Con il lapis*#20: Esercizio all’esistenza di Giuseppe Vetromile

Con il lapis*#20: Giuseppe Vetromile, Esercizio all’esistenza. Prefazione di Ivan Fedeli, puntoacapo Editrice 2021

 

c’è sempre un inciampo

 

che impedisce il proseguire c’è una parte di noi che vorrebbe prolungarsi oltre la stanza

defluire nell’incertezza dell’ombra

travalicare le colonne d’ercole

seguire le tracce d’un mito

 

farsi trascinare da un sogno

 

ma la porta sta lì

piantata bene sui cardini

sbarrata

 

a volte però si schiude per un attimo

e non lascia passare che un sentore

appena un’idea

 

un nostro debole grido

 

poi si richiude al netto dell’anima

 

e noi qui

sempre a ribussare

(p. 29)

 

La via alla conoscenza dischiusa alla poesia sa, per pratica anche dolorosamente rinnovata, di tentativi e di fallimenti, di varchi fugaci e aspri sbarramenti, di vortici d’incanto e secche insidiose. Esercizio all’esistenza di Giuseppe Vetromile espone e percorre questa via e le sue contraddizioni, che sono allo stesso tempo vitali e fatali. Lo fa con una chiarezza del dire disarmante eppure aguzza, combattiva, perfino, giacché essa non rinuncia allo sforzo reiterato di bussare, varcare, oltrepassare.

Percepire «un sentore/ appena un’idea» e decidere di seguirlo, nonostante gli ostacoli e i continui respingimenti, non è da tutti. È, ancora una volta, un «esercizio all’esistenza» di un io-poeta, tenace anche quando è svuotato, vilipeso, deriso. Tenace e attivo, giacché, come precisa l’autore nella nota introduttiva, ciò che va evitato e combattuto è l’inanità, l’inerzia negativa.

La poesia di Giuseppe Vetromile si offre a chi legge e a chi ascolta limpida nel dettato, tutt’altro che superficiale nella tessitura di connotazioni di moltissime scelte espressive, innanzitutto lessicali, già a partire dal titolo della raccolta, che coincide con quello della sesta e ultima sezione: Esercizio all’esistenza. Già la parola «esercizio» estende il suo significato da pratica di allenamento a una condizione dell’essere-qui (Dasein, il termine tedesco per esistenza) a vero e proprio esercizio spirituale. Azione e meditazione non si separano l’una dall’altra, il combattimento continuo contro l’inanità si unisce a una vera e propria dedizione a pensiero e parola autentici.

Che tale dedizione si manifesti quotidianamente nell’esercizio della scrittura poetica, emerge chiaramente in ogni componimento della raccolta, ma riceve con il titolo della prima sezione, Nella stanza, un’ulteriore prova della molteplicità di valenze e, insieme con esse, di capacità evocative delle parole. Se con il termine «stanza» è da intendersi, infatti, in prima battuta, lo spazio chiuso, una camera al cui mobilio si accenna esplicitamente nel sottotitolo – (libero di volare ma non oltre le vette dei mobili) -, nel quale il poeta si dedica alla scrittura, “poesia contro l’inanità”, per dirla con il verso conclusivo di Sic transit gloria mundi di Heinz Czechowski, non può sfuggire un dettaglio relativo all’uso del termine anche per riferirsi a una ‘unità di misura poetica’, a una strofa.

Ricorre, esplicitamente e talvolta tra le righe, un “prima che…”: la poesia di Esercizio all’esistenza intraprende un bilancio, al tramontare del giorno prima del «salto nella notte».

Poesia precisa, partecipata, pur senza riversarsi mai nel rischioso e vischioso patetico; poesia consapevole, in una similitudine classica e non banale, del «fugace giro di lancette» che è l’esistenza terrena. È una penna che si autodefinisce «vespertina» quella che va scrivendo i versi di Giuseppe Vetromile. L’approssimarsi della notte non sospende lo stato di veglia, né, tantomeno, pone fine all’interrogazione incessante che grande parte ha nella poesia, tanto da farsi per certi versi suo tratto distintivo, sua costante. Alla «penna vespertina» è dato di non ritrarsi dinanzi al terrore che fa esplodere i contorni; essa mantiene nitido il suo eloquio, netta la sua domanda, come nel titolo della seconda sezione: Allora la morte? La consapevolezza circa la soglia su un’altra dimensione, ignota, circa il termine dell’esistenza terrena, non comporta affatto la dismissione della parola responsabile, non determina alcun nichilismo – sono gli altri, semmai, a proseguire la loro «vana corsa verso/ l’orizzonte di nulla» (p. 67). Al contrario, continuano ad agire, seppur con altro ritmo e altre forze, i duelli tra la luce e l’ombra e suonano ancora, inequivocabili, gli appelli agli altri umani: «conservate di me qualcosa/ un pugno di versi un verso o anche/ quel poco d’ombra che feci giù alla marina/ mentre il sole dilagava sulla spiaggia».(p. 39).

Mai, neppure per un momento, l’anelito viene del tutto abbandonato. Esso resta a nutrire lo scatto, la resistenza alla sconfitta, l’opposizione al soccombere inerte e muto, la persistente fede nella poesia e nell’amore che la illumina e le conferisce verità, come emerge dalla sezione Questo amore: «e il paradiso è l’unica parola che la poesia/ può trasformare in verità» (p. 49).

In più di un componimento l’apertura ai diversi significati di alcuni termini si associa a una feconda ironia, come avviene nel testo che appare a pagina 69 della raccolta e che esordisce e si conclude con le tre opzioni che appaiono sullo schermo del computer nel momento in cui si decide di lasciare il programma di scrittura sul quale si è lavorato: «salva/ non salvare/ annulla». Insieme esca e indizio per chi legge, si palesa la tavolozza di significati, con una valenza almeno duplice – è il documento di scrittura che si sta per lasciare, tuttavia è anche una dimensione dell’esistenza dalla quale si sta per prendere congedo -,  il rovello della scelta, l’inquietudine che permane, quale che sia la soluzione per la quale si intenda optare: «ne rido e dallo sbilanciamento/ sopravviene una notte insonne/ giacché il cuscino non trova pace/ in nessuna delle tre soluzioni».

Riso e sgomento si mescolano dinanzi al cammino sconosciuto, al cunicolo che diffonde la penombra: si calpesti pure l’ombra, prega l’io lirico, ma non l’idea che egli stesso è stato. E questa idea è un insieme inscindibile di poesia e di esistenza nell’esercizio tanto devoto quanto arguto della scrittura di Giuseppe Vetromile.

Anna Maria Curci

 

*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.