69 – MONTELANICO

 

MONTELANICO (1938 abitanti, detti montelanichesi. A 297 m slm). In posizione dominante sulle pendici del Monte Lupone, a sinistra del torrente Rio lungo la Valle dei Monti Lepini nel punto in cui questa si apre nella Valle del Sacco, è circondato da secolari castagneti, sovrastato dal Monte Pruni, sulla cui cima sono i resti di un antico castello e dalle vette dei monti Croce, Lupone, Capreo e Semprevisa (1.500 m).
 
IL DIALETTO DI MONTELANICO:
 
  1. I vocabolari e le grammatiche
Montelanico possiede, ad opera di Igino Ronzolani, un Vocabolario del dialetto di Montelanico: in appendice: proverbi, modi di dire, filastrocche e indovinelli (Roma, Associazione Artisti Lepini, 1991) e Lo parlà alla montellanichese. Montelanico nel suo dialetto, Montelanico, 2010, vincitore del Premio Biennale dei Monti Lepini, ancora inedito) di Luigi Roberti. Il secondo libro ha assorbito in sé il lavoro precedente, ampliandolo e approfondendolo. L’autore analizza i dialetti italiani, i francesismi presenti in essi (per es. riconduce il termine lampino, a lamper quantità di liquido o bicchiere di vino). Analizza i fenomeni del dialetto di Montelanico, inoltre riporta brevemente le vite e le opere dei poeti dialettali. L’introduzione alle particolarità e note grammaticali sono di carattere specialistico, non manca una breve parentesi sulla grafia del dialetto. Interessantissima è la parte sui cognomi montelanichesi, sui soprannomi e sulla toponomastica. La particolarità di questo vocabolario è la presenza di testi in prosa, testimonianze raccolte tra i parlanti. In appendice troviamo i proverbi. Si tratta, dunque, soprattutto di opere di interesse culturale e storico prima di essere fonte di riflessione linguistica.
Dalla tesi di Anna Corsi – Glossario di Montelanico scegliamo: abbada’ (fare caso, badare), abbìo (inizio), abbutinà (avvolgere qualcosa con un panno o con un foglio di carta), accorî (accorgi), affroià (bere mettendo nell’acqua o in altro liquido sia la bocca che le narici), aggriccia (gelare, avvertire brividi: Sentisse aggriccià la pelle), a jecco; a jessi (qui; lì), allepriasse, alleprasse (straiarsi; sdraiarsi di fiacco, allo stesso modo della lepre), allestrasse (allungarsi, distendersi sopra un giaciglio costituito da uno strato di paglia o di foglie), ammeci (invece), annido (nido), appiccà (appendere, riporre qualcosa su di un graticcio), arcoverio (arcobaleno), arentrà, rentrà (entrare), arentriccà (porre una cosa in alto, in un posto visibile), areoti (giri; comme t’areôti fa l’occaccia; reotà: rivoltare, cambiare, parlare di una persona assente, rigirare un recipiente), araprì o arapì (aprire), arruîeva (grugniva), azzeccà (salire, ascendere, indovinare), azzuccà (intingere qualcosa in un liquido), cacuio (cuculo), calarze (ossi di pesca), callarziglio (paiolo di rame), canneglio (pezzo di canna usata per fare bolle di sapone), capilato (fagotto, generalmente avvolto in un pezzo di stoffa), cazzoio (maiale con una macchia di pelo bianco sopra una zampa), cerci (ghiande), céri (cerri), chiotto (persona che cammina con passo furtivo, senza far rumore. Generalmente viene usata, raddoppiata), ciammarucone (lumacone), coccoli (bolle di sapone), côta (pianta spontanea simile alla ginestra), cotenicchia (piccolo pezzo di còtica; indica anche bambina minuta e vicace), desta (in giro), falorgna/i (favola/e), farno (in genere fungo commestibile; in particolare è così chiamato il fungo porcino), fiucio (felce), fraffo (muco), frégni (nervosismo, fastidi, seccature, l’essere di pessimo umore), frontale (la fronte del maiale), frunzo (maiale con una macchia di peli più chiari sul muso), furuni (furtivamente), gnaccole (i denti; sbatto le gnaccole pe lla tremarella; gnaccolo: corda del basto a cui sono legati degli anelli di legno. Sbatte le gnàccole, frase onomatopeica riferita al rumore della gnaccola che batte contro il legno del basto, con il significato di battere i denti), ive (olive), lampino (bicchiere di vino), luccicapalla (lucciola), mammoccio (bamboccio, ragazzino, bambino), manecuto (cesto), merolatti (abitanti di Morolo), mmerco (bersaglio), mmetone (rialzo di terra), mujà (muggire; anche parlare sotto voce), neccia (magra), ’nforcà (subire una prepotenza), nicchià (gemere per il dolore, lamentarsi a bassa voce; far finta di non credere; resistere ad un invito), occaccia (boccacce), ole’ (volere, desiderare; one: vuoi; orìa: vorrei), otera (gomiti), palomma (farfalla notturna; colombo terraiolo; osso i pesca che viene usa nel gioco delle calarse), peddafori (fuori), peddesta (in giro, lontano), peleputo (di grande spessore), piancateglio (pianerottolo della scala esterna), piscaro (goccia d’acqua che cade dalle tegole dei tetti privi di grondaia), porcastro (maiale incrociato o castrato), quanatro (qualcun altro), ratino (gradino), runco (muso degli animali), scincio (rottura), scintone (veste lunga propria del costume femminile ciociaro), scrià (impaurire, spaventare), scrizzi (schizzi), sebbuglia (rimescola), seppordi (portici situati tra due case), strina (venticello freddo, pungente corrente gelida), stuà (pulire), taccuni (sporcizia), tenucchio-tenocchia (ginocchio-ginocchia), tiette (maiale), û (voi), ua (uva), vero (maschio del maiale), zigo-zichi (piccolo-piccoli).
 
