Benedetto Lupi e la sua lingua segreta

Profilo del poeta e autore teatrale in dialetto di Subiaco

Benedetto Lupi (Subiaco 1928), insegnante in pensione (insipèns, come ama definirsi), ha trascorso parte della sua vita in Africa dove giunse nel 1950 come volontario del corpo di sicurezza dell’AFIS (Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia) restandovi per 24 anni come insegnante.

A Mogadiscio appronta un testo di Geografia della Somalia per le scuole italiane e prepara dispense per lo studio comparato dell’inglese-somalo-italiano per gli studenti anglofoni dell’università della Somalia.

In Italia collabora con la redazione del bimestrale dei Padri Benedettini Sacro Speco con articoli e poesie. Cura l’allestimento dell’edizione in italiano di San Benedetto – Vita e Miracoli, di quella in inglese-tedesco-spagnolo del volume San Benedetto – La Vita e la Regola e della Guida Turistica plurilingue Sacro Speco – Subiaco.

Ma la passione di Lupi è il dialetto, il “suo dialetto” quello della sua terra di cui per usare le sue parole “un emigrante non può fare a meno di pensare, come non può fare a meno di pensare alla propria madre. E la poesia, la musica, il raccontarmi ridefinivano i contorni, consolidavano i colori, toglievano le impurità, restituendomi immagini dei luoghi, a me cari, nitide, e così… l’identità di appartenere ad una piccola porzione di mondo. La mia lingua mi appassiona, la poesia…” Questa dichiarazione di Lupi è nel proemio del suo testo teatrale Notti africane. Abballe all’Afreca penzènno a càsema.

Lupi è autore (“è un po’ il mio racconto interiore, didattico-linguistico” dice lo stesso autore in Notti Africane) della trilogia Sublacus-Subbjàcu-Subiaco in tre volumi (I-Grammatica normativa del dialetto sublacense – pp. 156, del 1995; II-Rime e prose in dialetto sublacense con traduzione in italiano e appendice di nomi, soprannomi, toponimi e vocabolarietto – pp. 178, del 1995; III-Lessico del dialetto sublacense, ordinato secondo le vocali tonica e finale della parola – pp.238, del 1997).

Il primo volume Grammatica normativa del dialetto sublacense contiene: Parte Prima-Appunti di Fonetica; Parte seconda- Morfologia: Molto interessanti le parti Terza (in cui Lupi da saggio di grande familiarità con il proprio dialetto avventurandosi in “giochi” di polisemia e scherzi e giochi di parole; e la parte quarta dedicata a cenni di metrica e alle strutture delle forme poetiche (il verso, la rima, la strofa).

Nel secondo volume Rime e prose nella prima parte dà ampia riprova delle sue capacità di verseggiatore. Le poesie di Lupi a loro volta sono suddivise in cinque sottosezioni:

1) Subbjacu (in cui ripercorre in una sorta di visita guidata i luoghi della storia, della geografia, della toponomastica sublacense e i luoghi più intimi della sua storia di fanciullo e di adolescente, soprattutto, senza nulla trascurare o dimenticare, spesso in maniera didascalica, come si addice a un maestro. Nella poesia “Subjacu”, colpisce soprattutto l’invettiva sulla decadenza ambientale e morale odierna nelle strofe dalla 45 alla 58; sono invece stupende per i vividi ricordi dell’infanzia, le strofe dalla quinta alla decima de “La sitiòla ’egli Scalùni”.

Molto bella “L’accua sonnàta” in cui prepotente è il richiamo della terra natale, ricca d’acque, conservato con devozione nella lunga parentesi esistenziale dell’autore nella sitibonda Somalia. La poesia inizia con: Se comm’è bòna l’àccua se té sete! / Te cala abballe per gliu cannarózzo, / la sinti ncanna; comme chi sta a mète / ne bearisti più de ca tinózzo. (…) per concludersi, dopo aver ripercorso tutti i toponimi legati alle copiose fonti sublacensi, con: Chest’àccua, aho, cuàntu la só bramata, / cuant’àccua mara m’ha tuccutu a béie! / La vita méa all’Afreca ha passata / e mo nun mi cci vè mancu da créie).

