Autism Spectrum di Patrizia Sardisco

Scelta di poesie e postfazione di Anna Maria Curci

#0

lo spettro non traccia nei normografi
senza riga e compasso
china a mano libera
la testa
disdegna
di segnalare non insegna
riconsegna
un lato umano asintotico
a ogni punto

 

#3

hai percorso volando
l’enclave breve
di un acceleratore del pensiero
i piedi alati divine particelle
in moto sghembo in ascesa poi
la planata
e sei atterrata estranea esausta
straniati gli arti
crudi arrochiti alberi le mani
le disprassie fanno il vento contrario
nelle mani ammainate issate
contrariate contratte aperte e chiuse
gli occhi di più
cloro in un loro cielo

 

#5

l’insufficienza dei filosofi guardiani
la rotta frenesia e gli argini argillosi
il soliloquio perenne l’ecolalia disforica
lo strabismo sorpreso e l’attenzione artiglio
la tenaglia la faglia il maglio il deraglio
il groviglio
l’imbroglio ferino del passaggio all’atto
la liquida incoerenza oculomanuale
cardiomanuale
l’anima animale accumulo sul gesto
il transito veloce di una refe
nel lago pensiero
lo sbrego il gorgo l’ardua gora del giorno
la parola

 

#7

sirena annaspi in questo mezzo asciutto
un delfinario di occhi e di rumori
cerchi cifrari fra cerchi di parole srotoli
cunei di un unico pensiero e alcune altre istanze rutilanti
getti il rocchetto tiri il tuo filo dici e ripeti
il tuo fort-da freudiano
chi è lei [ripeti] chi è lei [ripeti]
che fa [ripeti] e lei che fa chi è
chi è lei che fa [ripeti] e ridi e
ridi ridi e ripeti
e ridi e cerchi un gancio in qualche punto
sulla mia mente pelle e sui capelli
nel nicchio dell’ascella tra le scapole ali
cerchi nella mia mano trovi
il guanto il vago nella gola un muro un tetto
la voce fuori campo nomotetica
la copertura parola che non ti vede cielo

 

#38

i fantasmi della casa in disarmo
disserrano gli infissi
non si sente la voce il lume non si vede

e lo spettro non è
un barbarico
urlo di poesia

forse colti nel sonno tutti i gesti
ricomporranno armonie più pronte
alla concertata comprensione dei manuali

una lingua universo un’armonia
senza più i connotati
di gravità

 

#49

terra senza notizia landa guasta
persa dallo specchio dei neuroni
forse riverberi il grido di Sileno
il controintuitivo urlo
oltreumano
la corsa nell’inerzia di natura

cura fonoassorbente all’urlo
la culla allocutoria io – tu
pedagogia di metro e nomina
distanza di distanze e posti in essere
con tenacia di verbo
all’infinito

 

Patrizia Sardisco, Autism Spectrum. Postfazione di Anna Maria Curci, Arcipelago itaca 2019

 

La mossa dell’Odradek. Autism Spectrum di Patrizia Sardisco

Nel racconto Il cruccio del padre di famiglia Franz Kafka pone dinanzi a sé e a chi legge una delle presenze più enigmatiche della letteratura: l’Odradek. Parte dall’etimologia della parola, ne enumera le ipotesi interpretative, per vanificarne subito dopo veridicità e verosimiglianza. Perché crucciarsi dell’impossibilità di decodifica di una parola, allora? Perché, semplicemente, c’è un dato di fatto incontrovertibile, innegabile, un dato che, per quanto perturbante possa apparire, non va ignorato: l’Odradek esiste, è descrivibile, perfino assimilabile, non già a una forma umana, bensì a un rocchetto di refe, un rocchetto piatto, a forma di stella. Sì, è rivestito di refe, solo che i pezzi di refe sono annodati alla rinfusa l’uno all’altro, in un groviglio di tipi e toni cromatici. La sua presenza, le sue apparizioni non programmabili, ma “inevitabili”, come recita il testo, sono fonte continua di preoccupazione, così come aperta e inquietante resta la questione relativa a una sua eventuale mutazione da una (eventuale? auspicata? solo sognata?) originaria condizione di funzionalità, di finalità riconducibile a un logos del quale l’Odradek sembra aver perso ogni connotato. In Autism Spectrum di Patrizia Sardisco torna, con un impeto capace di scuotere fin dalle fondamenta ogni certezza,  l’urgenza dell’interrogazione, l’enigma perenne di ciò che sfugge a ogni controllo razionale, il “cruccio del padre di famiglia” di Kafka dinanzi all’Odradek.
Il titolo in inglese, come in Kafka avveniva per quella presenza dal nome di origine ‘altra’, risponde al duplice bisogno di stabilire una distanza emotiva di sicurezza e di sottolineare l’esistenza di un termine specifico per un fenomeno che ha «luogo non logo». Autism Spectrum, spettro autistico, sta a indicare l’ampiezza e la non riconducibilità a una sola causa di manifestazioni diverse. Autism: un novello Odradek? Certo è che, proprio in uno dei primi testi di questa raccolta, ricorre la parola «rocchetto», anche se riferito all’io che diventa rocchetto nelle mani di un «tu» nel quale sono riconoscibili i segni dell’autismo. Certo è che Spectrum, “spettro”, in italiano ha significati molteplici, ai quali i testi di Patrizia Sardisco non si sottraggono: immagine, gamma, figura minacciosa, fantasma.
La preoccupazione, quel cruccio persistente di chi si arrovella per cercare prove e soluzioni, resta, tuttavia, e spia ne è il ricorrere dell’espressione «forse la prova è»; è la preoccupazione di chi si sente responsabile, come il “padre di famiglia” di Kafka, di una azione educativa.
Nei componimenti poetici che danno testimonianza di un ripetuto, sofferto tentativo di venire a capo di un groviglio di impulsi incontrollati, di ripetizioni coatte, nell’attesa, carica di una tensione che riempie ogni gesto e ogni pensiero, che il «loop si irradi di parola»,  nello sforzo di trovare discernimento in un indistinto non di rado ostile, drammaticamente ridotta è la tenuta della pedagogia, che appare, segno del suo indebolimento, sempre associata a un attributo o a un complemento: «pedagogia del fiato», «pedagogia salvifica», «pedagogia di metro e nomina».
Gli assalti all’indistinto, nell’intento di dirimere «il grido dal pensiero», si manifestano con gli strumenti linguistici della commistione, la quale non esclude a tratti il vero e proprio scontro, una stridente dissonanza, tra termini, intenzionalmente o forzatamente impoetici («continuità stocastica»), del linguaggio settoriale, quello della psicologia innanzitutto, e la lingua che siamo usi a riconoscere alla poesia, tra squarci lirici («luce purissima»), citazioni («landa guasta» eliotiana) e giochi di parole, talvolta esasperati (ma è un segnale del coinvolgimento dell’io lirico fin nelle pieghe più inconfessabili), con radici e componenti sillabiche: «l’amo mio d’amore».
Eppure in questo resoconto di un’esperienza estremamente dolorosa, la parola che sale alle labbra di chi legge, è «professione», parola che unisce scelta, dichiarazione, attività lavorativa e passione – puntigliosa, irruente, dolorosa – per la parola.

© Anna Maria Curci

 

Pubblicato il 29 maggio 2019