12 – ARTENA

ARTENA  (11.803 abitanti, detti artenesi. A 420 m slm) è un paese dalle origini antichissime arroccato sul fianco settentrionale dei Monti Lepini, nella valle del Sacco. L’acropoli volsca conosciuta con il nome di “civita” conserva notevoli resti di mura poligonali ciclopiche ed è

meta di studiosi e archeologi che riscoprono i resti di una lontana e affascinante civiltà.
 
IL DIALETTO DI ARTENA:
 
1. I vocabolari e le grammatiche
 
Ezio Bruni, poeta, ha tentato di scrivere un abbozzo di grammatica artenese in ’Mpesticcio de grammatica artenese e poesie in dialetto (2002) una miscellanea di grammatica, poesie, detti, proverbi scritti in artenese (’Mpesticcio significa: un po’). Nella grammatica esamina gli articoli determinativi e indeterminativi, l’aggettivo, il nome (alcune caratteristiche: nomi femminili che diventano maschili in dialetto e viceversa: la pulce, jo poce; le dita: i diti; l’ombrello: l’ombrella; i ginocchi: le venocchia;nomi che al singolare terminano in co e che passano in chi al plurale: il fisico – jo fisicoi fisichi; il medico – jo medico i medichi), il pronome (pers. sing.: éo, tu, isso/essa, plur.: nù, issi/esse) il verbo (prevalenza dell’ausiliare essere sull’ausiliare avere: sì ddormito? Sì fatto colaziò? La sì remissa la cavalla? Jo sì ttaccato jo cane? Jo sì chiuso jo canceglio?).
Alcuni vocaboli dal libro di Ezio Bruni: castégna (castagna), cavaglio (cavallo), fraccio (braccio), inde (svelto), inete (sgrigati), ’mpesticcio (un po’; presteme ’mpesticcio de pane), ’mpoviglio (un pugnetto; presteme ’mpoviglio de farina), otte-utti (botte-botti), piuso-pelosa (peloso-pelosa), precocola (albicocca), puzo (polso), rafacano (spilorcio), soricchio (falcetto), zico-zeca/ zicareglio (piccolo-piccola/piccolino).
Tra le frasi che si usano nel dialetto artenese: Pare che ciao ciaugliato i porci; piglia jo mottaturo e aréocca la ’otte; Nò ’ntrontecà la damigianella, ca lo vino s ’ntorbita; So pigliata ’na storta e me fa male josso pezziglio; Pe la troppo stracchezza me fao male le polepe delle cianche.
Vocaboli dal glossario della testi di Anna Corsi: cavetuno (qualcuno), chijo (quello), leccapotta (bambina), oi (oggi), peddecocia (da queste parti), pimmitori (pomodori), rosso/a (rosso/a), stonco (sto), sureglio (mestolo),
 
 2. I proverbi e i modi di dire
Tra i detti e i proverbi artenesi raccolti da Ezio Bruni: Le case e lo murà, penselo ma no’ llo fà; I parenti so come gli stivali: più so stritti, più tè fao male; Panza piena nò ’mpenza a chella vota; Moglie della tua villa e compare de cento miglia; Chi va cò gli leccapotti (bambini) se po’ trovà smerdato; Sta méglio nò sorge a mmocca a ’na iatta; La vita è fatta a scala: Chi zecca e chi cala.
 
