‘Antichi giochi e giocattoli, conti e cante’ di Castel Madama

La presentazione del libro di Alessandro Moreschini a cura dell'autore

Il 6 gennaio 2010, alle ore 16,30, presso il salone baronale del castello Orsini a Castel Madama è stato presentato  il libro Antichi giochi e giocattoli, conti e cante di Castel Madama di Alessandro Moreschini, Ed. de Il Centauro, 2009.

Poeta in lingua e nel dialetto di castellano, Alessandro Moreschini è nato a Castel Madama nel 1938 e vive a Tivoli da molti anni. Ha svolto attività lavorativa a Roma. È stato assessore all’Istruzione al Comune di Tivoli.
Ha pubblicato le raccolte poetiche in italiano Camminare (1971 e, Sazio d’erbe amare (1976); e in dialetto Cuturuni cuturuni pe lla pallatana (1983), Casteju bbeju tuttu vantu (1986), E come chi non pare (1993), preceduta nel 1988 da E tu m’accordi (antologia poetica) in lingua e in dialetto, seguita da Taratabassuca (1995) e nello stesso anno da A chi sgòbba la gòbba a chi arobba la robba… (Proverbi, modi di dire, frasi idiomatiche, termini di paragone e soprannomi…).
È autore del romanzo L’ultimo degli Equi (2000) e dell’opera in tre volumi Avviamento allo studio del dialetto nel comune di Castel Madama (2005).
Riportiamo qui di seguito la bella introduzione al libro scritta dalla stesso autore.
"Tra i tanti luoghi nei quali sono vissuto o che ho visitato, ricordo con sviscerato amore la città dei miei studi, Assisi. Mi sento legato volentieri a Tivoli, dove vivo da tantissimi anni e dove sono stato anche assessore comunale. Sono affezionato a Roma sia come città d’arte, ma anche come sede del mio lavoro per 35 anni. Ho nostalgia di rivisitare le tante bellezze artistiche di Firenze, di Venezia e d’altre città e località ricche di naturali visioni di questa nostra “bella Italia…”, città e luoghi visitati e vissuti intensamente, soprattutto durante le ferie estive. Ma il luogo più caro, e prolifico di sentimenti e di memorie, è il paese dove sono nato, Castel Madama.
È qui che spesso indirizzo i miei pensieri, è qui che rileggo il mio passato, è qui che trascorro, quando posso, le ore del tempo libero.
Qui ritrovo la primitiva visione del mondo, del mio vivere, i primi passi, la mia immagine di scolaretto con il grembiule blu ed il colletto bianco, il maestro, il banco di scuola scalcinato, traballante, sporco, consumato, graffiato, inchiostrato…
Qui ritrovo la mia adolescenza, i primi morsi della fame, i primi pianti, le cadute, le “scazzottate”, i giochi, i miei giocattoli fatti di niente, le rincorse; qui rivedo le albe e i tramonti, i miei olivi, le piante, il venticello, l’acque sorgive, l’estate delle cicale.
Qui ritrovo il profumo del grano, del fieno, delle mele, delle pere, dei fichi, l’autunno delle uve, del mosto nelle cantine, dell’olio nei frantoi a dicembre.
Qui ritrovo la fragranza del pane appena cotto al forno, il richiamo mattiniero del fornaio, della lattaia la sera; il verso dell’asino all’abbeveratoio, del bue nei campi, dei cani randagi nei vicoli; il miagolio dei gatti, il coccodè delle galline, il chìcchirichì dei galli a beccare spesso fuori dal pollaio, nei cortili, persino sulle strade, nelle piazze, indisturbati.
