Con il lapis* #39: Sciott di Gabriella Grasso

Recensione di Anna Maria Curci

 

Con il lapis* #39: Gabriella Grasso, Sciott. Postfazione di Pietro Russo, puntoacapo 2024

Sciott

(La piazza)

Sciott era il nome più bello

palude all’incrocio 

delle vie delle Esperidi

e pantano di tutte le vite

baldanzose o malmesse

Era piazza, bordello, agorà

chianu 

approdo di tutte le navi

senza rotta nel ronzio 

della notte

Se la osservi 

da una qualsiasi delle sue finestre

questa piazza rotonda e quadrata

quasi inganno di strada 

che da vicolo diventa estuario

capirai perché per tutti noi è stata

culla e guado

a un passaggio impervio di fango

che ribolle 

di immagini e fiato

(p.9)

Sciott non è solo la poesia che dà il titolo al volume omonimo di poesie di Gabriella Grasso, ma introduce anche al luogo che è perno, nucleo e centro di tutta la raccolta. Sciott è Sciottu, la piazza principale nella parte alta del paese di Linguaglossa ai piedi dell’Etna. 

Nelle poesie che compongono il volume, Sciott si rivela visuale, nutrimento del corpo così come dello spirito, crocevia di storie e vicende biografiche, vera e propria visione del mondo, accesso a un universo carico di sapere (sapido e sapiente, nella duplice accezione del termine) e di esperienze significative. 

L’universo di Sciott conosce il dolore e la gioia individuali e collettivi; parla attingendo a una pluralità di culture e di lingue che fa incontrare e che mette in relazione. Siciliano e italiano duettano in più di un testo, arabo e greco antico rifioriscono in nomi di cose e in toponimi. Talvolta queste quattro lingue incontrano l’inglese dei turisti ignari della lotta quotidiana con i luoghi e con gli elementi della natura (Zoom), talvolta il siciliano – come avviene con la parola «chianu» nel componimento sopra riportato – emerge come una lingua che ha termini così vicini tanto al cuore quanto all’essenza delle cose da non poter essere sostituiti con vocaboli in altri idiomi. 

Già il nome Sciott – e «Sciott era il nome più bello» – reca con sé molteplici significati. Esplorando i versi proposti in apertura, ci si imbatte in «pantano di tutte le vite», «piazza, bordello, agorà, / chianu” e, ancora, «culla e guado». Sciott è un nome che in arabo vuol dire palude, litorale, fango, ricorda Gabriella Grasso nella Nota introduttiva dell’autrice. 

Intorno a questo nome, di portata così ampia per tutti i suoi significati e per le associazioni che esso richiama, si riuniscono, agiscono, parlano, gioiscono e soffrono, fanno agire i loro sensi – soprattutto la vista, l’udito, l’olfatto –  tante figure, sì da comporre quello che Pietro Russo, nella sua bella Postfazione, chiama “il canto epico di Gabriella Grasso”: Mauri, che ha dieci anni e li avrà per sempre, Gli innamorati, Le mute, Linda (la tedesca), le «Tre sorelle/ una impasta una inforna una serve» che hanno Il forno, la prostituta Nda vanedda (“nel vicolo”), il poeta (Il poeta, forse), Gli sposi, I bambini, Peppino che aspetta tutti coloro che vorranno ascoltarlo «col proverbio puntuale» (Peppino ci spiega la piazza), il venditore di tappeti (Inshallah), il banditore – U vanniaturi in Soglia – le donne che nel 1930 protestarono per la mancanza d’acqua a Linguaglossa e, con loro, le donne che hanno raccolto la loro eredità di resistenza alla precarietà del vivere supportata dalla noncuranza delle autorità (I fimmini du Sciottu), il «dottore specialista di cuore» che muore «d’infarto, di notte» (U dutturi), Gli adolescenti, la figlia che ha sentito una musica nuova e dice «è bella/ ascoltala, mamma» (Epilogo), la sorella che «ha smesso/ di colpo/ il respiro», ma che resta nel cuore dell’io poetico, in un luogo dell’anima dove, se si chiudono gli occhi, «tutto resterà» (Commiato). 

Gli interni, come la casa di Commiato o la merceria in Rovesci, gli esterni, angoli e dettagli, gli elementi naturali, l’aria con la brezza (A buriedda),  l’acqua con le sorgenti (E funtaneddi) e il torrente, il fuoco del vulcano incombente, l’Etna o, con altro nome, Mongibello (Iddu), la terra calpestata della piazza, la terra che trema, si ribella e «tradisce»  (Richter) e la terra coltivata (L’orto): tutto parte e ritorna da quel luogo di visione alto e profondo, Sciott, dove la consapevolezza di lotta, fiato sospeso e precarietà dell’esistenza (Appesi) si fa poesia.

I versi di Gabriella Grasso nelle pagine di Sciott contemplano, narrano, cantano, esortano a non dimenticare, riflettono e invitano a guardare e ascoltare, con un dire limpido e colmo di comprensione e stupore, con immagini evocate e ricreate, con voci e suoni restituiti alla vita.

Anna Maria Curci

*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.