Con il lapis* #49: Leila Falà Magnini, Rumore di fondo. Prefazione di Ivan Fedeli. Postfazione di Maria Luisa Vezzali, puntoacapo CollezioneLetteraria 2023
Ancora due
A cercare e cercare ne ho trovati ancora due.
Stavano pressati dentro, stretti stretti
ben avvolti in un pluriball di prudenza
dell’età forse. Fragili come brocche di famiglia
nascosti fra rotolini d’amore, tazze bonarie di sorrisi
bigiotteria bella e démodé.
Fornisce scuse inestinguibili per restare fermi
la paura.
Stare dove nulla cambia. E morire zitti zitti
senza dire altro.
(p. 90)
Tra le ultime poesie della settima (Presenze minime) tra le otto sezioni di Rumore di fondo, i versi di Ancora due hanno un andamento che ben evidenzia il principio compositivo ricorrente in molti testi di questo volume che Leila Falà ha pubblicato nel 2023 nella CollezioneLetteraria della casa editrice puntoacapo. L’attacco parte con una narrazione che inizia, per così dire, in medias res e propone una situazione nella quale ci si imbatte sovente leggendo i versi di Rumore di fondo: l’incontro con oggetti, talvolta di uso quotidiano e dunque familiari, talaltra meno usuali o perfino circondati da un alone di mistero, ma pur sempre oggetti. Questi, tuttavia, si caricano progressivamente di una valenza, di un significato che travalica l’uso comune e che porta con sé simboli e riferimenti, espressi, quelli, per lo più per il tramite di similitudini e di metafore, celati tra le righe, questi, omaggio alle voci poetiche che li hanno ispirati e dono per chi li individua, leggendo e ascoltando il testo. Giunge poi la progressione ulteriore verso considerazioni di carattere più ampio. Il testo va incontro alla riflessione circa le ripercussioni che il rinvenimento degli “ancora due” rivela, sprigiona, scatena. La formulazione si fa allora chiara, eppure solenne, incisiva e convincente a dispetto o forse proprio in ragione del ‘salto nel ragionamento’: «Fornisce scuse inestinguibili per restare fermi/ la paura». La chiusa da un lato prosegue nell’arricchire di dettagli la constatazione, dall’altro opera un ulteriore salto nei passaggi, vibrante com’è di richiami letterari e implicazioni esistenziali.
In Ancora due un riferimento letterario importante è, come comunica Leila Falà nelle Note e ringraziamenti riportando il titolo Nulla verrà più, alla poesia Enigma di Ingeborg Bachmann, che trascrivo nelle righe successive nella mia traduzione:
Enigma
Nulla verrà più.
Non si farà più primavera.
Calendari millenari lo predicono a ognuno.
Ma anche l’estate e, ancora, ciò che ha nomi così belli
come “estivo” –
non verrà più nulla.
Non devi piangere, sai,
dice una musica.
A parte questo
nessuno
dice
alcunché.
Ingeborg Bachmann scrisse questa poesia nel periodo berlinese, tra il 1963 e il 1965, periodo nel quale, come ella stessa ebbe modo di dichiarare, si trovò ad affrontare oscurità e disperazioni. La chiusa di Enigma «A parte questo/ nessuno/ dice/ alcunché.» è ripresa da Leila Falà, che ha letto la poesia nella traduzione di Maria Teresa Mandalari, nella conclusione di Ancora due «… E morire zitti zitti/ senza dire altro.» in un riecheggiare che dà espressione al silenzio incombente sullo sconforto e sulla paura.
È sorprendente come, in una ideale triangolazione, leggendo un altro testo da Rumore di fondo – si tratta di Ultimo enigma estivo, tratto dalla quarta sezione, Note in mancanza – ci si imbatta in un altro omaggio e in un altro vertice in Un posto di vacanza di Vittorio Sereni. Già, perché Ultimo enigma estivo di Leila Falà, come dichiara la stessa autrice, contiene parte dei versi del poemetto di Sereni, nel quale la stagione estiva viene evocata nella sua complessità, anche nel suo «rovescio».