2. I proverbi e i modi di dire
Proverbi e modi di dire di Montelanico sono raccolti in: Igino Ronzolani, Vocabolario del dialetto di Montelanico: in appendice: proverbi, modi di dire, filastrocche e indovinelli, Roma Associazione Artisti Lepini, 1991.
Da una Raccolta di proverbi in dialetto di Montelanico sul sito: giovanimontelanico.it, citiamo: Chi ala e po’ se stenne, tre cose ò ntenne: o fame o sete o sonno. Iò cannarile stritto, stritto se frega la casa co’ tutto iò titto. Non so pe gl’iàseni i confetti, manco le mela rosa pe’gli porci. Quando iò zigo parla, iò grusso ha già parlato. Quando uno non po’ vede uno co’sette camise ci vede iò cuio. Spellarla ’no petucchio pè viennese la pelle. Tra cici, cicerchie e lenticchi i meglio legumi so le zazicchi.
 
3. I toponimi e i soprannomi
 
 
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi – gastronomia – feste&sagre-altro
4.1 Canti
 
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
Filastrocche e indovinelli di Montelanico sono riportate da Igino Ronzolani nel suo Vocabolario del dialetto di Montelanico… (op. cit.).
 
4.3 I giochi
Vincenzo Ronzolani in “’Na óta e mmo’”, poesia eponima e omonima della raccolta,rievoca malinconicamente il tempo trascorso, quello dei giochi spensierati: ’N saccoccia me portea le palommelle, / gli coperchi de lucido appiattati, / ’na manicciata de cerci e ddo ciammelle / acciancicate a tocci sbracuiati”. Si dipinge un mondo fatto di giochi popolari e di tradizioni ecco allora le palommelle, ossi di pesca che venivano usate al posto delle palline, i giochi come ssagatàna (nome della buca dove si doveva far entrare la pallina), oppure ’mmerco (una specie di tiro a bersaglio). Un vero e proprio catalogo di giochi e tradizioni che si fa prezioso portatore di memoria. In I coccoli (le bolle di sapone), un gioco per bambini si trasforma in un mondo incantato fatto di falorgni (favole) dove ognuno, adulto o bambino che sia, può creare il suo mondo come si creano le bolle di sapone soffiando fino a che “remane ’n po’ de fiato”.
Ecco la sintetica descrizione di alcuni giochi dal Glossario di Montelanico nella tesi di Anna Corsi.
Battimuro: gioco di bambini, consistente nel battere violentemente sulla parete di un muro le monetine tentando di avvicinarle ad un palmo da quella del primo concorrente.
Calarsa (osso di pesca). Veniva usato dai ragazzini per giocare in sostituzione delle palline. Ciascun osso, a seconda delle dimensioni, della forma nonché dell’uso, prende un nome particolare (calarsa è il nome generico, bellina, scazzosa, palommicchio, palommaccio, otareglio)
Cazzetta: calza. È così detto un gioco da ragazzi: si taglia un pezzo di canna di circa quindici centimetri e nella parte superiore si intagliano dei pezzi analoghi ai merli di castelli; si mette poi del filo di cotone che, acconciatamente lavorato, forma una specie di treccia.
Licchia: lippa; piccolo pezzo di legno appuntito alle estremità che viene lanciato il più lontano possibile percuotendolo con un bastone
Maroncino: gioco da ragazzi che consiste nel mettere in pila varie monte, una per giocatore, si fa la conta ed il prescelto inizia colpendo con un ciottolo (maroncino) la pila di monete; vince tutte quelle che si voltano nell’altro verso.
Musa: gioco consistente nel saltare uno sulle spalle dell’altro, allungando man mano le distanze.
rùzzica (ruota di legno, piena, usata per giocare; consisteva nel lanciare la ruota stessa il più lontano possibile. Alcune volte la ruota era sostituita da una forma di formaggio stagionato).
’Ssagatana: la buca nella quale si deve infilare una pallina o la calarsa nelò gico detto ’ssagatana o tippetina.
 
