Bucare il tempo di Sonia Ciuffetelli

a cura di Anna Maria Curci

 

Con il lapis* #45: Sonia Ciuffetelli, Bucare il tempo, Arcipelago itaca 2024

Anche i giusti

Anche se ti guardo dalla parete dei sogni

sola e incapace,

posso vederti annaspare sotto la luce dei giorni finiti;

anche i giusti affannano la notte

quando si arrampicano verso un’alba che fugge:

ora tu hai un letto da scalare

primo fra gente che getta al fondo

il ruvido amaro sentore della morte.

(p. 95)

Se la parola poetica si pone sempre sul confine, su una soglia dalla quale volge lo sguardo, emette il canto, evoca presenze, in Bucare il tempo di Sonia Ciuffetelli essa assume la responsabilità e l’intenzionalità dell’azione espressa dal titolo dell’intero volume. Bucare il tempo è non solo protendersi oltre la linea, il limitare delle distinzioni, oltre la separazione tra il presente e il vissuto, tra il qui e ora e ciò e chi è già (tra)passato, ma è anche, oltre il disfarsi delle cose, il duplice movimento di decostruzione e di ricostruzione. 

Ciò che intercorre tra i movimenti di decostruzione e di ricostruzione è un succedersi di scoperte che dischiudono, e poi dispiegano, un “nuovo sentimento del tempo”. Insieme a questo, si fa strada una accresciuta consapevolezza circa i legami tra la realtà e i sogni e, soprattutto, circa le interconnessioni tra le voci che già sono state e le voci che sono ora. Non si tratta soltanto di un ponte tra i viventi e coloro che li hanno preceduti, bensì anche, come precisa l’autrice nella Nota introduttiva, di collegamenti tra le diverse modulazioni della voce di uno stesso personaggio nel tempo.

Bucare il tempo reca la dedica «A te, papà». In Anche i giusti, tratta dall’ultima sezione del volume, Anziani, così come in altre poesie della raccolta, sembra che sia proprio la figura paterna ad attirare su di sé funzione e caratteristiche del tu, con il quale l’io poetico interloquisce. Tappa fondamentale del succedersi delle scoperte circa la «rete di eventi interconnessi» (Sonia Ciuffetelli nella Nota introduttiva), Anche i giusti attribuisce al tu che si trova al di là della «parete dei sogni», così come ai giusti – della cui schiera si può supporre che ora faccia parte – predicati significativi, espressi da tre verbi, tutti e tre con la lettera A iniziale, così colti dalla percezione («guardo», «posso vederti») dell’io poetico: «annaspare», «affannano», «arrampicano».

Sono azioni che denotano un lavorio e una tensione che li accomuna a colei che, dall’altra parte, si sente «sola e incapace». 

Se si leggono di seguito i titoli delle otto sezioni che compongono il volume dopo il PrologoPiccola, Adolescente, Madre, Grande, Viaggiatore, Innamorati, Amanti, Anziani –, si rende visibile una variazione, dopo le prime cinque sezioni, dal singolare al plurale. L’andamento segue palesemente, inoltre, una progressione secondo le età degli umani, dunque secondo le epoche della vita. La rete di interconnessioni procede e diviene man mano più fitta, si aggiungono nuove voci, mentre quelle che si erano espresse nell’infanzia e nell’adolescenza assumono toni e timbri nuovi. Tali elementi contribuiscono in misura rilevante all’ampiezza di accenti che caratterizza Bucare il tempo di Sonia Ciuffetelli.

Gli undici componimenti che costituiscono il Prologo dell’opera contrappongono una sempre più acuta consapevolezza e una sempre più decisa volontà di liberazione di un io poetico femminile alle raffigurazioni, alle «prepotenti rappresentazioni», alle «immagini fatue» proprie e altrui. Gli altri, che «Poi ti trattano come se fossi/ la donna che hanno appuntato/ nelle loro teste», sono i portatori brutali di una «insipienza molle». Quanto essi siano violenti, nonostante la loro molle insipienza o forse proprio in conseguenza di questa, è rivelato dal testo X del Prologo, con immagini dall’efficacia espressionistica, insieme asciutte e visionarie, che sembrano richiamare alcune scene del romanzo Cecità di José Saramago. 

Gli altri, ostili e insipienti, ritornano nella sezione Piccola, nel primo testo, Da qui non ti riconosco, come persone che raccontano favole antiche, «mentre un mamba nero» avvelena la piccola che ora ha otto e anni e che invano grida aiuto. Gli altri sanno tutto, mentre la bambina fa il verso a ciò che dicono di lei: «Quello che penso/ è una idiozia infantile, che ne so della vita». Gli altri diventano in questa epoca della vita un «voi» contro il quale l’io si scaglia.

Proprio la seconda persona plurale ritorna a rivestire un ruolo importante nel movimento drammatico impresso ai testi poetici della sezione Adolescente. Il componimento d’apertura di questa sezione, Mandate avanti gli innocenti, si presenta già dal titolo come atto d’accusa. Il distico conclusivo, articolato in un endecasillabo e un novenario: «Attendere la ginestra caparbia/ sulla pendice del vulcano», apre tuttavia lo sguardo a una visione universale dell’umanità, che accosta illusi e menzogneri ai capri espiatori innocenti, attraverso l’evidente citazione della celeberrima poesia leopardiana. 

L’adolescente «brucia il presente», ma ha già iniziato a cantare la propria canzone; nella sezione Madre l’io poetico dice di sé «ero così breve». Nella sezione Grande, la bambina, poi adolescente, poi madre, ha appreso il valore della dimenticanza e attende che il corpo, che serba memoria dei traumi, dimentichi, in modo da «guarire le ferite» (Ma di dimenticanza, p. 42). Attenzione, tuttavia: la memoria nel tempo e del tempo continua a rivestire un ruolo centrale e «la dimenticanza» non è mai rimozione, alle quali possano soggiacere ferite o traumi. Il trauma del sisma, del terremoto dell’Aquila del 2009, dell’essere travolti dalle macerie, ritorna con la fortissima pressione del presente, anche nella scelta del tempo verbale, all’indicativo presente, appunto, e nel ritmo incalzante, dalla piaga aperta dell’incubo («Respiro sotto le macerie») al «sogno senza ferite e senza volto/ da lì esce un amico che scava/ un tempo infinito/ che scava» (I cani sono vicini, p. 45). 

Se il tempo è costellato di ferite, dove «I corpi morti rimbalzano come scoppi schiantati» (Alla barbara migrante nella sezione Innamorati, p. 66) e giunge «l’esalazione della meraviglia» (Poi arriva, nella sezione Amanti, p. 75), la poesia riesce nel suo intento di «bucare il tempo», di infrangerne la compattezza proprio là dove ci si ostina a interpretarlo come muro impenetrabile, a forarlo per farvi passare attraverso il filo della interconnessione, a non lasciarsi schiacciare dall’infinità delle domande e dalla fragilità delle risposte. In breve, essa riesce a recuperare il respiro e a imprimere a questo il proprio ritmo, il proprio timbro, la propria melodia, originale e inusuale, inconsueta e spiazzante, ma sempre melodia. 

Anna Maria Curci

*Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.