3. I toponimi e i soprannomi
Nel “V Palio delle Contrade” di Ezio Bruni nel descrivere la passione per questa sfida annuale che si ripete nella villa “dejo principe Borghese” passa in rassegna borgate e toponimi locali: Peccato che la gente Majotina / chist’anno non fa parte della scena // così farà contenta Via Latina / che fa cò Maiotini la fusione, / jo fatto stesso perché ce confina. // Le Vagli puro sente la pressione / e via Latina ch’à fatto la corte / pe fassela più rossa la frazzione // e forse è proprio éssa la più forte. / È forte puro Via Giulianello: / jo Salavatico ce darà le scorte? / Sennò succede davero ’no bordello! / Chist’anno sarao forti i Colubbrari / che già hao preparato ’no cartello // che come issi non ce stao pari; / la zona è sviluppata e genti tante, / tra gli òmmini parecchi quatrinari // che stao ajo livello de Cocciante. / Puro la Via Velletri tanto conta / pé la forza che tè, e è ’mportante, // svezzata, potente, e forse è pronta / a portasse chist’anno la vittoria, / che già so troppe vote che è seconta! // Le Macere so tre vote che tè gloria / perché la gente è pratica alla zona / ajo circhio, barozzella e a fà bardoria: // simo poracci, però gente alla bona; / i giochi de jo palio i conoscimo / la pace drento a nù è la padrona, // se j’atri so’ più forti, nù accettimo; / perché jo monopolio ’n ce ta stane, / … ma simo più contenti se vencimo!!!
Tra le ’nnòmmere artenesi inserite nel libro di E. Bruni ’Mpesticcio… citiamo: la sòre de Cardelluzzo, Nanna de Pedocchio, Palle secche, Raschiasassi e quelli inseriti nella poesia “La nòmmera”:
Se circhi caveduno a ’sto paese / puro se jo conusci bè de nome / po’ esse bravo, beglio o brutto arnese, // jo po’ cercà pe’ nome e pe’ cognome / niciuno po’ sapé de chi se tratta / se conusci la nommera, jo soprannome; // ajo primo che lo chiedi, è bell’e fatta. / Po’ retrova Chiocchiò, Danilo jo Bravitto, / la figlia de Cent’omini, Liandro Ratta ratta, // Rinardo Battirelli, Orfeo de Moschitto / Olindo de Braciola, Rico de Steppone / jo figlio de Paino, Peppe de Cicitto, // Merico de Barabba, Guglielmo de Stroncone, / Luigino Spallamonti, Franco Ronchettino / Mariuccio Battilocchio, Dante Castellone, // io figlio de Sciabrucco, Nicola jo Bellino, / po’ retrovà Liborio jo frate de Pizzetta, / Franco Casperone, Urelio jo Rotino, // po’ retrovà, casetta pe’ casetta / la nommera è comme ’na sirena, / arivi de lontano, te firmi alla piazzetta / domandi colla nommera, aspetti appena appena, / basta che sa le nommere peddecocia / retrovi tutti, conusci tutta Artena.
 
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi- gastronomia- feste&sagre-altro

Il Palio di Artena

Il Palio di Artena (o di Montefortino) nasce nel 1990 da un’idea di Ermino Latini, oggi sindaco allora assessore alla Cultura, per realizzare un momento d’incontro per tutti i cittadini delle 10 Contrade (Torretta, Valli, Macere, Maiotini, Colubro, Selvatico, Via Latina, via Velletri, Via Giulianello, Centro Storico), con una sorta di gara: il Palio delle Contrade. Un pretesto per rinverdire e rinvigorire la cultura e la tradizione locali. Innanzitutto quelle dell’intero XIX secolo e della prima metà del XX, quando quello di Artena era un popolo di contadini e pastori. La cittadina divenne agli inizi del Novecento la sede dell’università dei Boattieri (bovari), categoria forte di fine secolo, che raggiunse il suo apice agli inizi del 1900.

Tutti i giochi del Palio si richiamano a quelle tradizioni popolari. Il corteo inaugurativo, aperto abitualmente da una vetta (coppia) di buoi, è il momento più affascinante: mille costumi, immagini che richiamano una condizione di vita che oggi non c’è più.
I giochi, poi sono il sale del Palio, lo rendono allegro, spensierato, rilassante. Nel contempo alimentano le polemiche ma, alla fine, affratellano tutti.
Si tratta, di buone riproposizioni di antichi lavori agricoli, di giochi: A vatte lo rano, la Conca, jo Segone, jo Brigante, Curi ca’ te chiappo, la Carettella, Sarda la corda, jo tiro co j’arco, la pigiatura dell’uva, la Corsa co jo Circhio, la Corsa co’glio sumaro, la Corsa con la botte, Jo tiro alla fune degli ommini. Ma anche di prove come la Poesia in dialetto (Ogni Contrada può partecipare con il numero di persone che ritiene opportuno. Il giorno prima i Capitani dovranno consegnare il testo in italiano e in dialetto al Responsabile di gara. L’organizzazione si occuperà di costituire una giuria competente e neutra che darà un punteggio, che sarà la somma di due votazioni, il testo, che deve essere inedito, e la recitazione); oppure come la Canzone in dialetto (Ogni Contrada può partecipare con il numero di persone che ritiene opportuno. Il giorno prima i Capitani consegneranno il testo in italiano e in dialetto al Responsabile di gara. L’organizzazione si occuperà di costituire una giuria competente e neutra, il cui giudizio sarà indiscutibile e insindacabile. La giuria darà un punteggio, che sarà la somma di tre votazioni, il testo, che deve essere inedito, l’esecuzione, e la scenografia). Le notizie qui riportate sono state estrapolate dal sito: www.paliodimontefortino.it.
 

