49- GORGA

GORGA (736 abitanti, detti gorgani. A 766 m slm). Piccolo centro sui Monti Lepini, è arroccato sulla sommità del Monte Volpinara, dal quale domina l’alta e media valle del Sacco, ed è posto sul versante nord orientale dei Lepini che con i monti Ausoni e gli Aurunci formano la cosiddetta “Dorsale dei Volsci”.

 
IL DIALETTO DI GORGA:
 
1. I vocabolari e le grammatiche
Dalla tesi di Anna Corsi – Glossario di Gorga scegliamo: a jecco (qui), a jesso (lì), ammassà (impastare), ammattucciato (legato in fasci), ammocca (versa), appilà’ (turare), attarione (specie di scoiattolo, persona veloce; sardi a la quaglia comme n’attarione), callarozza (caldaia in rame), capistero (capisteo: specie di conca rettangolare di legno adibita a vari usi; Appicci jù furno e nfruni le pagnotte, rotonne e molli neglio capistero), caricarella (garganella), citroi (cetrioli), cucoccia (zucchina), favi (faggi), ficura (fichi), filici (felci), furchio (unità di misura, dall’indice al pollice), gnara (chiara), grolia (gloria), jettà (gettare), la dumane (la mattina), luccicarelle (lucciole), mantile (panno per coprire il pane), masciata (un gregge), mastra (madia), moco (poco sveglio; tu nun senti, nu vidi, tu si moco), nciaccà’ (spezzettare), niccio arangato (magrissimo), olle (bolle), paccuti (spessi), palogne (unge), pennie (grappoli), pipruncella (peperoncino), rammorì (spegnere; rammore: spegne), ravi (sassi molto grandi), remissino (recinto per animali), risbiglià’ (risvegliare), sarico (tunica, grembiule), sciua’ (scivolare), sdurià’ (staccare con le mani pezzi di pane), sinchi (imperativo del verbo essere, sii; sinchi mudesto e n’esse fanfarone), toccio (tozzo), ulepone (volpone), vagli (galli), vauto (alto), vidua (vedova).
 
2. I proverbi e i modi di dire
 
3. I toponimi e i soprannomi
 
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi – gastronomia – feste&sagre-altro
 
4.1 Canti
 
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
4.3 I giochi
 
4.4 La gastronomia
Ecco come Nicolino Amici descrive un piatto “La pulenta” che ha saziato la fame dei nostri nonni: 
E quanno l’acqua olle a la callarozza, / la mamma ietta lenta la farina, / e arrota pe’ nun fa venì la bozza / ccusine la pulenta vène fina. / Po’ se coce aglio foco delle lena, / le spaccarelle deglio mulattiere; / cotta aglio gasse me fa tanta pena, / cotta aglio foco me fa più piacere. / Ppena la pulenta è culor d’oro, / l’ammocca fumenno a la spianatora / e co’ sugo de ciccia e pimpidoro, / la palogne e tutti pronti è già l’ora. / La vidi tutta bella russeggiante / e de tocchi de carne recuperta, / cumenza la battaglia d’Agramante / e tutti quanti mo ci stao all’erta. / Parteno le furchetta luccichenti, / gli uccuni fao rumore e vao a abballe, / s’attrippeno tutti, e stao più contenti; / mo valla a retruvà aglio puzzo a balle.
Altro alimento essenziale e prodotto un tempo con le proprie mani“Lu pane”, nei versi di Ernesta Tosco di Gorga:
Ci abbasta assai poco pé fa lu pane: / ju crischio molle misso la dumane, / farina bianca, raccia poderose, / furno bono: so necessarie cose. / le pagnotte tonne, bianche, gonfie assai / uno, doa, tre, quattro deta o, semmai, /’na mani sana, ’nu taglio o puro doa; / so i segni giusti e ognuno sa la seja. / Dentro ju furno, co gl’ju munnio pulito, / lu pane cresci, se culora, è sapurito: / chigl’urio d’oro è scrucchiareglio assai / e ju pegno alla furnara non manca mai. / Se impino i capisteri e ognuno conta / le pagnotte: la pruvisione è pronta. / Dentro la mastra vè repusato: / se piove o fiocca, lu magnà è assicurato. / A tavola chi sduria ’na pagnotta, / chi magna la pizza e la ricotta, / chi la pupazza tutta ’nzuccherata / così se chiude mpaci la serata.
 
La tradizioni popolari
Di N. Amici di Gorga ecco una poesia sulla scampanacciata:
Si la vidua se remariteva, / ficeveno tutti la scampanacciata, / i campanacci, i corni se soneva, / co’ biduni, cuperchi a serenata. / Nfernale era pone chiglio rumore, / e strepiti e urla co’ na gran caciara / te ficeva tremà a ti puro iù core, / si se remariteva la ciuciara. / Chell’usanza puro è trapassata, / se fao tutti quanti i cavoli sei / nci mporta manco se fao la frittata, / e se so cristini o so farisei. / Gni paese, pro, ha i frutti d’annata, / e niciuno rompe più i zebedei.
 
