi e appassionati, amorosamente indagati, enumerati e antologizzati da Luciani) si è ormai compiuto un ciclo, avviatosi in concomitanza e per effetto della conseguita Unità, ma realizzatosi nel corso del Novecento per cui lo studio della lingua e della cultura locali, dalle premesse “subalterne” a quelle della lingua nazionale (l’Avviamento allo studio dell’italiano nel Comune di Castelmadama del maestro Oscar Norreri nel 1905) è ormai giunto al conseguimento della sua par condicio (teste appunto l’Avviamento allo studio del dialetto nel Comune di Castel Madama di Moreschini) con la lingua nazionale, di cui anzi si nutre ed è nutrito, socialmente, culturalmente e intellettualmente, nella delicatissima dialettica, in diacronia delle radici e nella sincronia della contemporaneità, di questa nostra meravigliosa “Italia delle Italie”.

Ancora una volta, per averci descritto tutto questo, e per la sua nuova, amorosa fatica, grazie di cuore, doverosamente da parte di ogni italiano, a Vincenzo Luciani!

Ugo Vignuzzi