Enigma, estate, età sono tre concetti che ricorrono in Bachmann, Falà, Sereni, come soglie su un termine, un limite, un confine. Sembrerebbe che il termine-approdo sia il silenzio come fine della speranza nella parola, ma in nessuna delle tre voci poetiche l’approdo è il silenzio come sfiducia nella parola. La consapevolezza del rischio mortale che corre la parola intesa come segno di umanità non recide il desiderio di metterla alla prova, mettendosi alla prova nella scrittura.
In Rumore di fondo la parola, il pericolo che diventi vacua, vuota o menzognera, così come la sua caparbia resistenza, si fanno argomento, soggetto, in diversi testi. In Langue (nella terza sezione, Fuori margine) Leila Falà gioca con la polisemia e l’ambivalenza tra il proprio italiano e il francese del linguistica ginevrino Saussure, tra “langue” come termine francese per “lingua” e “langue” come terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo “languire”, tra la l’oca che fa capolino nel termine italiano per la regione, Linguadoca, Languedoc (e per la sua lingua, l’occitano, Lengadòc) l’oca come animale associato alla stupidità e la penna d’oca come strumento per scrivere.
Le parole, allora, devono essere dosate, necessarie, come le «poche cose», elencate, enumerate, come i cucchiaini di caffè per la moka (Caffè, nella seconda sezione, Impronte del quotidiano), non certo somiglianti alla lingua dei social, oggetto di arguta ironia nelle poesie della sesta sezione, Relazioni connettive, ma quelle «giuste» che nominavano il mondo negli Anni delle rivolte.
La poesia che dà il titolo al volume e lo conclude, costituendo, da sola, l’ottava sezione, Rumore di fondo, si chiede a chi parlino e di che cosa parlino, di che cosa abbiano parlato e a chi abbiano parlato persone e personaggi del presente e del passato. Parlare? L’io poetico conclude alla maniera di Bartleby lo scrivano di Herman Melville. Per ora. Per quanto tempo? La durata del «preferirei di no» resta, con la prospettiva di una possibilità futura, questione aperta.
Anche Leila Falà sa dare valore a un «eppure», segno di una quieta ma lucida veglia, disponibilità all’incanto nonostante la prevalente attitudine al disincanto, come dimostrano i versi di Davvero (a p. 48, nella sezione Note in mancanza): «Eppure nella casa entra il sole al mattino/ e la notte distesa scorgo dal letto la luna – quando è piena.//A volte – non so come – questo davvero mi basta.»; è, quell’eppure, orma di un equilibrio, di cui si conosce la precarietà e di cui tuttavia si apprezza il prodigioso verificarsi, tra principio di realtà e principio di piacere.
* Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.
Leila Falà Magnini è nata ad Ancona, ha studiato al Dams con G. Scabia e alla scuola di Teatro Galante Garrone, ha collaborato a fondare il Centro Documentazione delle Donne, si è occupata di comunicazione, teatro; attrice per diversi anni, ha lavorato all’Università come impiegata. Fa parte dal 2006 al 2016 del Gruppo ’98 Poesia e dal 2015 al 2021 della redazione della rivista “Voci della Luna”; dal 2017 fa parte del gruppo dei Narratori della strage del 2 agosto; fa parte della SIL – Società Italiana delle Letterate. Tra le sue pubblicazioni figurano: Prontuario lirico di autodifesa muliebre 2022, raccolta di quattro sillogi delle autrici Alessandra Carnaroli, Leila Falà, Francesca Genti e Anna Toscano (Edizioni Sartoria Utopia 2022); Cosa fare da grande (raccolta inedita) ha vinto il premio teatrale Reading sul fiume 2017; Certe sere altri pretesti” l’e-book con la Recherche, Della propria voce” (Qudu 2016), antologia del Gruppo 98 poesia, curatela; Mobili e altre minuzie (Dars 2015) (Premio “Paese delle Donne” Roma, 2017); Oggetti (in memoria della strage di Ustica) in È negli oggetti che ti ricerco (Corraini, 2013); Cosa pensano lei e lui quando non parlano più d’amore, testo teatrale messo in scena con Il Gruppo Libero Teatro, 2005. Niente politica, tutta famiglia. Monologo per attrice sola. testo teatrale messo in scena con Il Gruppo Libero Teatro, 2007. Rumore di fondo è la sua pubblicazione più recente.