L’Aniene, in prima persona in “Eo, Anièle” narra la sua gloriosa storia, servendosi di un ritmico, epico doppio quinario, fino all’ingloriosa ed avvilente sua condizione contemporanea che lo fa indignare: Eo ònco tuttu – ma uiàri gnènte; / se che me ite? – solo robbaccia. / Non me nzuglìte – e stite attènte / preché pe cuantu – pòzzo abbozzà?

Ma Lupi sa adoperare anche il registro lirico come nell’area e leggiadra “Juna pjéna de sottémmeru” che si muove sull’onda emotiva di lievi ottonari e in “Le lùcciche” dove ritorna e si rinnova l’antico stupore delle lucciole: Chélle lùcciche sóto i pinziéri / che agliùmanu l’àlema méa; / so’ pinziéri che, tata me icéa, / te fàu scèrne lo male e lo bbè.;

2) Le staggiuni (un piccolo poema organico in cui l’alternarsi delle stagioni si sposa a scene ed episodi della vita di Subiaco di una volta: le immagini mitiche delle stagioni di un tempo ormai lontano, i frutti e i cibi, scene di mietitura e di vendemmia e, amaro, il confronto con l’oggi);

3) Accasiuni (dedicata ad occasioni, soprattutto feste e ricorrenze);

4) Sènza sénzo (Qui si scatena il Lupi giocoso con giochi di parole, figure, scherzi, molto divertenti, autentici esercizi di bravura che dimostrano grande padronanza del lessico sublacense);

5) Infine in Alema subbiaciana Lupi si abbandona a un’esplosione di filastrocche, indovinelli proverbi e stornelli.

Nella sezione dedicata alle Prose, nella parte prima figurano traduzioni in dialetto “Da ari libri” con testi tratti da Tacito, Boccaccio, da G.B.Basile, da Manzoni, da Fogazzaro,; nella seconda “Recordi”, racconti e aneddoti di vita sublacense; nella terza parte “Fàole” favole famose sono riproposte in dialetto mentre una “Binittu”, è moderna ed autobiografica, amara e ricca di insegnamenti (pp. 142-144).
In Appendice: un Vocabolarietto con 959 termini usati nelle composizioni di Sènza sénzo; 681 Nomi; 1105 soprannomi; 546 toponimi.
In –Lessico, terzo volume della trilogia di Lupi è originale l’ordinamento dei vocaboli secondo le vocali tonica e finale della parola. Il volume è suddiviso in sette capitoli, ognuno dei quali raggruppa le voci aventi la stessa vocale tonica. Ogni capitolo a sua volta si suddivide in sei sezioni a seconda della vocale finale della parola. I vocaboli registrati, sono frutto della ricerca e dell’analisi delle opere dei migliori autori che si sono occupati del dialetto sublacense. Oltre alle parole di uso comune sono presenti termini in disuso e quelle più recenti frutto del processo di volgarizzazione della lingua che Lupi diligentemente annota.

Scopo dell’opera, secondo l’autore, è quello “di fissare sulla carta quanto più è stato possibile raccogliere sul vernacolo sublacense, perché (almeno finché dura il suo supporto, magnetico o cartaceo che sia) ciò che è scritto vive a lungo, ma non così a lungo ciò che è soltanto detto: scripta diu vivunt, non ita verba diu – H. Walther)

Anche se Lupi si autodefinisce “non addetto ai lavori” tratta la materia dialettale con la puntigliosità e l’accuratezza di un maestro innamorato della sua lingua materna che ama con la passione immensa di chi, anche soggiornando in Africa, non ha mai smesso di parlarlo e di pensarlo.