4.1 Canti

Ezio Bruni pubblica nel suo ’Mpesticcio… una serie di stornelli in terzina. Eccone alcuni: 
Chi male dice della propria vigna / e di mamma e papa, se ne vergogna / non è degno nemmen della madrigna – Salute e libertà è una ricchezza / che l’uomo le trascura e le strapazza / quando non ci son più, tanto le apprezza.
All’irripetibile e vulcanico menestrello artenese di Etargenio Caratelli si deve il canto “Tira jo vento” un inno al traditore. “Di rado si ascolta una poesia o canto d’amore con parole di conforto per il traditore. Questo canto narra di una sfortunata passeggiata del traditore sotto la casa dell’infedele. Alla finestra v’è esposta la parte (in dialetto artenese pacca) di un tronchetto di canna vegetale. È il segno convenzionale con il quale l’amante segnalava la presenza in casa del marito (jo becco). Il traditore è afflitto per non aver dissetato le sue voglie, fa ritorno a casa e per strada incontra un’osteria. Vi entra, beve mezzo litro, ma solo per affogare la rabbia, ripetendo sconsolato: jo becco fa la nanna e jo pupo sta a durmì. La fantasia popolare non ha limiti”. (Raffaele Marchetti – settembre 2007 – da https:////www.romacastelli.it).
In https:////www.youtube.com/watch?v=3zPBy5QGdtI Etargenio Caratelli interpreta “Tira jo vento”.
Il canto a poeta. Ad Artena, anzi meglio sarebbe dire in zona Macere tra Lariano ed Artena proprio ai piedi del Maschio di Lariano, risiede Ezio Bruni. Ezio, pastore in gioventù poi infermiere professionale ed adesso pensionato con l’hobby della pastorizia e dell’apicoltura; ha realizzato una casetta dove da anni si incontrano tutte le settimane i poeti improvvisatori in ottava rima. Vi hanno fatto sosta i toscani: Romanelli, Lolli , De Santis, Mauro Chechi, Rustici, Ciolli; gli Abruzzesi: Urmare Ciambotti detto Scopparola, Rinaldo Adriani, Paolo Santini da Bacugno, Pietro de’ Acutis da Bacugno; i laziali: Fornari e Mario da Palestrina, Prati, Abbaiati e Porfirio da Lariano, Renato Mattia da Valmontone, Palmieri da Colle di Fuori-Rocca Priora, Carletto Bianchi da Velletri, Agnese unica donna da Civitavecchia come pure Tazzini e molti ancora.
 
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
Due imprecazioni artenesi: Tè pozzi scapocollane pé lle scale. Tè pozzi reotecane.
Espressioni di ringraziamento: Bbona grazia téa.
 
4.3 I giochi
 
4.4 la gastronomia
Si invertono i regimi alimentari e la cucina dei poveri diventa ricercatezza da ricchi. Vedi ad esempio nella poesia di E. Bruni (“Jo merluzzo”). Il baccalà ’na ota era pasto dei poracci / dei contadini, campagnoli (…) specie pe’ colazzione, la mmatina / era ’na sceccheria, ’na specialità, / chi jo faceva fritto brustolito / o cotto cò glio sugo e le petate / chi jo metteva a moglio già la sera / pe’ faglio sciapì ’mpò; / ce ’sse faceva la zuppa co’ gli broccoitti (…) eppò costéva poco! mò ’mmece / jo baccalà è proibbito / jo poveraccio ’gno po’ crompà più, / ’nchilo costa quanto a ’ngiorno de lavoro; / ’nse trova più aglio mercato comme prima! (…) eppuro è baccalà come ’na ota! / solo che mò, è pasto dei signuri, / de gente che possède fama e gloria, / a nù tocca stà ’ttenti a chella gente / ca ce leveno puro la cicoria.
In “La panzanella” Bruni risveglia la nostalgia di un cibo semplice e solidale: ma se de pane ce stea ’na pagnotta / bastea quasi a tutto jo vicinato, / perché allora campà era ’na lotta; // co’ chello pane tosto e po’ ’mmollato, /spremuti sopre quattro pommitori, / appresso ’na brocchetta coll’acquato // e po’… tutti a lavorà, dentro o fori.
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
 
