Da il libro di poesie ‘I giorni delle pannocchie’

Presentazione

E’ un amore senza tempo, per uomini e donne, ubriachi di immortalità, quello che alimenta la vena dei poeti, che muove la loro mano, infervora l’anima e produce versi.
Il poeta è colui che sa riascoltare il battito divino, scopre la fonte della bellezza, apre spazi infiniti. E come l’ape sa posarsi su un bottone rosa per succhiarne la fragranza prima di allontanarsi, così il poeta coglie attimi di dolore o di felicità, sensazioni forti per farcene dono gratuito.
Anche questo cantare i giorni, particolari giorni, di Nico Bertoncello, è espressione carica di sentimento, ascolto dell’altro che sta in noi, in ciascuno di noi; è descrizione di un ritmo, di un suono interno che ci portiamo dentro e che dà voce a qualcosa che è e non è nostro. E’ una ennesima raccolta di stelle vagabonde, di pensieri mai senza dimora, di intensità amorose, di frammenti di sensibilità, di grande nostalgia, di ricerca di ciò che ci appartiene e temiamo di aver perduto, è il racconto profondo, forte, di un vento antico, di antichi suoni, di odori e stagioni d’un tempo forse vissuto per sempre, di radici sepolte. Forse è pure il canto della sorgente di una storia che si è dilatata altrove.
Proust, lo scrittore francese, cantore della memoria, affermava che “i veri paradisi sono i paradisi perduti”.
Non so se quello che troviamo in questi versi sia stato proprio un paradiso. Certo è stato il tempo della speranza.
Il vento continua a inquietare le chiome degli alberi, bussa ai vetri delle finestre – canta il nostro poeta – e noi continuiamo a vagabondare alla ricerca della gioia, della bellezza, della creatività. E’ un indagare profondo, il suo, nei misteri della terra e della natura, è il contrasto tra generazioni diverse che si dipana con l’affetto, la delicata comprensione, un rigoroso rispetto dei sentimenti.
Ho seguito fin dalle sue prime avventure di vita in poesia la lunga, faticosa, alla fine luminosa strada di Nico Bertoncello, attraverso la sua produzione, quella più elegante, in italiano, come quella partecipata e convinta nella lingua dei padri. Ho colto con simpatia e ammirazione il disegno di insieme, la mappa dei significati, la convinta adesione al centro dei valori che egli ha sempre espresso. Altri hanno sottolineato con intenti critici e saputo premiare il valore letterario, l’evoluzione stilistica, l’uso delle parole di cui Nico Bertoncello ha fatto tesoro. Egli parla, dialoga con la neve e la luna, col vento e con l’ombra, non teme il buio, riconosce il destino e gli fa condividere ancora la sicurezza per cui solo coloro che hanno avuto il coraggio di sognare sono riusciti a cambiare il mondo.
La poesia dà pace, quiete, serenità, anche quella che evoca infelicità, che fornisce voce alle più piccole incertezze, alle amarezze di tante inconcludenti giornate.
Il poeta, è vero, è in grado di cogliere “una striscia d’azzurro sull’argento del cielo”. Egli riesce ad attivare i sensi, ad impreziosire le lacrime che3 sfiorano le nostre ciglia, a mettere ordine ai nostri passi.
E nel caso di Nico Bertoncello, con grande sobrietà e misura, con grande correttezza. In questa sua nuova raccolta unisce elementi linguistici pittorici, paesaggistici e sonori con grande esperienza, con coerenza stilistica. Usa un registro uniforme, alieno da sottolineature enfatiche, con testi concentrati e densi, accompagna la tessitura dei versi con un ritmo che illumina l’ascolto.
Quella evanescenza delle tinte, quell’interrogarsi sulla natura stessa delle immagini e dei ricordi, quel sottolineare “occasioni”, il dipingere ritratti con accenti esitanti, con affabile ritegno, è tutto un trepidare di affetti. Egli non pare immaginare gerarchie nei fenomeni; è abituato a vivere la natura, a giocare sull’orlo del grande cratere universale con la sicurezza dell’uomo di saldi, antichi principi.
Lo stesso dolore dell’esperienza riesce a placarlo nell’appartenere al mondo. Non cancella mai l’angoscia. La stempera nel comprendere.
Sono convinto che anche questi versi siano il segno di una esperienza umana piena, integrata in se stessa, ricca di umanità, tali da renderli a noi con il pieno possesso delle risorse linguistiche.
Mi piace crederlo una specie di chansonnier, un poeta dalla voce mite e sottile quando usa il ritmo naturale del dialetto, un dialetto che “la sa lunga”, un vecchio dialetto popolare e civile, e quando cadenza e marca i passaggi nella lingua dei classici, quella grave ed amabile, ferma e dignitosa della cultura accademica.
Ritrovo in ogni pagina un sospiro impercettibile, capace di avvolgere ogni lettura. Non è mai giocoliere della parola. Ha una grande fiducia nella natura che, se rispettata, non tradisce.
“I giorni delle pannocchie”, il richiamo al nutrimento, alla polenta, al mondo rurale rimasto nelle emozioni e nei ricordi, è una straordinaria metafora scandita dal ritmo incalzante delle stagioni. C’è un lungo, esteso preambolo, dedicato alla voce sempre sicura del padre, che resta carezza alle preoccupazioni del giorno, alito di speranza, rassicurante certezza persino nell’accontentarsi di sapere di “avere un posto anche per dopo”. C’è il virtuoso approfondimento nel capitolo intitolato “Vose de caricanto” ai temi forti della vita. Il “calicanto” è il fiore ultimo che nasce e dà profumo. E qui c’è esaltata la capacità del romantico sognatore che si proietta a cogliere il senso della bellezza delle cose.
La raccolta si conclude con “Occasioni”, una estemporanea e disunita carrellata sull’attualità, descritta con una malinconia consapevole. Sono ancora sogni rannicchiati, descritti con un filo di luce capace di illuminare i piccoli racconti. Nico Bertoncello ha un grande pregio. Quello di saper usare i verbi poveri: prendere, ascoltare, venire, partire, ricevere, andare, i verbi, le immagini più immediate, le esperienze di una quotidianità vissuta senza enfasi, pulita e semplice nella quale si annida sempre una stilla di verità.
In fondo è la descrizione di un amore per la vita vera, è la dolcezza e la delicatezza di continuare il cammino, all’alba del nuovo millennio, con la semplicità e il candore di un fanciullo, capace di tornare un’altra volta ancora a prendere per mano la propria madre per proseguire nella certezza di poter restare “eterni compagni di viaggio”.