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
 
6. I testi di poesia
Nicolino Amici, secondo Anna Corsi, nella tesi citata, presenta
“un dialetto nativo sul quale il lungo periodo trascorso a Roma ha molto influito; in alcuni tratti perde di originalità e di spontaneità, anche se mantiene dei termini gorgani, ormai in disuso, come attarione (uomo veloce), paino (ragazzo presuntuoso), munnio (strumento per pulire il forno). Le tradizioni che esso incarna invece non sono state intaccate. Insomma, anche se il linguaggio è stato smussato dalla lontananza, il suo dialetto si presenta molto conservativo da un lato, non avendo avuto modo di assimilare i cambiamenti linguistici, ma dall’altro manifesta delle interferenze con il romanesco. Riportiamo alcune particolarità: vidua (Si la vidua se remariteva – G.A.I, 1),è un termine antico ormai in disuso come gnara per chiara (e me beo l’acqua gnara della fonte – G.A.II, 4); usa vauto per alto(Fino, vauto, smirzo e pertecone – G.A.IX, 1), conservando un tratto tipico di resistenza al fenomeno di rotacizzazione della L. Molto spesso però l’influenza del romanesco si fa sentire: alterna stonco con sto, utilizza molti italianismi come ’mpumatati, ’nturgidategranne non esiste nel dialetto (a Gorga, grande si dice grusso), ariecchete è un termine di influenza romanesca. Addirittura anche a proposito di un oggetto tipico indicante uno strumento per pulire il forno, adopera sia munnio che frascata”.
Oggetti, persone e alimenti, testimonianza di un mondo che sta scomparendo, trovano largo spazio nella sue poesie: Ncima a ste muntagne è nu paradiso, / i guardamacchi nu gni lasso mai, / guardo le peco, e stongo sempre assiso. (“Jo pastore”); il pastore dipinge un’atmosfera di gioia e serinità; tornano a campeggiare alimenti antichi e ormai scomparsi: la vidi tutta bella rosseggiante / e de tocchi de carne recuperta, / cumenza la battaglia d’Agramante / e tutti quanti mo ci stao all’erta (“La pulenta”) e umili recipienti della tradizione agricola-pastorale come la cupelletta: o cupelletta meia, chi più te molla, / tu pè mine si sempre cara e bella / nci sta niciuno che da ti se scorda. Il vino è un elemento essenziale della tradizione lepina e insieme all’aria pura rende orgogliosi gli abitanti dei Monti Lepini, ed ispirati i loro poeti. Non mancano, annota Anna Corsi
le consuete lodi alle stelle, al cielo, ai paesaggi diurni ricchi di faggi e a quelli notturni, dove splendono stelle e lucciole. In “La trita” e “Jo concone” si raccontano tradizioni ormai scomparse, l’uso di cavalli per separare il grano dalle spighe e la conca per attingere l’acqua alla fontana: I cavagli so’ tutti apparigliati / l’ara è zeppa de rano ammattucciato / e triteno i puledri accalurati, / jù cavallaro è burbero e sudato. Il concone, personificato, diventa muto spettatore dei segreti delle giovani donne: Quanti sigreti begli, pianti e baci, / tu, cuncone meio, nascunni a loco, / tu si sempre furbo, guardi e po’ taci, / tu nun senti, nu vidi, tu si moco, / nun parli si te mitteno alle braci / e co’ l’acqua i refriddi a poco a poco. Il Santo Patrono sicuramente uno dei temi maggiormente affrontati dai poeti lepini, diventa in Amici diventa fondamentale per delineare la storia del suo paese: “Iamo ca mo resci la pricissione!” / Soneno a grolia tutte le campane, / pe’ gliù paese sta na cunfisione, / porteno San Domenico e gliu cane. / Urleno i gelatari e i pallunari / e felici so’ tutti i ragazzini, / belle so’ le vie co’ gli luminari, / vinneno citroi, scarpe e lupini (“La pricissione de San Domenico”). La poesia di Nicolino Amici, come quella di molti altri poeti dialettali, è una poesia (anche se con i suoi limiti) in grado di riaccendere il fuoco della memoria.
N. Amici sa offrirci anche con freschezza ritratti di personaggi del suo paese come in “Furtunato”:
Zico, zoppo, puro niccio arangato, / striscia le zampe e tène jù passone, / quanno cammina è nu carrarmato / nun te fidà de chiglio è nu ulepone. / Smiccia astuto sotto paccuti occhiali, / conzulatore de le veduvelle, / a jesse reguarisce tutti i mali, / a chelle brutte e prima a chelle belle. / Bidello de la scola e farmacista, / te dà d’oglio drigeno e sandulina, / e po’ fa co’ sette deta iurganista. / Sona le campane de la matina, / canta jù zippardì e mai s’attrista / se recunzola sempre a la cantina.
In Antologia: “Jù sole”, un inno campagnolo all’astro che dà la vita, e una poesia dedicata alla vendemmia “La vedegna”
Ernesta Tosco, maestra elementare, da vari anni propone ai bambini poesie e recite in dialetto al fine di avvicinarli alla lingua della tradizione. Il suo, dice Anna Corsi, è
un dialetto acre di chi scava nella storia, che ci riporta alle origini, con termini, che sono duri e arditi, come crischio (lievito), mastra (madia), capistero (recipiente in legno), che aprono un mondo, quello delle tradizioni. E così ecco la “lesta” furnara: Ci steva ’na vota, mo n’ci sta piune, / ’na femmena grassa; nte la recordi tune? / Lesta lesta passeva la dumane / ne gli vicoli da chi ficeva lo pane” / pe dicci: “È ora, mitti l’acqua e ammassa!”. Il pane spande il suo magico profumo in tutti i vicoli del paese. Ma lo stesso è caratterizzato, anche, dalle liti fra vicini e dai pettegolezzi. E la piazza, luogo di incontro e di ritrovo, si trasforma repentinamente in un campo di battaglia: Stao tutti ’n piazza comme gli sordati, / alle panchine faccia a fronte schierati: / le lengue fao sibilà comme serpenti / e veleno su veleno sputeno contenti (“La piazza”).
 
