Circu (Circo) di Gaetano Capuano

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

 

Il titolo, di facile comprensione, allude ad uno spettacolo e perciò  alla finzione, all’apparenza, all’inganno persino, con cui molti vivono la propria vita, ricoprendo anche ruoli socialmente o culturalmente importanti, e per questo ancor più da biasimare. Ma racchiude anche un significato più nascosto, il cerchio, rappresentazione dell’eterno ritorno e della vita umana e in più, nelle culture orientali, di una mistica visione e rappresentazione di sé e del cosmo.

Circo, cerchio, ricercare, sapere e non sapere: il poeta Capuano scrive e vorrebbe non farlo, per non causare del male “m’aiu di stari mutu/ pirchi all’armi/ ‘mprissiunabbili/ putissi astruppiari” (devo starmene muto/ perché agli animi/ impressionabili/ potrei fare male.) Anche qui, sotto il significato evidente, se ne può celare un altro, qualora con “impressionabile” intendessimo colui o colei che simile a pellicola fotografica, diviene effetto di un abbaglio, di una luce, senza filtrarla e così poterla valutare  come buona o cattiva. In effetti l’animo di questo Poeta e la poesia che lo esprime viaggia continuamente tra due “poli”: così, mentre fugge la rigidità e la fissità (l’impressionabilità) paga il prezzo di una “rannizza/ eni ‘a mia niciula/ picciriddanza” (grandezza/ è la mia esile/ piccolezza), e bruciando di passione, patisce, e la sua forza è quella di un’esile pianta nel deserto.

Gaetano Capuano riflette, pensa, scrive, esprime, in modo “circolare” perché ogni poesia è legata all’altra, in un continuum che ritorna al punto di partenza, mai uguale, dal momento che ogni nuova lettura arricchisce di senso la scrittura, facendo emergere il tesoro nascosto nella ricchezza delle parole e dei versi. Non bastano, non sono sempre efficaci per definire e valutare la Poesia – e l’Autore lo ribadisce più volte – i “circhi” dei premi e dei concorsi letterari (anche se l’Autore  stesso non li disdegna, avendone vinti più d’uno e frequentati molti!)

Ma il “Circo” è soprattutto, secondo la raccolta del Capuano, quello mediatico dei “social” espressione di una stramba e contraddittoria “socialità” dove si sa tutto di tutti e niente di nessuno e dove “Certuni… a forza di gonfiare/ gonfiare e gonfiare/ …toccano il sole e…puf!/ Scoppiano” pieni d’aria e nient’altro; dove spesso si fugge la paura della solitudine, pure necessaria per avere coscienza di sé; dove si può essere sinceri, scegliendo amici e amiche “con rispetto ed amore”, ma allo stesso modo fingere amicizia e poi volgere le spalle.

In conclusione, l’unico e autentico tra tutti quelli nominati è il “Circo della vita” in cui la “Libertà” acquista lo spessore e l’inconsistenza, il peso e la leggerezza di un animo profondamente umano e “onesto”.

 

Zoccu âiu di scriviri

nun u sacciu

anzi u sacciu

M’ âiu di stari mutu

pirchì all’armi

impressiunabbili/

putissi astruppiari

 

Ciò che ho da scrivere/ non lo so/ anzi lo so/ devo starmene muto/ perché agli animi/ impressionabili/ potrei fare male.

 

 

Nenti, nuddu

e sacciu di tutti

ca parranu

parranu, parranu…

e starparranu

 

Niente, nessuno/ e so di tutti/ che parlano/ parlano, parlano…/ e straparlano.

 

 

U vintunu di Marzu/

tutti l’amici di puisìa

di canuscenza mia

scrivunu ca è ‘a festa do libru

e chiù di unu nguttuma

pi farinimunu di ciura e culura

 

Un iuòrnu e pa puisia

e dumani cusà zoccu anùprianu

e ntramenti ca tutti fujunu

p’accurdarisi a recitari

u circu è tuttu pi mia

e allura vaiu çiatannu

ca i çiura e i culura mii

su’ i palori di cu’ i ciara

e liggiènnuli s’alluci.

 

Il ventuno di marzo/ tutti gli amici di poesia/ di conoscenza mia/ scrivono che è la festa del libro/ e più di uno affligge/ per farne uno di fiori e colori// Un giorno è per la poesia/  e domani chissà ciò che inventano/ e nel frattempo che tutti fuggono/ per accordarsi e declamare/ il circo è tutto per me/ e allora vado fiatando/ che i fiori e i miei colori/ sono le parole di chi li annusa/ e leggendoli s’abbaglia.

 

 

Diciunu

chiddi chiù intrinsichi a mia

ca çiaru ‘a puisìa:

cu’ mi riscedi eni idda

iu

‘a siminu a usu iddanu

e ‘a travagghiu cu lena

pi cogghiri u lavuri.

 

Dicono/ quelli a me più familiari/ che annuso la poesia:/ chi mi ricerca è lei/ io/ la semino come un contadino/ e la travaglio con lena/ per cogliere le messi.

 

Gaetano Capuano, figlio di fabbro ferraio, nasce ad Agira,  in provincia di Enna. Emigra nel capoluogo lombardo giovanissimo dove consegue il diploma di Accademico Insegnante Acconciatore, attività questa che  lo lega definitivamente a questa città. Nonostante il suo distacco precoce dalla Sicilia non ha mai dimenticato le sue radici tanto che, scoprendosi poeta, sceglie di esprimere i suoi sentimenti in dialetto siciliano, attingendo non solo dai propri ricordi ma approfondendo le sue conoscenze, della lingua e della cultura della sua isola. Dopo aver fatto tesoro delle letture di autori come Meli, De Simone, Morina, Scandurra, Di Giovanni, Calì, Buttitta e contemporanei, si dedica alla poesia dialettale, ottenendo riscontri in concorsi letterari. Il dialetto adottato è quello di Agira, cristallizzato agli anni dell’immigrazione, facendo un prezioso preservatore di un idioma dell’entroterra siciliano che altrimenti sarebbe andato perso. Ha pubblicato Rispichannu rikurdanzi, 1996; Vientu d’autunnu, 1999; Assapurannu silenzi, 2007; A’ putìa, 2010; Milanisari, 2016; ‘Ncàlia ‘Ncàlia, 2017; Simenza rara, 2020. Sue poesie sono inserite in numerose antologie. Ha ottenuto numerosi premi, tra cui: Laurentum, 1995; Premio internazionale Città di Marineo, 1999, 2001,  2007; Salva la tua lingua locale 2014, 2016