Di Valentino Zeichen (24 marzo 1938 – 5 luglio 2016) traggo la poesia che oggi pubblico dalla quarta raccolta («Museo interiore», Guanda, 1987).
La prima, «Area di rigore», era stata tenuta a battesimo nel 1974 per la Cooperativa Scrittori da Elio Pagliarani. Vi si leggeva una poesia intitolata «Il poeta»:
«Presumibilmente, / sembro un poeta di elevata rappresentanza / sebbene la mia insufficienza cardiaca / ha per virtù medica il libro del “cuore” / Abito appena sopra il livello del mare / mentre la salute, la purezza, la ricchezza / e gli sports invernali / stazionano oltre i mille metri / Perciò mi ossigeno respirando l’aria / dei paradisi alpini / così arditamente fotografati / dagli scalatori sociali / nonostante la pericolosità dei dislivelli».
Nell’ultima («Casa di rieducazione», Mondadori, 2011) pochi altri versi, a distanza di quarant’anni e più, definiscono nuovamente la figura del poeta: «Si dice che la poesia / manchi di vero slancio, / che non sappia più volare / poiché non più sorretta / dai grandi angeli alati. / Che farci? È un mondo / di poeti atei che volano / preferibilmente in aereo» («Poesia»).
E si chiude così il cerchio di un percorso sempre svolto sul filo di un’elegante ironia, un po’ Gozzano («un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte» lo definì Pagliarani) un po’ Palazzeschi (Zeichen «imita Perelà»: ancora Pagliarani). E di Perelà uomo di fumo Zeichen aveva la leggerezza, forse il più vero antidoto alla cupezza dei tempi.