Giandomenico Cortese

VOSE DE CARICANTO

Core so caresà sfaltae
sto mondo fato de celuloide,
el passa scavesso tuto
sensa on fià de rispeto.
Sol so ‘ndare de sbrindolon
el canbia senpre diression
robando zughi e tradission
inmuciai rento so ‘a corte.
Come i rubini veci de ‘a siesa
vardo sto spessegàre
che no’ voe ‘spetare.

Qua ze sparìo panoce
e dresse de edera,
ma sol sbrissiare afanà
rento el reclàn cato
‘ncora buti che tien i dì,
tra brosemade e galiverne.
E ‘desso che l’inverno se veste
col so tabaro de neve,
vose de caricanto,
serco ‘na sboconà de blu
sol viajo de senpre.

VOCE DI CALICANTO – Corre su carreggiate asfaltate/ questo mondo fatto di plastica,/ passa attraverso tutto/ senza un po’ di rispetto./ Sul suo andare a zonzo/ cambia sempre direzione/ rubando giochi e tradizioni/ accumulati dentro l’aia./ Come le robinie vecchie della siepe/ guardo questo affrettarsi/ che non vuole aspettare.// Qui sono scomparse pannocchie/ e trecce d’edera,/ ma sullo scivolare affannato/ dentro la pubblicità trovo/ ancora gemme che tengono i giorni,/ tra brine e nebbie fitte./ Ed ora che l’inverno si veste/ con il suo mantello di neve,/ voce di calicanto,/ cerco una boccata di blu/ sul viaggio di sempre.

Da “I giorni delle pannocchie” – 2003

Nico Bertoncello
è nato il 1948 a Bassano del Grappa, dove risiede.

Da quasi trent’anni scrive poesie in lingua e in dialetto veneto.
La natura, la gente e l’intimo spirituale sono i temi più ricorrenti delle sue poesie.

Ha partecipato a vari concorsi regionali e nazionali ottenendo lusinghieri riconoscimenti: il primo premio al "G. Modena" – S. Felice sul Panaro (Mo), "Calastoria" – Valdagno (Vi), "F. Pellegrini" – Castion – (Vr), "S. Valentino" – Bussolengo (Vr), "Città di Torri di Quartesolo" (Vi), "Grappolo d’oro" – Bardolino (Vr), “Castello” – Villafranca –( Vr), "Premio editoriale Leopardi 2000" – Torino, “Arpalice Cuman Pertile” (Marostica), “Poesia 83” (Trento) ed altri riconoscimenti al “M. Florenzi” – Perugia, “La Panocia” – Schio (Vi), “Noventa-Pascutto” – Noventa di Piave (Ve) "Lions Club Milano Duomo" – Milano, "E. Spensieri" – Campobasso, "Lanciano" (Ch), "San Vito al Tagliamento" (Pn), “Città di Thiene”(VI).

Nel 2000 ha ricevuto dalla Città di Bassano del Grappa e dall’Accademia “Aque Slosse” il riconoscimento “Alfiere d’oro” per il suo impegno e per l’alto profilo nella poesia dialettale.

Nel 2001 ha edito una cartella artistica “Omaggio a Marostica” contenente otto sue poesie e sei grafiche di Ugo Munari

Ha pubblicato cinque raccolte di poesie di cui tre in dialetto veneto e due in lingua:

– "Na sbatua de ae" – Tipografia ISG – Vicenza – nel 1981,
– "E co vien sera" – Ghedina & Tassotti Editori – Bassano del Gr. – nel 1987,
– "Passaggio segreto" – Stocchiero Editrice – Vicenza – nel 1992,
– "El dolse dei cachi" – Editrice Cesar – Vicenza – nel 1996 – ( 2° al premio triveneto “Aque Slosse 2001”).
– “Oltre il fiume, le case, le strade…” – Editrice Itinera progetti – Bassano del Gr. – nel 2000.