Ho incontrato Gianni Iasimone, durante la presentazione della ristampa – a cura di “Arcipelago Itaca” – del suo poema “Il mondo che credevo” e in quell’occasione ha omaggiato anche me di questa raccolta poetica, che ho letto con attenzione.
Mi sono soffermato su questa poesia: “Nell’antro della notte/ un asino sperduto/ quel carattere che segna/ sempre carico di fuoco/ per aprire un varco/ uno sterrato sentiero.//E le porte chiuse./Il ferro penetra nel legno./ Ancora un tentativo/ un altro giro nella toppa/ e il ritmo schiude/ e il tempo d’una volta/ se la chiave/ è quella giusta.” È narrata, ancora una volta, la notte dei sogni e dei segreti, delle rivelazioni bibliche e delle lotte; la notte dell’umanità in cui un animale testardo come un asino “che sa di non sapere”, ma con il fuoco dell’ostinazione e di una folle speranza, traccia un cammino per attraversare il buio. Ed ecco, la chiave che tenta e ritenta col ritmo della poesia e dei sogni, apre, perché è quella giusta.
Chiavi storte dunque sono quelle dell’uso ripetuto e tenace, per la forza nel voler aprire una serratura vecchia, arrugginita, indurita: ma basta che siano solo storte, imperfette, antiche, purché aprano. Oltre la porta, ci possono essere piccole cose- la preparazione del vino con il padre- o “vignette di luoghi comuni” o “l’orgia di clacson, i fanali” teatro dell’ulivo “deportato in laguna”, immagine poetica del sé, estraneo ormai al pensiero “che il cielo/ posasse sulle montagne” .
Gianni Iasimone ha la determinazione del poeta che non vuole tacere, che non si contenta del già detto o scritto da altri, avido di vedere – ma con rispetto, senza stravolgimenti del reale – lo spazio e il tempo; pronto anche nella routine del lavoro d’ufficio, “se fuori c’è un po’ di luce vera” ad accucciarsi “dietro il vetro scuro tra la scrivania e le tende di finta tela” e immaginare Socrate che discetta di libertà. Filosofia e poesia, sodalizio d’altri tempi? Forse. Ma la peculiarità di accostare Socrate alla poesia e anzi “legarli” entrambi con la “libertà” è un lampo di luce originale; la libertà delle “brache di vera tela” del filosofo, contrapposta alla “finta tela” delle tende, autentico filtro e ostacolo alla luce della coscienza.
Altrove, il “vetro oscuro/ che filtra l’ultimo sole” riflette uno sguardo perso che non trova l’orizzonte, o scopre che non c’è: Iasimone non teme di esprimere neanche lo smarrimento, la perdita di orizzonte verso cui tendere; lui, “novello / Odisseo da troppi anni/ lontano dalla sua terra” sprofonda negli abissi del mare della donna, in un canto mitico che ripercorre spirali di fossili antichi, un tempo creature vive e sognanti.
Le poesie raccolte vanno a ritroso nel tempo – sono infatti enumerate con il segno meno – dal 2012 al 1976 – “e il tempo di una volta” lentamente si dipana, mentre ad ogni mandata la chiave invecchia, si deforma, ma se è quella giusta, apre sempre. E’ come un tornare alle radici del suo poetare, insieme all’intimo di sé. Tra le sezioni, “Una sola” è un piccolo gioiello di semplicità e vastità, quanto può esserlo il dolore di una perdita grande: eppure, è “il lavoro di un contadino andatosene/ in cerca di nuove prospettive, un vanto”, che dà la misura del lavoro poetico di Gianni Iasimone, artigiano del verso, ma in grado di realizzare opere d’arte.
Insonnia
Dov’è, dov’è la porta
per uscire da questo cuore
spezzato di giorno e di notte?
Come, ma come afferro
questo fantasma di carta
se la mia mano è monca?
E angelo senza ali senza genio
vivo sospeso tra cielo e terra
o vago come un sonnambulo
in cerca della luce
e delle tue parole.
È che non trovo
l’interruttore.
-133
Mi piace la penna
Ma non per convenienza
Mi piace perché è più piccola
Di un fucile
Perché fa meno rumore
Di un cannone
È più leggera
Di una pistola
Non è una bomba
Né un pugnale
Perché se usata di punta
Lascia tracce
Tracce d’inchiostro
E qualcosa di più.
-53
Lo so, sei dappertutto
dove io sono.
Ma mi manchi
come l’aria.
Fallo per me.
Apri quella finestra.
Volerò con te.
-88 Addio
Che dico se te ne vai-
Non abbracciarti
come un piccolo primate
al collo della mamma.
Non avvinghiarti come serpente in amore
nella sibilante radura a primavera.
Non stringermi come novello paracadutista
all’istruttore del primo sognato volo.
Ma abbracciami pure nel fugace sguardo
dela vecchia intesa, come ala preziosa
d’airone che stringe a sé il calore
necessario al prossimo volo.
Gianni Iasimone, Chiavi storte, Le nuvole ed. Mobydick, Faenza, 2012
Gianni Iasimone, classe 1958, poeta, attore, regista, studioso di tradizioni popolari, fotografo, autore di video e testi teatrali, è nato a Pietravairano, un piccolo centro dell’Alto Casertano. Laureato in D.A.M.S. nell’Università di Bologna, ha conseguito un Master in Poesia Contemporanea presso l’Università di Urbino. Ha pubblicato le raccolte di versi: La memoria facile (con disegni di Carmelo Sciascia, Piacenza 1991); nel 2005, il poema “metà-fisico” Il mondo che credevo (Mobydick); nel 2012, Chiavi storte – Poesie 1976-2012 (Mobydick). Più recente è l’uscita del canzoniere La Quintessenza (Arcipelago Itaca Edizioni 2018). Suo anche il saggio critico Conta nu cuntu! Il racconto orale come strumento creativo e comunicativo (Caramanica editore 2002). Numerosi i riconoscimenti ottenuti dalla sua opera in premi letterari nazionali. A partire dagli anni Ottanta ha dato vita a svariate performances poetiche itineranti e ha letto i suoi versi in diverse piazze e teatri. Ha partecipato a vari seminari e laboratori di cinema e di teatro, e, come attore, a spettacoli teatrali, realizzandone molti come autore-regista-attore. E’ trai fondatori dell’Associazione Microcosmus di Rimini, dove vive attualmente.