Dell’incanto e del dolore in Bestiario dell’istante di Maria Grazia Cabras

Recensione di Maria Gabriella Canfarelli

Restare abbagliati, sorpresi, è dir poco. Maria Grazia Cabras, autrice di un libro di versi dal singolarissimo titolo Bestiario dell’istante (Roma, Edizioni Cofine, 2017) scritto in duas limbas (sardo-nuorese e italiano) già dalla prima sezione, All’Aperto, presenta uno spazio animato, un esterno pullulante di voci, battiti, palpiti di vita e sogni letargici delle creature animali, emblema e specchio della nostra vita. E quale esempio più calzante, illuminante è riconducibile alla condizione umana se non il sonno del ghiro che nel dormire sogna, parla nel sonno, dà voce all’inconscio? Eremitanu / in lana ’e gráriu / rodende morta bida (Romito / nella lana di balbuzie / erodo vita spenta).

Un istante, versi brevi (distici, terzine, quartine) per i quali l’autrice sceglie il codice linguistico nativo e la cifra affabulatrice, cantabile, densa di sfumature ritmiche e lessicali che aprono varchi, generano figure, situazioni, connessioni con la nostra esistenza. Ecco dunque il merlo (Mèrula), la farfalla (Mariposa), il picchio che scandisce il tempo: Mistura ʼe boches / zoccande uguales partituras / pùnghere s’áttimu (Mescita di voci / battendo uguali spartiti / pungere l’attimo); e i pipistrelli (Tutturreddos), uditorio di millenni, la lucertola, detta codamagica (Tilicherta coamàzica) e il ballo tondo delle cicale (Chíchelas) e lucciole e api, il muflone, la civetta occhiotondo (S’istria ocritunda) simbolo della sapienza. Uccello notturno che vede ciò che accade nell’intricata boscaglia (la vita oscura) che oltre, come del resto è la poesia-occhio onnivedente tanto all’aperto che in se stessa, un viaggio, un incessante andare/tornare per e da cunicoli-nessi.

Attraversando L’Angusto del tempo umano, la terra che siamo e in cui stiamo (immersi nell’ombra generatrice) il pensiero e la parola virano in una sorta di malinconia che a poco a poco si tramuta in dolore: genesi d’ombra è la terra che partorisce figli, è sciolta briglia la muffa / sul muro l’erba che affiora / balbetta in forma di doglia. In questa seconda sezione (in italiano) il tempo / morde il dorso delle cose, il favoloso si intreccia alla realtà oggettuale (La carta la tana / la ratio contraria / Alice e lo speculum) e alla materialità corporea: incanto e dolore coesistono, ché feconda è l’inquietudine (…) / del viaggiatore il paradosso / ondulazione giubilante / glossa nella ruota. Il senso della sacralità dell’esistenza è affidato parole-chiave quali granello, confine, naufragio, bende, bivio, caduta, sparizione, frammento, e altre disseminate nei testi: sono reliquie – parole indicative ciò che rimane di noi, quando ci avvolge la perdita pura, il seme / vastità senza ritorno/non più abitabile il giorno /(…). Condannati a remare, galeotti (stipate piaghe nelle stive) in cerca di riscatto e libertà dal giogo, pena che si ripete e si ripeterà di generazione in generazione, ostaggio altrove / nel tempo a venire perché (splendido omaggio a Grazia Deledda) siamo Le canne / l’umano incavato dal vento. La ragione, questo logos scorsoio e corrosivo, non basta a se stessa ma di se stessa è specchio, l’interrogante e l’interrogata da che Riflesso l’esilio / (…) /e la solitudine / stupore che ci spiega, o interroga.

Ma quale risposta, se non altri e altri cogenti interrogativi, altri se troppi conflitti / vanno a capo / e sempre si rigenerano / ci scovano su quale limitare / affiorano e ancora/ancora premono? / Nel piatto mondo / malato di non-cibo / la plètora / nel cucchiaio fame rappresa.

La poesia forte, magnifica di Maria Grazia Cabras, seminagione di chicchi di grano sotto la zolla, scorza di terra sensibilmente sollevata dopo (o nonostante) il gelo, rimanda all’occhiotondo sapienzale, alla S’istria ocritunda che dall’alto, dal fitto intrico dei rami esplora il dentro e il fuori, l’Aperto e l’Angusto del bosco, dall’una all’altra maiuscola A.

 

Maria Grazia Cabras è nata nel 1954 a Nuoro. Ha conseguito il diploma in Neogreco presso il Dipartimento di Lingue Straniere dell’Università di Atene, città in cui ha vissuto per molti anni lavorando come interprete e traduttrice. Ha pubblicato i volumi di versi Viaggio sentimentale tra Grecia e Italia (2004), Erranza consumata (Gazebo, 2007), Canto a soprano (Gazebo, 2010), Bambine meridiane (Gazebo, 2014) e il libretto musicale Fuochi di stelle dure, cinque ballate e un attittu (coautore Loretto Mattonai, Gazebo, 2011).Ha tradotto il racconto di Alexandros Papadiamantis Τὸ vησὶ τῆς Οὐρανίτσας [Tó nisí tis Ouranítsas – L’isola di Uranitsa] dal Neogreco in Sardo (Ed. Papiros, 1994). È redattrice della rivista “L’area di Broca”.

 

Maria Gabriella Canfarelli

 

Pubblicato l’8 dicembre 2017