4.4 La gastronomia
Alcune ricette di Montelanico sono riportate sul sito: giovanimontelanico.it (Pampepato, Castagnacccio, Petto di tacchini con marroni, Marmellate di castagne, Mele di Concetta).
Specialità gastronomichesono la raminaccia, fettuccine tagliate molto sottili; gli gnocchetti lunghi e le recchie de preite (caratteristici tipi di pasta fatta a mano); la polenta e j’appallocco (una particolare polenta cucinata con fagioli, cotiche o con fave secche e servita con verdura cotta e salsicce); nel periodo natalizio, i biscottini e i pangialli.
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
 
Roberti L., nel 1992, ha pubblicato il testo teatrale La duchessa di Montelanico. Teatro storico in dialetto montelanichese.
 
6. I testi di poesia
Mariano Brevetti rappresenta una delle voci più importanti della poesia dialettale del paese. Autodidatta, nonostante i limiti della sua scrittura, ha cercato di seguire una metrica regolare con endecasillabi e ottonari, conservando, pur senza riuscire ad ottenere una vera e propria regolarità, una forte musicalità. La sua, afferma Anna Corsi, "è prevalentemente una “poesia di protesta” con pungente ironica critica del mondo contemporaneo: te cridi de sta’ meglio e non t’accorî / che a vive ’a ’mmezzo a tutti ssi rumori / te senti rimbambito; / e ss’aria che refiati è’n’aria ’nfetta / de chimica, de porvere, de fume; / è ’n’aria puzzolente che t’appesta. (“Glio paese addo sî nato”). Brevetti crea dei piccoli quadri di vita quotidiana che ritraggono i personaggi del paese con i loro difetti e i loro desideri: Tempo de farni tutti so’ conténti. / Po’ magnà puro chi no tè’ i denti. / Pe’ quacuno, però, so’ lamenti; / quanatro te s’envoja pari pari. / Site capito tutti: so dannari. / So’ proprio issi, sì: gli macellari (“N’è vero?”)oppure: Cacuio me, cacuio, lazzarone / glio lavativo della società / che campa sempre addosso aglio fregnone / sa solo fa “cuccù” pe’ cogliona’ (“Glio cacuio”). Non manca il paese e il ricordo del passato come in “Calomese”. Calomese è il nome dialettale di un monte (Collemezzo) che diventa simbolo di un mondo ormai scomparso, di una bellezza distrutta dalla mancanza di religione, d’amore e soprattutto di rispetto: Cadano le piante a dieci, a venti / pe’ mezzo dell’accetta. ma che schianto! / Glio carbonaro canta, e tu non senti / che pena atroce, che dolore e pianto?".
Brevetti adopera un linguaggio complesso con termini ormai in disuso, come piancateglio (pianerottolo), fiucio (felce), cota (ginestra), arrujà (grugnire), turlindanata (suono a festa delle campane. Termini che raccontano una realtà lontana, che indicano momenti, eventi, oggetti, animali e piante ben determinati.
In Antologia proponiamo:“Glio paese addo sî nato”
Vincenzo Ronzolani in “’Na óta e mmo’”, poesia eponima e titolo della raccolta,rievoca malinconicamente il tempo trascorso, quello dei giochi spensierati ed è viva la nostalgia per il passato: Mo’ tutto te recorda jo passato, / ma po’ te sbigli e ci remani male; / tutto è diverso, tutto s’ha cagnato, / jo munno ’nn è remaso tale e quale!”. In “Io paese mè’” Ronzolani, commosso, ci conduce per mano in una visita ai cari luoghi di Montelanico che è ’no ciammarucone, / che sta ’mmezzo allo verde / arentriccato sopre ’no mmetone. Struggente e delicata è la poesia “I coccoli”, inserita nella nostra Antologia.
