Con il lapis* #25: Marco Onofrio, Azzurro esiguo. Prefazione di Dante Maffia. Passigli Editori 2021
Magia
Lo schianto dentro l’attimo che passa
regge in bilico, come un giocoliere
tutto il peso del silenzio che rimane.
Ecco l’incanto, l’anima allargata
da un’onda che fluisce nelle vene.
Magia di questo cerchio senza fine
che appunta il centro esatto su di me.
(p. 53)
L’anelito all’infinito, una sete perenne e inestinguibile, è formidabile motore della parola poetica. È dalla sete di infinito che si diramano le direttrici in Azzurro esiguo di Marco Onofrio.
Sono molteplici e dinamiche, queste direttrici, sono centripete (versi 6 e 7), ma con un centro che non si fa afferrare e, soprattutto, seguono traiettorie talvolta imprevedibili e attraversano territori anche molto diversi tra loro. Ciò che unisce è indubbiamente il tentativo persistente, tenace e resistente a rifiuti e a fallimenti, di bussare alle porte del mistero, di trovare il varco per l’oltre, per la luce, di risalire all’origine, all’archè.
Il segno unificante e caratterizzante è un colore, azzurro, come il colore della lontananza e dell’infinito nella più filosofica poesia romantica, quella che si pone a cavallo tra i secoli diciottesimo e diciannovesimo.
Eppure questo azzurro è “esiguo”. Viene da pensare allora alla sensibilità del primo Novecento austriaco, al “mondo di ieri” che si riverbera nell’azzurro pallido della “scrittura femminile” di cui narra Franz Werfel (e invero anche in Azzurro esiguo, così come nel romanzo di Werfel Una scrittura femminile azzurro pallido, la coscienza della storia è ben presente); tuttavia, Marco Onofrio chiarisce sia l’ossimoro (figura retorica significativamente prevalente in questa raccolta) e il dilemma tra il desiderio d’infinito e l’impossibilità di raggiungerlo pienamente in questa esistenza nella poesia che dà il titolo al volume, concludendolo: «Come riuscire a dire l’azzurro esiguo/ dentro l’universo tutto nero?/ Siamo lampi che aprono il mondo/ tra due abissi di tenebra infinita» (p. 108). Non si limita a questo, Marco Onofrio, ma, con solido principio di realtà, egli mostra consapevolezza che, se l’azzurro percepito può essere solo un bagliore, un balenio, una lama di luce tanto repentina quanto fugace, urge tuttavia la domanda circa le vie e gli strumenti per dirlo, per esprimere tutto ciò, per affermare, come rivela la prima persona plurale in «siamo lampi di luce», un autentico, concreto umanesimo della contemporaneità.
Sapere che la ricerca e il tentativo di oltrepassare il varco sono elemento costante e movimento reiterato per chi vive nella parola poetica da una parte dà forma alla coscienza del legame stretto tra la sensazione di fallimento e la certezza circa l’inalterabilità e l’invincibilità del mistero («Miliardi di universi sfuggono/ allo sguardo», p. 21), dall’altra, per moto tenace e contrapposto, imprime slancio a ogni ‘assalto all’infinito’.
L’anelito alla luce, allo «splendore dell’eternità» spinge a «Trascendere il visibile apparente/ entrando nel dominio dell’eccelso:/ oltre le scorie inutili/ e le ramaglie delle sfilacciature» (Il varco, p. 17). La percezione del limite, di una barriera che appare invalicabile, si unisce alla nozione esatta che quel confine attende tutti, ciascuno nella sua individualità e nel proprio peculiare grado di consapevolezza. Nei confronti di alcuni tra coloro che hanno varcato quella soglia è più difficile «dirsi pronti» (p. 42, in Morte del padre), ma la distanza che dopo il passaggio appare incolmabile è innanzitutto impegno a proseguire il viaggio su questa terra con il respiro che si nutre del respiro dell’altro, poi anche pungolo perenne all’interrogazione.
Fin dai primi testi di Azzurro esiguo emerge uno dei motivi conduttori di questa raccolta, quello del passaggio alla dimensione altra, «che ci ruba per sempre/ alla materia» (p 17); indagare sulla sua natura è compito di un’intera vita.
Porsi interrogativi, schierare le proprie domande, intensificarle, affilarle: questo è ciò che spetta all’umano, che sa di non saper rispondere a tali quesiti, eppure, nel suo vivere la poesia, non smette di formularli: «Cos’è, cos’è, cos’è stato/ a generare tanta magnificenza?/ Nessuno può rispondere ma/ sciogliere quei lacci è/ vivere una vita;/ disfarne il nodo/ il compito finale.» (Il compito, pp. 15-16).
Anna Maria Curci
*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.