C’era n’isula di Grazia Scuderi

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

 

“Se gli altri corrono / tu aspettami. / Trattieni il fiato / e poi respira.” Quattro bellissimi versi che possono esprimere l’amore, l’invito ad attendere il ritorno d’un bene perduto o semplicemente la Poesia che chiama a una attesa totalizzante, a sostare sulla meraviglia delle cose conosciute o nuove. In questa raccolta si intrecciano infatti varie tematiche e piani temporali: il filo conduttore è l’isola, Itaca, e di volta in volta parlano gli Omerici: Ulisse (il re), Penelope (la regina), Laerte (il padre del re), Anticlea (la madre del re), Telemaco (il figlio del re).

Nel tempo senza tempo, dove il mito sfiora la vita, nel sole di mare che brucia la terra e la rende sabbia “vicino a un muro / tra l’acetosella e l’acqua / in qualche angolo / io lo so / ci siete tutti voi” la voce della Scuderi è voce di ognuno che ritrova e riconosce un luogo ben delimitato – l’isola – dove vivono uomini e donne che sono padri e madri e figli e mogli, prima di essere investiti dalla sacralità del ruolo, che, proprio perché sacro, può separare dalla condivisione e dagli affetti. “Non c’è vittoria / che ti porta dove vuoi / …” dice il re, Ulisse; non puoi legare il vento perché non voli! E ancora “…piangere e cantare / lo stesso pare”: le emozioni hanno lo stesso sapore, quando ci si lascia imprigionare dal proprio destino. Anche il tempo sfugge e forse può essere evocato dalla memoria che racconta.

Eppure col setaccio si possono trattenere i ricordi e nel buio si può tornare a vedere “occhi neri / più grandi / del viso” e capelli sciolti che solleticano nei baci. È un sogno? Nel mito sogno e realtà trasmutano, immergendosi l’uno nell’altro.

In quest’isola anche il letto nido di rami d’ulivo ha voci; Penelope le ascolta, raccogliendole dal letto- pianta: il canto degli uccelli, il vento, i sospiri che sono sostanza d’amore più delle parole. Perché il cuore illumina la vita e fa vedere, prima ancora del pensiero che è rimandato a domani.

Grazia Scuderi dipana il suo racconto con un verseggiare asciutto e lirico, in componimenti “raccolti” sia per la lunghezza che per la declinazione del pensiero “Quello che non si dimentica / nasce di nuovo / e nasce nascosto. / Pronto a balzare fuori / quando ti appoggi / fra la notte nero di seppia / e il giorno bianco di zagara. / Notte nera / e giorno bianco / sono il contrario”

Per l’Autrice l’isola è luogo geografico e poetico, ma è anche la sua Sicilia: il dialetto è intessuto di suoni, verde e sole bruciante sul mare; la coralità di voci esprime la ricchezza della sua terra, mentre raccoglie tutto il sentire umano. I rapporti di sangue e di parentela evocano epoche più o meno lontane nel tempo e visioni che accostano Itaca alla Sicilia. “Non pesano gli anni, / pesano i vestiti / pieni di polvere / per quanto sono andati in giro. / Pesano le parole / quando entrano nelle orecchie.” (Laerte); “Le parole del vento / fanno paura / a chi non sa ascoltare. / Non profumano di fiori.  (Anticlea); “Non cerco il mare / e neanche la terra. / Cerco i rami contorti / che disegnano / il bosco / come il cuore / del padre / che non conosco.” (Telemaco); “Come un cercatore d’oro / con il setaccio / in mano / separo / pietruzze e sabbia. / Ingoio polvere. / Niente luccica. ”(Ulisse); “I muri delle case / hanno il tuo profumo… Il vento / li fa nevicare. / Stando li sotto / non è / meraviglia / ballare con la “Pallade Atena” (Penelope).

La voce del padre è voce dei vecchi che comunica il peso degli anni e delle esperienze; quella dell’anziana madre e regina esprime la femminilità nell’accoglienza delle parole e degli affetti; la voce del figlio confessa la ricerca delle proprie radici, prima ancora di nuove esperienze esistenziali; quella del re in cerca di gloria, dice la fatica di separare ciò che veramente conta dalle scorie dell’esistenza; infine la moglie e regina: nella danza con Athena ritrova la protettrice alla quale affidare sé e la sua casa, ma anche la “ragione”, l’espressività e la forza di lottare per la sua vita e per l’amore.