Giuseppe Riccioni annota Anna Corsi: "rievoca momenti e avvenimenti con poesie d’occasione, quasi a scandire lo scorrere degli eventi. Utilizza una metrica scarna; strofe di quattro versi con rime alternate. Il paese è descritto in maniera realistica con i suoi pregi e i suoi difetti: “De’ do manere so lle cose brutte: / chélle naturali e chelle che cc’ esse fao. / A ’sto paese ci ss’hao fatte tutte, / chelle bbelle quanno ci sse fao?” (Sto paese brutto e bbéglio”). In Glio piscaro Riccioni riflette sul significato di questo termine che indica lacqua che cola dai tetti dopo la pioggia, meditando sulla perdita del significato delle parole dialettali, con una nota di disprezzo nei confronti di chi abbandona il paese durante linverno, considerandolo solo meta di vacanze. Spesso si tratta di temi quotidiani, di appelli alle autorità, di lamentele, di reclami, insomma di un mezzo espressivo lontano dalla tradizione lirica. “’No rechiamo agli ladri de castégni”è un vero e proprio appello per i Montelanichesi ad unirsi contro i ladri di castagne, rappresentati come al solito dai forestieri (da notare che il termine frastiéri ormai è poco utilizzato). Interessante è il componimento dedicato al carnevale che viene presentato come una vera e propria personificazione: se vede ca carnevale / vè curénne pe lla via (“Chi è carnovale?”). Qui i bambini a frotte incarnano questo momento così importante della tradizione popolare, fatta di cibo e allegria. In fondo il cibo è un elemento fondamentale in questo genere di poesie, rappresenta il lato vitale e quotidiano dei componimenti. Il testo si conclude con il riecheggiare di un noto motivo, è mmorto carnovale, richiamando così filastrocche e motti tradizionali che compiangono il defunto Carnevale che ormai ha lasciato il posto alla normalità".
 
Antologia
MARIANO BREVETTI
 
 
 

Glio paese addo sî nato

È notte! È tardi! e da sto piancateglio

guardo peddesta;
’ntravedo appena, ammezzo a tanto scuro,
qua‟ luci de finestra,
qua’ sagoma de muro.
È scura la campagna;
de luna appena ci ne sta ’no spicchio,
m’appoggio a ’no cantone e me ranicchio
ca sento la ciuvitta che sse lagna.
Allora jé m’accorio che ’n so’ suio.
Glio rusignolo tutta notte canta
’na canzoncina varia
e punticchienne l’aria
passa volènne ’na luccicapalla
colla lanterna ’n cuio.
È cosa naturale che te ’ncanta;
me sento drento l’alema che gode.
E penso certe ôte;
“Se tu che stai lontano
senti de sto paese glio richiamo,
tu che nascisti a jecco e po si’ ito
pe’ sso munnaccio desta,
te cridi de sta’ meglio e non t’accorȋ
che a vive ’a ’mmezzo a tutti ssi rumori
te senti rimbambito;
e ss’aria che refiati è ’n’aria ’nfetta
de chimica, de porvere, de fume;
è ’n’aria puzzolente che t’appesta.
Revèttene, che signi benediditto!
A jecco non se sentano i malanni
de Londra, de Parigi o San Francisco.
Co’ ’no sòrdo de pane e dôa de frisco
tu po’ campà piu‟ de cent‟anni
e senza l’etichetta com’è scritto
te jetti pe’ gli “Lori”, glio “Camanco”.
glio “Monte”, glio “Folluso”.
Passa glio témpo e non t’accori manco,
t’allepri tra glio fiucio e la côta
e co’ ’na pennichella
tè po’ godé la paci e glio repuso
e po’ capì’ quanto la vita è bella.
’Nn’ è più comme ’na ôta,
coll‟acqua aglio paese,
le vii che te portano pettutto
da “Montelongo” ’ncima a “Calomese”,
a jecco è tutto bono, tutto jutto.
Lo vino è ficcareglio,
la robba è naturale;
polenta, farni, gnocchi, maccaruni.
Te magni le zazzicchi co’ legumi
e i fiuri de cocozza che so’ meglio.
Peddentro glio paese è repulito,
’n se sente la più la puzza delle stalle,
pare vestito a festa.
E peddafôri, desta,
se jetti ’n’occhio ammonte e abballe
la vista te sse sperde
tramezzo a ’no spettacolo de verde.
E tanto pe’ sbariatte,
e qua’ risata fatte,
va co’ gli amici e tra ’no bicchierotto,
’na briscola e‟n tresette
senti la barzelletta e glio strammotto.
É chisto glio paese che t‟ha dato
e sango e vita e côre.
Ma che te si’ scordato?
Glio paradiso mai te si’ sonnato?
Chisto è glio paradiso: addò si’ ’nato!
 