Antologia
NICOLINO AMICI
Jù sole
Quanno fa l’arba e se reschiara jù monte,
rammori le stelle e cala la luna,
risbigli j’animali, sprizza la fonte,
le luccicarelle se ne vao una a una.
O sole si’ gliù lume che dai la vita,
tu ravivi jù munno co’ gliù calore,
senza de ti la vita saria finita,
senza de ti se rammore ogni ardore.
Ppena agli urizzonte fa’ capuccella,
nu tremito ci piglia a la natura,
la vita lor ci par sempre più bella,
si’ beneditto , o sole e la calura.
Tu si’ ’na scintilla deglio creato,
chiglio ch’ ha fatto luce e firmamento,
t’ha fatto a ti pe’ fane più beato
chiglio ome che nu vidi mai cuntento.
E doppo ’na giurnata de fatica,
quanno si rescallato tutti quanti,
ariècchete la bona notte amica,
reporti luna e stelle ai naviganti.
 
 

La vedegna

Quanno le pennie s’hao nturgidate,
se spennecheno tutte da la vite,
jù sole de settembre l’ha ndurate,
è ora de vedegnà, l’aria è mite.
A la campagna mo nci sta calura,
taglia le pennie la cuntadinella,
e se cagna jù vestito la natura,
se caricano i biunzi d’uva bella.
Se pista aglio tino la rumanella,
puro lu trubiano e la maluasia,
corre lu musto comme ’nna cannella
e se ncurona Bacco pe’ la via.
I muli coi sumari e gli caretti
iao pe’ l’uccasione nfiucchettati,
se canta chisti giorni benedetti,
nze penza più agli guai già passati.
N’addore de musto va pe’ gliù paese,
nfaccia a tutti se legge l’alegria,
e chisto è tempo de refà spese,
ca lesto iautunno se ne va via.
Quanno po’ tira vento e fori piove,
la neve mbianca jù monte e la pianura,
jù cuntadino beve e nun se move,
lu vino bono e tu la torcitura.
 
 

Cenni biobibliografici

Nicolino Amici (nato a Gorga nel 1916 ed è morto a Roma nel 1993). Poeta dialettale. È stato segretario comunale ed insegnante per molti anni a Roma. Nel 1984 pubblicò il libro Gorga, una sintesi storica del paese con la quale diede visibilità alle ricerche di mon. Luigi Scialdoni e una raccolta di poesie. Nel 1997 in suo onore è stata stampata la silloge postuma Poesie dialettali. Elaborò il testo delle canzoni “La Pastorella”, “Jù Pressepio”, “Inno a san Domenico”, “La sagra della braciola” e “Carnevale” con musica del compositore M° Noris Businaro.
Ernesta Tosco è nata nel 1956 a Gorga. Maestra elementare, ha partecipato a vari concorsi di poesia e ha pubblicato i suoi componimenti in Raccolta di poesie dell’alta Valle del Sacco. Sezione in lingue e sezione in dialetto e in Tra un fiore colto e l’altro donato. Da vari anni propone ai bambini poesie e recite in dialetto al fine di avvicinarli alla lingua della tradizione.
 
Bibliografia
Amici, Nicolino, Poesie dialettali, Doc. di cultura lepina n. 35, Gorga, 1997.
Luciani, Vincenzo, Le parole recuperate. Poesia e dialetto nei Monti Prenestini e Lepini, Roma, Ed. Cofine, 2007