La sua competenza dialettale è frutto di conquista, attraverso anche la lettura dei maestri quali Lindstrom e Clemente Merlo e lo studio appassionato dei dialetti e dei poeti dialettali.

Infine grande è il suo amore per Subiaco. Lo testimonia tutta la sua opera dalla trilogia, alle sue operette teatrali.

Un piccolo grande segnale: è in conclusione del volume II della trilogia ed è uno stornello (intitolato Pe ’nzerà) in cui questo amore si manifesta in maniera libera e senza freni: Fiore d’acanto / so nnatu écchi a Subbjàcu e só contento, / só nnatu écchi a Subbjacu e mme nn’avanto.

Infine una annotazione sulle opere teatrali di Benedetto Lupi.

Ad iniziare da Mistero di un Buffone, uno spettacolo teatrale ispirato alla vita del noto personaggio sublacense Edoardo Piratoni, detto “Parapà, scritto dal Laboratorio Alter Ego (attivo in Subiaco dal 1995), accuratamente riletto e presentato da Lupi nel 1999 in un quaderno patrocinato dall’Amministrazione comunale di Subiaco.

Affidati a quaderni o bozze, ma scritte da Lupi sono le opere: La Rocc’aracconta, Atto unico, del 2007 (una rivisitazione di luoghi, storia e leggende di Subiaco dalle origini della Rocca nel 1070 fino a i primi del 1600); Adda munnu! Commedia del 2007, in un atto, in cui si rappresenta Subiaco in un’osteria in un sabato sera di fine estate dei primi anni del Novecento.

La più notevole resta Notti africane (Abballe all’Afreca penzènno a càsema – N’ora nzunu pe arefaccci la occa), del 2007. Il testo racchiude la storia vera di Benedetto Lupi che nel Taccuino n. 1 di Pittucciu a p. 3 la definisce “un viaggio interiore, lontano da casa, che dura lunghi anni e un continuo ritorno verso i ricordi della propria terra in Val d’Aniene, e della propria gente, al tempo della fanciullezza, dell’adolescenza e della giovinezza; è uno scrutare nel fondo dell’anima alla ricerca assidua delle ragioni dell’esistenza e quindi un risveglio gioioso di filastrocche, scherzi e scioglilingua al ritmo di allegri motivi musicali”.

I testi che compongono l’opera sono disposti in poesia ed in rima, risalgono fino al 1950 e, attraverso la rappresentazione fanno rivivere “un’epoca che ormai non c’è più”.

Notti africane (il cui debutto risale al 13 novembre 2005) è stata più volte rappresentata a Subiaco, in comuni della Valle dell’Aniene e persino a Roma. L’opera è la piccola “Commedia” di Pittucciu Jupi.

J’addore de lle tiglia de gliu Campu è quello dell’infanzia, di quando me ss’hau raperte le porte ’gliu munnu / alla calata che va da gliu Campu… di ésso ne parlo tantu spissu… preché gni cosa m’ha remasa a mmente (tutti mestieri di una volta, di paese e di campagna, il nonno; le osterie di una volta. Ma anche il cielo tropicale e la juna pjéna de sottémeru che si affaccia a Collelònco; le lucciole e gli occhi degli animali nelle notti africane che sembrano lucciole giganti; le feste paesane, i giochi di una volta e i giochi africani così differenti da quelli italiani, scherzi, giochi di parole; e ancora la Somalia da cui è dovuto fuggire e dove, “dopo trent’anni, si vive nella paura di essere uccisi”).

L’invocazione di Benedetto, un lucidissimo ottantenne è: “Non toccate i bambini! Che futuro sarebbe senza di loro” ed ad essi è dedicato per intero il suo lavoro “per fare della loro vita la migliore che ci sia”.L’invocazione di “un uomo che parlava e scriveva con il cuore una lingua che non c’è più” (p. 46 Notti africane”) 

 

V. L.

5 novembre 2011