6. I testi di poesia
Negli scritti di Ezio Bruni “traspare sempre l’amore per la propria terra, per la famiglia, l’amicizia e la nostalgia di un passato tutto racchiuso in quel dialetto, espressione di un patrimonio culturale che rischia di scomparire”. Questo lo spinge a recuperare proverbi, modi di dire che poi egli usa anche nei suoi versi per meglio ritrarre fatti quotidiani e trarne la morale e a conservare la memoria di antiche tradizioni (“La scampanacciata”).
Annota Anna Corsi: “Bruni, utilizzando un linguaggio deciso e scorrevole, con i toni accesi del dialetto, ripercorre un passato velato di malinconia. Riaffiorano le tradizioni e i ricordi mai dimenticati, caratterizzati da una tensione romantica e sentimentale. È fondamentale, nelle sue poesie, l’oralità che le trasforma in racconto improvvisato e sincero di una quotidianità povera e indaffarata”.
La passione civile di Bruni si spende per difendere “La Chiesa della Macere che sta quasi a scomparì” e per denunciare l’inquinamento dell’acqua (“Tenemo l’acqua del Sembrivio”): Tanto tempo fa a chesta frazione / ce steva solamente ’na fontana, / che basteva alle bestie e alle persone, // a tutta la popolazione paesana. Pe ottenella è stata ’na bufera! (…) Oggi ognuno ’n casa ce tè jo rubinetto / che certo ce migliora assai la vita. // Prò mò chest’acqua a vote tè ’n difetto: / sa de’ varecchina, vè la tera ajo primo spruzzo, / se rompe la pompa, me pare ’no dispetto! // Certo, ’n tenimo più jo mucco zuzzo, / però coll’acqua bbona che tenèmo / ce tocca beve chella dejo puzzo.
Nella poesia “La discarica” è forte il sarcasmo del poeta di fronte alla contraddizione odierna della sovraproduzione di rifiuti e della non volontà di dotarsi di una soluzione per smaltirli. La discarica, appunto, niciuno la vorebbe e serve a tutti, / a tutti piace chest’era moderna, / ognuno fa i rifiuti begli e brutti / e de fronte ajo problema ce ’sse sterna (…) tutti diceno “no” a chella cisterna; / prò l’umanità è male avvezza / e produce’n macello de munnezza. Il buon senso vorrebbe che si producesse meno immondizia e che quella che purtroppo si genera fosse smaltita, ma, paradossalmente: se sotto tera non ce la volimo, / e tutta la munnezza ce ’mportuna, / allora bigna che ce organizzimo / a fa n’unica discarica alla Juna / armeno se dappò ce riuscimo / sarebbe a primo acchitto ’na fortuna / così guastimo puro chijo clima, / se sbraca tutto e ce recasca ’n cima.
In “Jo cupellitto” (in antologia) si fondono l’ammirazione per la maestria con cui costruiva gli utensili di uso quotidiano l’artigianato di un tempo e l’invito a non abusare della natura, a non produrre guasti ritornando all’uso di contenitori non solo ecologici, ma vantaggiosi perché in essi lo vino è sempre bbono e sempre frisco!
Ne “Lo friddu de chist’anno (gennaio 2002) il poeta sorprende mpasseritto che trova riparo dal gelo nella sua cantina e pare reccommanasse come no cristiano perché non lo scacci: isso guardeva a mmì e ’mpò alla porta, / pare co’ glio beccuccio m’ha parlato: // “’Nte preoccupà se tengo fame, no’ mme ’mporta / so’ zico zico vé, no’ magno tanto, / controlla se la jatta se n’è ccorta, // ’mpo m’aiuti tu ’mpo ca’ santo / così quando fenisce chesto friddo / rescio addafori, allora fischio e canto”.
In “Polenta e pizza de polenta” Bruni ricorda quand’era zicareglio e non c’era l’abbondanza odierna e il menu era costituito esclusivamente dalla polenta: Mamma ogni mese ne faceva trenta, ma na pizza a giorno ce basteva stenta / eppure niciuno se senteva male, / pe’ companaio mpò de ramuracce / la ciccia se caccivi cà nimale // senno’, brocco itti, sarache e… toccheva stacce; / tutta sta roba se magneva a Artena / cà pochi fasoi, mpò de petatacce. E all’ora di cena tenevo tanta fame comme iena. / Me sembra ieri no’ lo scordo ancora / trovevo no’ callaro de polenta / me ne magnevo mezza spianatora; / era davvero n’epoca trementa, / e mo’ la pizza nsé la magna ncane / la gente è ricca, eppure se lamenta.
Quando si dice il progresso. Ma sarà poi vero progresso? Vedi ad esempio il telefonino (“Jo telefonino cellulare”). Certo quando tenemo solo la capanna / e le viozze de tera battuta / a repensacce pare ’na condanna, // i nonni nostri prò l’hao vissuta / chella vita sofferta e tribolata / quando la scienza non era evoluta. // Non esisteva la telefonata / manco pe’ cà urgenza famigliare; / ma prò la cosa è troppo esagerata, // co’ chesta moda deglio cellulare, / se dropa pe’ parlasse porta a porta e spesso per futilissimi motivi, anche in macchina mentre uno guida… parla aglio cellulare e po’ s’ammazza / e tanta gioventù perde la vita. / Gente che parla sola pe’ la piazza // fa i gesti co’ le mani, ’ncarognita / cammina po’ va rèto a ca’ sentiero / me pare certa gente s’è ’mmattita. // Prima era brutta la vita, so’ sincero, / ma mo’ pro’ co chisso cellulare / la gente s’ha’mmattita pe’ ddavero.
Bruni sa però anche sorprenderci con una certa sua liricità come in “Malinconia” (vedere in Antologia).
 
