Con il lapis* #32: Paolo Carlucci, Google God. Prefazione di Maria Clelia Cardona. Nota di lettura di Plinio Perilli, Edizioni Ensemble 2022
Schegge d’un giorno di neo-scuola
per lampo di maltempo
sconnessa da remoto
Black-out! Oggi non parlo al muro
luminoso che risuona alfabeto
di presenze ballerine, nuvole di nomi:
io che nella vita, ci ho sempre parlato
al muro, regno di storie e versi le mie
care stanze, vestite con pagine di ieri…
Io che tra stelle di carta lectornauta felice
ora mi ritrovo cyberpilota di giovinezze
stordite in mascherina, e i social, confuse
monadi in comitiva permanente via PC.
Scriba on line di nuove apocalissi vago
nel manicomio digitale di questa scuola
neo, oggi in elettrico panne d’energia,
saltata per turbine di lampi nella notte… (p. 97)
Tutte le poesie di Google God di Paolo Carlucci mettono in dialogo la contemporaneità immediata e la Storia. Spesso si tratta di uno scontro, di un corto circuito, ma è sempre la resistenza a far sentire la voce, densa di vita e di poesia. Osserva, la resistenza, con lo sguardo carico dei versi letti, amati, conosciuti e trasmessi. Prende le mosse dai versi di Leopardi in La ginestra (amati, ripercorsi e ‘rinnovati’, come a p. 38: «Sarà ginestra nuova, che resiste/ verbo ramo di luce di domani?») e, a partire da quelli, le opere della poesia di tutti i temi: Dante («l’altissimo Poeta infernale […] l’evergreen fiorentino»), p. 92: «nella selva di vetro/ tre nuove fiere/ Sbarrato l’accesso// Poi Virgilio il digitale/ ancora con me/ nell’inferno nuovo», p. 32), Pascoli («Connesso anche alla notte,/ ludopatico… toh ecco/ il fanciullino nuovo col/ baracchino: purpureo addio…», p. 55); Rilke («Altri tempi davvero quelli di Rilke/ davvero solo Apollo, allora, era un Deus.», a p. 52, dove il primo distico di uno dei Sonetti a Orfeo viene riportato, non casualmente, nella traduzione di Giaime Pintor), un Pirandello celato ad arte, con le sue Lumie di Sicilia, accanto a Montale («Ecco nel mio viaggio d’Aprile/ il ligure pure mi resta in sapore/ con gli Ossi di seppia », p. 92; «Ma è in foce la speranza, l’esperienza/ arenatasi lì, fra troppi Ossi di seppia…», p. 75), poi ancora Leopardi («Il tele-Cantico del gallo silvestre», p. 101), per menzionare solo alcuni nomi delle voci dei ‘maestri’, luce nei giorni aspri della pandemia, con tutti gli strumenti e gli apparati che questa reca con sé e che per il poeta e insegnante
Lo sguardo è lucido, non di rado ironico, sempre attento, comunque, a opporre conoscenza e memoria alla nuova idolatria. Già, perché gli strumenti e gli apparati presentati come correttivi all’urto dei giorni, prima di quelli del lock-down, poi delle fasi successive, e numerate in sequenza, dell’emergenza, hanno imposto procedure e modalità coercitive in misura totalizzante. Le caratterizzano acronimi (LIM, DAD, DDI, SPID…) che ammantano di mistero una realtà di soffocante prevaricazione pervasiva. Ma se “ciò che resta lo fondano i poeti” (Hölderlin) che cosa resta da fare al poeta? Mescolare, fondere, per dirla con il 116° frammento della rivista “Athenäum”, capovolgere con il senso dell’umorismo, nutrirsi degli incontri inusuali di LIM e di limoni: «Così mangio tra i LIMoni di Sicilia e Montale/ che ride alto levato, là», p. 92.
Anna Maria Curci
*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.