Rammento le feste religiose con i riti di S. Michele Arcangelo Patrono, sia a maggio sia a settembre, con la fiera del bestiame, di S. Sebastiano con ju calemme (l’albero della cuccagna), di S. Antonio con la corza de i cavaji, della Madonna co j-atali , di San Sidoro co ju sulicu a le fratti…e poi il Natale, il Carnevale, la Pasqua delle taccatàvore, delle gnàcchere e delle suggestive processioni…
Ricordo le donne anziane avvolte nelle antiche vesti (varneji e scialle) il loro recitare il rosario nei portoni dei palazzi, lo schiamazzo di noi adolescenti nei cortili, lungo le strade e gli spiazzi…le corse estive al fiume e lungo i fossi a fare il bagno… le nostre sere d’estate nei vicoli poco illuminati o fuori l’abitato a catturare lucciole e nelle giornate fredde, entro i portoni a giocare a i quattru cantuni, a mazzarocca, a zompacavaju, a ju schiaffu, a ju cucuzzaru o a anello anello mio bell’anello…a zirumatiju e persino a rappresentare la morte con la cócózza e la cannela (la notte di Halloween..?!!!|)
Rivedo come in un sogno, il roteare degli scaldini l’inverno, il gioco delle spade a primavera al Prato di S. Antonio, il correre dietro un cerchio, lanciare la ruzzola, spingere un monopattino, una carrozza, cavalcare correndo un bastone come fosse un cavallo o battere una lippa, tenere tra le mani, una fionda, una cerbottana, soffiare bolle di sapone con un cannello di paglia o far roteare una trottola, una pizzarda, lanciare un aeroplano o manovrare un fucile di sambuco, ammirare un’elica salire verso il cielo o alzare un aquilone nell’azzurro. Tutti giochi in libertà, in spazi aperti, in socialità; ricreazioni non programmate né tanto meno precettate come avviene il più delle volte oggigiorno…
Oggi, ad un’età nella quale la vita per me è in gran parte vissuta, ho voluto ricordare né con nostalgia né con rimpianto, ma con lo sguardo rivolto al futuro, i luoghi, la lingua dei miei avi, le loro tradizioni, i loro usi i loro costumi e soprattutto, in questo caso, i tanti giochi e giocattoli, conte e cante che avevano allietato la mia fanciullezza.
I bambini e i ragazzi d’oggi non hanno più veri e propri giocattoli, né li costruiscono insieme ai loro padri, alle proprie madri, ai nonni come avveniva una volta, che pur avendo un’ampia varietà di giochi da acquistare, giocano molto meno, se si esclude la partita di pallone.
Il loro passatempo sono soprattutto i programmi televisivi, i videogiochi, la playstation, le puzzle, senza dubbio utili per lo sviluppo dell’intelligenza, ma ai quali non si affezionano che per un solo giorno. Se si rompono ci sono le tasche di nonno o nonna o papà a comperarli di nuovo.
Non era così una volta. Io ricordo la grande ed indescrivibile gioia che provavo quando con il nonno o mio padre si costruiva insieme un gioco (ju piccuru, ju ruzzicu, ju carammatu) ossia il giocattolo che avevo desiderato fortemente oggetto da tempo della fantasia e dei miei pensieri. Io spesso dialogavo con quel giocattolo e lo custodivo come un bene prezioso, anche perché, nei tempi passati, pochi giocattoli erano in vendita nei negozi, se non qualche bambola o carrettino, e solo per le famiglie agiate, non per la povera gente.
Vi erano in ogni modo giochi per ogni ora del giorno, per ogni mese dell’anno, per ogni stagione. Giochi ingegnosi, affascinanti, sofferti, curiosi, allegri, divertenti, briosi, tutti giochi e giocattoli costruiti con grande inventiva con l’aiuto ovviamente dei padri o delle madri o dei nonni. Giochi che hanno una loro origine antichissima: romana, greca, etrusca e spesso legata agli antichi mestieri dei nostri avi (il calzolaio, il bigonciaio, il muratore, il potatore, il contadino, il mietitore, il fornaio, ju mulinaru, il falegname, il pescatore, lo sediario, il fabbro, il sarto, la cazettara, l’ovara, ju ‘mmastaru, ju facocchiu ) tanto per citarne qualcuno.
Si giocava (rielencandoli in termini dialettali ancora una volta, uno per uno, senza dimenticarne nessuno) co ju pìccuru (la trottola), co la pizzarda (la trottolina), co ju ruzzicu (la ruzzola), co ju circhiu (il cerchio), co l’elica (l’elica), co ju monopattine (il monopattino), co la caròzza (la carrozza), co la ciriminella(a Torino cirimela)(la lippa), co i bricci (i sassolini), co la mazzaròcca (fazzoletto annodato), a zirumatiju (con il bottone), co ju carammatu (il carro armato), co la fionna (la fionda), co la mazzafiónna (la mazzafionda), co ju scuppittu (lo scoppietto), co j-aeroplanu (l’aeroplano), co ju scuppittu (la cerbottana) co la stélla (l’aquilone), co ju monopattine (il monopattino), co i sordi, a battucchittu (a battimoneta) a santucciu (a battino), a battimuru (battimuro). Sempre con i soldi si giocava a ccoccia o spiche (testa o croce), a quatrucciu (a quadrettino), a palline (le biglie), a buccinu (senza buca), a piripirì, piripirà a la cadà (con la buca) gioco che a Roma si diceva: zibidì, zibidè, buca c’è…. E infine al gioco delle noci (a nuci) molto in uso negli anni trenta, ereditato dagli antichi romani (ne parla Publio Ovidio Nasone nel poemetto la Noce) gioco che viene raffigurato anche in alcuni bassorilievi.