Così, ciascuna “persona” – nel significato più antico del termine etrusco (maschera che amplifica la voce) – se è autentica, entra in risonanza – risuona – con il suo intimo e, attraverso relazioni sincere, con l’intimo altrui. Nell’isola di Grazia Scuderi la sua voce risuona nelle diverse voci in un dialogo a distanza, e la “verità”, sempre ammesso che ‘’interesse primario dell’Autrice sia trovarla, non appartiene a nessuno, perché è in ciascuno.

 

 

Aspettimi

 

Su l’autri currunu

tu aspettimi.

Teni strittu u ciatu

je poi arrispira.

’Nto cielu

chinu di ventu

abbolunu

aceddi

ca non canusciu.

Rinnuli nichi

o chiddu ca su.

Assettiti n’terra

je n’silenziu

taliili macari tu.

 

ASPETTAMI – Se gli altri corrono / tu aspettami. / Trattieni il fiato / e poi respira. / Nel cielo/ pieno di vento / volano / uccelli / che non conosco. / Piccole rondini/ o quello che sono. / Siediti per terra / ed in silenzio / guardali anche tu.

 

 

Penelope

 

L’amuri non pigghia paroli

ma sulu suspiri.

Jè ciuri d’mmernu

je nuvuli d’astati.

Filari,

je scusiri

’nto stissu minutu.

Siminari linu

scantannusi re ciauli.

Girarisi ’nto lettu

’nta niru ri rami

ascutannu

u lignu parrari.

 

PENELOPE – L’amore non raccoglie parole / ma solo sospiri. / È fiori d’inverno / e nuvole d’estate. / Filare / e scucire / nello stesso istante. / Seminare lino / avendo paure delle gazze. / Girarsi nel letto / dentro un nido di rami / ascoltando / il legno parlare.

 

 

Laerte

 

Non pisunu l’anni,

pisunu i robbi

chini ri pruulazzu

pi quantu hana jutu jennu.

Pisunu i paroli

quannu trasunu ’nta aricchi.

Cu li vecchi non c’è varagnu.

Quartari ciaccati

je tempu persu.

Cuntastorii

o suli, je o fucularu.

Stuppa ne capiddi

fulinii ’nte manu.

Ma u sangu arresta u stissu

russu aranatu.

 

LAERTE – Non pesano gli anni, / pesano i vestiti / pieni di polvere / per quanto sono andati in giro. / Pesano le parole / quando entrano nelle orecchie. / Con i vecchi non c’è guadagno. / Anfore piene di crepe / e tempo perso. / Cantastorie / al sole, e al focolare. / Stoppa nei capelli / ragnatele nelle mani. / Ma il sangue è lo stesso / rosso melograno.

 

 

Ummiri

 

I paroli ro ventu

fanu scantari

cu non sapi ascutari.

Non fanu ciauru ri ciuri.

N’addisegnunu i facci re carusi

cu l’occhi chini di suli.

Non cantunu

quannu non ponu cantari.

Portunu ummiri

ca cummogghiunu

l’armi muti.

 

OMBRE – Le parole del vento / fanno paura / a chi non sa ascoltare. / Non profumano di fiori. / Non disegnano i volti dei ragazzi / con gli occhi pieni di sole. / Non cantano / quando non possono cantare. / Portano ombre / che coprono / le anime mute.

 

 

Telemaco

 

Nascii o scuru

e jè u scuru

ca acculura a me vita.

Non cercu u mare

je mancu a terra.

Cercu i rami ‘ntucciuniati

c’addisegnunu

u voscu

comu u cori

ro patri

ca non canusciu.

 

TELEMACO – Sono nato al buio / ed è il buio / che colora la mia vita. / Non cerco il mare / e neanche la terra. / Cerco i rami contorti / che disegnano / il bosco / come il cuore / del padre / che non conosco.

 

 Grazia Scuderi, C’era n’isula, Ed. Cofine, Roma, 2022

 

Grazia Scuderi, avvocato, è nata a Catania nel 1964. Ha pubblicato per Editore Rosenberg e Sellier in Quaderni di Sociologia vol. XLVII, 2003.31, Politiche di sostegno al reddito dall’assistenza alle politiche attive, il saggio dal titolo: “L’ascensore come situazione sociale problematica”. Suoi scritti sono apparsi sulla rivista “La Terrazza”. In poesia ha pubblicato la plaquette in italiano Armonie e dissonanze (2014) e quella in dialetto Ciriminacchi (Edizioni Novecento, 2019). Nel 2021 è stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone con la raccolta con “A testa sutta” e nel 2022 si è classificata seconda con “C’era n’isula”