C’è ’n’aria scapijata

Poesie romanesche di Maurizio Rossi

 

[MARZO 2025] C’è ’n’aria scapijata poesie romanesche di Maurizio Rossi (Roma, Edizioni Cofine) pp. 56euro 12,00

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IL LIBRO

«Accanto alle composizioni in lingua, ho sempre scritto poesie in romanesco: all’inizio quasi per gioco, specie nella forma dello stornello; in seguito per un desiderio di “leggerezza”. È nata così la prima raccolta, “Cercanno leggerezza” (2015), che nel titolo descrive un tentativo, appunto, mai concluso. Mi sono reso conto, infatti, che la leggerezza non può essere né la sola cifra della vita, tanto meno della poesia romanesca, nella quale la forma chiusa del sonetto, le rime, alcuni termini dialettali possono rendere l’immagine di una poesia scanzonata, se non una vera e propria pasquinata. Esempi di poesia romanesca alta, anche di denuncia, non mancano infatti, a conferma che il dialetto di Roma, come tutti gli altri dialetti, può esprimere profondità di pensiero e immagini colme di fascino. 

Ecco dunque questa seconda raccolta, composta nell’arco di una decina di anni, più matura ed equilibrata: in essa convivono poesie intime e altre ironiche o sferzanti; anche lo stile non è uniforme, comprendendo sonetti, componimenti in rima chiusa, in verso libero e anche in forma di stornello. Ho scelto di esprimermi in una lingua né accademica né aulica, o sperimentale: credo che il romanesco, almeno quello scritto specie in poesia, non possa restare ancorato alla lingua del Belli; né, per il solo desiderio di innovarsi, adattarsi completamente ad un gergo in uso specie tra i più giovani, frammisto a inglesismi, termini stenografici, o veri e propri codici propri dei social. 

Se la lingua italiana, pur conservando i suoi caratteri distintivi, si arricchisce nel tempo per contaminazioni con altri idiomi e per l’evolversi stessa della società nelle sue varie forme, il dialetto – in particolare quello romanesco, che risente senza dubbio dell’universalità di Roma – almeno nella sua forma scritta, non può prescindere da un aggiornamento che tenga conto della vasta letteratura dialettale dagli anni cinquanta del secolo scorso fino ai giorni nostri: non per un semplice desiderio di innovazione, ma per proseguire il compito poetico di “nominare le cose”. 

Resta una questione aperta, perché “Senza memoria non c’è futuro” come vedo scritto sui muri: la memoria, cioè le proprie radici, anche quelle linguistiche». (Dalla Nota dell’Autore)

 

L’AUTORE

Maurizio Rossi. Medico specialista attualmente in pensione, Maurizio Rossi scrive in lingua e in dialetto romanesco. 

Nel 2008 ha pubblicato la prima raccolta di poesie Dal pozzo al cielo a cui sono seguite: Tempo di tulipani, 2009; Sono aratro le parole, 2011 (Lietocolle); Che resta da fare, 2014 (Lietocolle); Cercanno leggerezza 2015, in dialetto romanesco; La veglia e il sogno, 2019 (Collana Aperilibri, Ed. Cofine); Di sabbia e d’arancio canterò, 2023 (Ed. Cofine). Nel 2022 ha editato il romanzo La ruota di Duchamp (Ed. Cofine). 

Sue poesie sono pubblicate in antologie e riviste specializzate. 

Nel 2020 ha curato la prefazione di Quegli anni dall’alto di Antonio Orlandi, (Ed. Cofine) e ha partecipato con scritti critici al volume Vincenzo Luciani, poeta editore (Ed. Cofine); nel 2021 ha curato la raccolta di racconti e testi Il virus in una stanza (Ed. Cofine). 

Collabora con scritti e recensioni al sito web “Poeti del Parco”; è nella redazione della rivista “Periferie”. 

È socio di “La Primula”, associazione tra volontari e famiglie di disabili, nella quale partecipa al laboratorio teatrale integrato e agli spettacoli messi in scena. È tra i promotori dell’associazione “Casa delle Poesie Centocelle” nel territorio del V Municipio. 

 

NEL LIBRO

 

Dormi, dormi 

Me giro e m’arivorto drent’ ar letto 

sbatto er cuscino stiro la coperta 

e, gnente! er sonno se n’è ito 

abbraccicato ar sogno. 

Apro la mano e te carezzo, 

piano, nun te vojo svejà. 

Riassomma1 dar petto un ciafrujo2 

de ricordi. Io che te sbaciucchio, 

prima ch’ er sole ariccapezzi e scopra 

la bucìa. La sveja s’affanna 

a riccoje er tempo. Dormi, dormi, 

nun sò manco le tre.

1 Riassomma: torna a galla. 

2 ciafrujo: miscuglio confuso. 

 

Riassomma Povesia 

Qua in periferia a tempo perzo, 

vado ariccapezzà la Povesia 

er verzo e l’annatura a le parole 

e scioje ar sole la tristezza. 

Er cane annusa l’aria de matina 

e trotterella affianco. 

Sur marciapiede l’erba nasce 

e cresce tra li cocci e le cartacce. 

Roma s’intorza co la puzza 

der fiato de li menefrego. 

Guardo er cane, m’ariguarda: ho inteso. 

Comincio a riccoje in d’una sporta, 

’gni sorta de monnezza, e poi 

la butto ne la bocca der secchione. 

Una donna sorte dar portone: 

«Questo dovemo fà, penzacce noi» 

e se mette ariccoje puro lei. 

L’aria s’ariempie de visioni 

arisento li sòni de Povesia 

che s’arisveja tutta scapijata.