Dedichiamo una via di Roma al poeta Vincenzo Scarpellino

Avviata una petizione in un incontro sulla sua poesia il 9 dicembre 2009

Dieci anni fa il 20 dicembre 1999, nella sua casa in via Tovaglieri a Tor Tre Teste si spegneva il poeta romanesco Vincenzo Scarpellino (Roma 1934-1999) mentre stava per pubblicare Foja ar vento, uscito postumo nel 2000 (Edizioni Cofine, Roma).
Il 9 dicembre 2009 presso la Biblioteca Rodari in via Tovaglieri 237a nel corso dell’incontro dedicato al ricordo di Scarpellino a 10 anni dalla sua scomparsa, ha preso il via la raccolta di firme per Intestare a lui una via del quartiere. La petizione, promossa dal Centro di Documentazione della poesia dialettale italiana (a lui intestato) è rivolta al Sindaco di Roma, all’assessore capitolino alla Toponomastica e al VII municipio.
Le prime firme sono state apposte dai numerosi partecipanti all’incontro, primi firmatari l’assessore alla Cultura del VII municipio Leonardo Galli (che nel suo intervento ha dichiarato la piena adesione del Municipio), i direttori del Centro “V. Scarpellino” Achille Serrao e Vincenzo Luciani, la vedova e il fratello del poeta, la direttrice della Biblioteca Rodari Piera Costantino, che ha introdotto l’incontro, i poeti Paolo Procaccini, Patrizia Fanelli, Laura Rainieri e Giovanna Giovannini che hanno offerto la loro testimonianza sul poeta romanesco ed hanno letto un suo sonetto.
L’incontro è stato aperto dagli interventi di Luciani e Serrao.
Luciani si è soffermato sul progetto dell’intitolazione della via e su alcuni aspetti della personalità umana e della poesia di Scarpellino “un poeta ruvido, talvolta spigoloso, dolcissimo, appartato, sdegnoso e sdegnato e, al tempo stesso partecipe e fraterno, un poeta che cammina al nostro fianco nella strenua comune fatica “der vive quotidiano”, un poeta della disperata speranza.”
Più squisitamente critico l’intervento di Serrao: “Scarpellino ha scritto in lingua romanesca, leggeva le sue poesie come montando una pietra sull’altra – era forse nel cognome il destino del suo fabbricare – una parola dopo l’altra scandita con voce profonda, e ci invitava ad assecondare il suo procedere lento nella lettura parola per parola, per sottolinearne il senso, non solo, e il suono, il peso nella economia del testo. Scarpellino ha scritto poesie per mettersi al riparo dalla vita, “pe dà lo sfratto alla malinconia”. La sua storia di poeta comincia di qui. Il suo itinerario creativo è sempre stato accompagnato e vivificato dalla disposizione malinconica di chi avverte l’inadeguatezza delle cose del mondo e se ne fa carico, nell’illusione di mutarne l’ordine o il senso, di modificare il corso degli eventi. Nulla è mai intervenuto, nella produzione di Scarpellino, (ma, c’è da crederlo, anche nella vita di tutti i giorni) a smentire il suo stare dalla parte del “vero”. Nei limiti umani della personale buona fede, s’intende. Il sonetto è il genere metrico che Scarpellino predilige. Quasi tutto Foja ar vento è composto da sonetti di egregia fattura. Raramente l’autore adotta forme libere, in totale assenza di rima. In questi rari casi il risultato è pregevolissimo, come in “Stazzione Termini”, e davvero non fa rimpiangere l’abbandono delle regole: No sguardo prescioloso su un cartone / e un piede che lo pista indiferente… / Nell’ombre de le pieghe ce sta ancora / un fiotto de calore… / Un poro cristo – forse proprio Dio! – / cià passato la notte. Notevole in Scarpellino è l’intensità del dolore (che l’ironia accompagna, rivelandosi spesso amarissima). La sua ultima raccolta ha la forza di commentarsi da sé. Un’opera che, nell’arco operativo del poeta, e non solo, giunge, sia pure post mortem, a costituire un capitolo della poesia dialettale (ma forse della poesia tout court) suggestivo e di sicura autorità.
L’incontro è proseguito con le testimonianze (sono riportate in fondo a questo articolo) dei poeti presenti: Patrizia Fanelli, Giovanna Giovannini, Paolo Procaccini, Laura Rainieri, e dei poeti (assenti giustificati) Pier Mattia Tommasino, Rosangela Zoppi che hanno inviato i loro interventi scritti che sono stati letti da Vincenzo Luciani.

Scarpellino svolse attività nel settore delle assicurazioni con incarichi sindacali. Nel 1981 fece parte del «Centro Romanesco Trilussa» per poi trasmigrare nel gruppo del «Rugantino» col quale ha collaborato a lungo. E’ stato cofondatore dell’Istituto Dialettale Culturale Rugantino.
Ha pubblicato suoi lavori sui più rappresentativi periodici romani fra cui Romanità, Lazio ieri e oggi, Voce Romana.
Nel 1984 ha vinto la IV edizione del «Trofeo Rugantino» ed è stato premiato in Campidoglio.
E’ del 1984 pure il suo primo libro di poesie Roma contro, seguito, nel 1985, da un secondo, Li govenicoli, in coppia con Luciano Luciani, suo amico fraterno. Il volume è illustrato da vignette di Ivo Guaragna.
Scarpellino ha collaborato, fin dalla sua nascita, con la rivista Periferie. Ed ecco una bella e profetica poesia di Vincenzo Scarpellino intitolata Un’antra foja ar vento: Scordete tutto quello che te scoccia, / smozzica er fiato inzino a che te resta / e quanno senti vota la capoccia… / lassete annà, domani è sempre festa. // Ce starà chi te piagne e chi bisboccia, / chi sputa na sentenza nun richiesta, / chi se fionna a pulitte la saccoccia, / ma pochi a ditte: è voce de protesta. // Saranno quelli che te cercheranno / senza avé dubbi de trovà la porta / e co li bracci te solleveranno // p’arigalaje un’antra foja ar vento, / ma tu nun ce stai più, manco t’importa… / vai incontro ar nulla eterno a cor contento.