ANTOLOGIA

EZIO BRUNI
 
Jo cupellitto
Cò sedici steccozze de castegna
tagliate corte, tutte a ’na misura,
le mette a ’mmollà ’n po’ chi ce ’sse ’mpegna,
le scalla e ce da la stessa piegatura;
le piega a una a una, quasi a turno,
po’ dù steccozze larghe se procura,
le ’lliscia bene bene e fa jo funno
po’ piglia quattro circhi cumbinati
a modo che riesce a fajo tunno.
I circhi ci i mette bbè ’ncassati
così stregneno bene le toghette,
batte e rebatte, tutti controllati
finché le toghe stao strette, strette.
Ddapò ce vo’ ’n trivejo, zitto, zitto
se ’n po’ de fantasia ce ’sse mette
ce fa proprio ajo centro ’no bucitto,
pe mettece lo vino quand’è estate:
è proprio bbono chisto cupellitto.
Mò certe genti se so’ ’nnamorate
colle bottiglie de ’sse palsticacce
quando fa callo tutte ’ncartocciate,
tanta munnezza, ’n giro de robbacce.
La gente tenarebbe sta più attento,
e forse toccherà rebituacce
co’ chisto cupellitto e ’no talènto,
ca’ teneva ragione zì’ Francisco:
“lo vino è sempre bbono e sempre frisco!”.
 
Malinconia
 
Tutte le sere quando se fa scuro
so sempre triste, tutta la nottata,
eppuro a repensacce, so sicuro
so lavorato tutta giornata,
quando che ssé fa notte mé repuso
cha la vita davero s’è straccata,
prò dé dormi tanto, nò né abbuso,
cerco revédé subito jo sole,
ma certi giorni penso ’mpò confuso;
e suio mé pronuncio le parole;
che bella giornata òi è revenuta!
vedo sboccià le rose e le viole
eppò jo sole recala e mé saluta,
sé refà notte e lo pensà, nò giova
che la giornata nò ’nsè trattenuta;
è vero, la giornata revè nova,
dopo la notte sé fa giorno ancora
prò chisà, sé a mì me ccé retrova!
 
Cenni biobibliografici
Ezio Bruni, pastore in gioventù poi infermiere professionale ed adesso pensionato con l’hobby della pastorizia e dell’apicoltura; ha realizzato una casetta dove da anni si incontrano tutte le settimane i poeti improvvisatori in ottava rima. Poeta a braccio, vincitore di numerosi premi, è autore anche dei libri: Sprazzi di vita (1987), L’intimo di un cuore (1990), ’Mpesticcio de grammatica artenese e poesie in dialetto (2002) una miscellanea di grammatica, poesie, detti, proverbi scritti in artenese (’Mpesticcio =un po’).
 
Bibliografia
Bruni, Ezio, Sprazzi di vita, s.l., s.e., 1987
Bruni, Ezio, L’intimo di un cuore, Ariccia, 1990
Bruni, Ezio, ’Mpesticcio de grammatica artenese e poesie in dialetto, Artena, tip. A.G.A. di Pompa Enrico, 2002
 
webgrafia
https:////www.comune.artena.rm.it

ultimo aggiornamento 19-11-2011