Altri giochi si facevano con le piastrelle (scaglie di pietra levigata), a zicchiuvale (con gli ossi di pesca), a zirumatiju (con il bottone infilato ad uno spaghetto o un filo), a simmorella (gioco che consisteva predisporre dei mucchietti di semola ed indovinare dove era nascosto un premio, un soldo…). Si giocava ai quattru cantuni (rubacantone), a sarda la quaja (la cavallina), ad una luna (uno, monta la luna),  a cilu o tana (nascondino), a mosca cieca (mosca cieca), a scaricabbarile (scaricabarile, gioco d’abilità), a tocca feru (tocca ferro), a buzzicu rampichinu (buzzicu-toccata), a topa topa (gioco simile al nascondino, dove l’inseguito aveva la possibilità di salvarsi su un rialzo, uno scalino, un muretto dicendo “cunicenzia” e per un attimo il gioco si fermava. E poi, a ‘ncazarella (acchiapparella), a toccaféru (tocca ferro), a picca (gioco a squadre), a corda (alla corda), a ju tiru de la fune (il tiro della fune), a campana (a campana), a zompacavaju, (saltacavallo- a Roma era chiamato saltamontone), a sgrullabastone (gioco d’abilità a tenere un bastone (50 cm.) diritto nel palmo della mano o in un dito correndo), a sciricarella (scivolarella), con le bbolle de sapone, a palazzu palazzu vergine ( palazzo palazzo vergine), a ggiru giru tunnu (girotondo), o che beju casteju (o che bel castello), ed altri interessanti giochi di divagazione di gruppo come reggina regginella quanti passi mi darai, le bbelle statuine, una dova tre, stella.
Ovviamente non vorrei dimenticare i primissimi giocattoli e giochi dei neonati quali ju sonareju (il sonaglio), ju suchittu (il succhietto), la bammola (la bambola costruita con ciuffi di lino o di canapa avvolta in stoffe variopinte per le bambine), il cavalluccio di legno (ju cava(ll)jucciu) per i bambini…E ancora giochi e divagazioni, come bella piazza bella piazza, Giggino e giggetto, il gioco del perché, a mazza bubbù canne corna stavu quassù, a Oreste Oreste bbum, a pizza e ricòtta bbu; a ce stea ‘na pecora pazza, a vistu è j’occhiu bbeju, a trucci trucci cavaju, a ssedia ssidiòla, a bumbàra bumbàra, a le mani di papà, dove stà qui o qua?
Paolo Toschi nel decimo capitolo nel volume “Studio delle tradizioni popolari” cita tra gli elementi delle tradizioni i giochi e i giocattoli. Questi li considera, così pure Pitrè, il D’Ancona, il Degubernatis e lo stesso Carducci, di particolare importanza, non solo sotto l’aspetto etnografico e demologico in quanto rispecchiano forme tradizionali e popolari, sia dei piccoli sia dei grandi di una comunità, ma anche sotto il punto di vista pedagogico. I giochi e i giocattoli (anche le conte, gli indovinelli, le filastrocche) aguzzano l’ingegno, svegliano la fantasia, acuiscono la destrezza, l’intelligenza, il coraggio…
Nei miei lavori soprattutto in “Taratabassuca”, ho citato conte, indovinelli, cantilene, filastrocche, stornelli e scongiuri e alcuni giochi… ma in quest’opera, che dedico oltre che a mio figlio, a tutti i bambini di Castel Madama, metto in primo piano i giochi e giocattoli di ieri che rappresentano l’essenza e la vita dei ragazzi di una volta sia all’interno della scuola che della famiglia.
Più volte sono stato invitato presso le scuole dell’infanzia, elementari e medie in modo particolare di Castel Madama come animatore per illustrare ”i giochi ed i giocattoli di una volta…” ai ragazzi. Ad ogni circostanza ho riscontrato un entusiasmo enorme ed un interesse non solo da parte degli studenti, ma anche dei docenti stessi.
Ho voluto descriverli e decantarli in versi con l’augurio che di essi resti una buona memoria e susciti, in tutti i bambini Castellani e non che vivono nella Comunità l’amore per le tradizioni popolari locali perché esse sono, a mio avviso, unitamente al dialetto autentico e schietto, una perenne forza spirituale della collettività e rilevano i tratti caratteristici di un popolo e della loro stirpe".