 

VINCENZO RONZOLANI

 
 

I coccoli

Gli pedi pennechenne
bbeglio asseduto sopre jo piancateglio,
sebbuglia l’acqua ’nzuno allo sapone
rentro aglio bicchieruzzo, ’n uttareglio.
Azzucca la cannuccia,
po zzoffia forte forte colla occa
e gli coccoli aresciano pe ll’aria,
liggeri comme l’acqua quando fiocca.
Se iempano de sonni,
de fantasii, falorgni e desideri,
de tutti ggli coluri ’gli-arcoverio,
che tegnano persino gli pensieri.
Ci mette pure l’alema
sopre chii cosi tunni e colorati:
co issi azzecca e ’nzuno a issi cala
rentro le gocci, quando ch’â scoppiati.
La schiuma, ’no canneglio
e ’n po’ de fiato dagli pelemuni
bbastanno agli-attetino pe sonnasse
’no munno bbeglio e senza privazziuni.
Revvedde ’ssa scenetta
tre o quattro giorni fa: m’era scordato
ca ’n ci ô gnente pe vedè lo bbebbe,
ca ’n ci ô gnente pe fatto ’no creato
propria comme gli òne:
pîno de gente che tte ôglia bbene,
che rinza, senza ’mmidia, se tu ridi
e co tti piagni, se te vêo le pene
Da chiglio giorno, furuni,
me so’tôta ’na scorza de sapone,
‟no bicchieruzzo de latta e ’nno canneglio
pe fabbircamme quacche coccolone.
Se ô glio munno beglio,
tollo i’ accrocchi daglio capilato
ddo’ stâo reposti e zzoffio, zoffio, zzoffio,
fino a che remane ’n po’ de fiato.
 
Cenni biobibliografici
Mariano Brevetti. Nato nel 1912 a Montelanico e morto a Roma nel 1987, rappresenta una delle voci più importanti della poesia dialettale del paese. Autodidatta, i suoi componimenti sono riuniti in Raccolta di poesie, pubblicata postuma nel 1988.
Giuseppe Riccioni detto Zecchielli, ha al suo attivo più di cento composizioni scritte fra il 1958 e il 1993. È autore della raccolta Cose che ’nte po ’scordà. Poesie in dialetto montelanichese, del 1994. Ha collaborato con il compositore Noris Businaro dando le parole alle canzoni Arecordate ca si montelanichese e Glio pergolato.
Vincenzo Ronzolani. Nato a Montelanico nel 1920, è autore di alcune poesie raccolte in Na óta e mmo’; pubblicate nel 2000.
 
Bibliografia
Luciani, Vincenzo, Le parole recuperate. Poesia e dialetto nei Monti Prenestini e Lepini, Roma, Ed. Cofine, 2007
Riccioni, Giuseppe, Cose che ’nte po’ scordà. Poesie in dialetto montelanichese, Montelanico, 1994.
Roberti, L. La duchessa di Montelanico. Teatro storico in dialetto montelanichese, Montelanico, 1992.
Ronzolani, I., Vocabolario del dialetto di Montelanico, Documenti di Cultura Lepina n. 11, Montelanico, 2000.
Ronzolani, Vincenzo, Na óta e mmo’, Associaziione culturale Igino Ronzolani, Associazione Artisti Lepini, Montelanico, 2000.
 
Webgrafia
www.giovanimontelanico.it