Poesie per un anno 6 – Camillo Sbarbaro

di Francesco Paolo Memmo

 

Camillo Sbarbaro (12 gennaio 1888 – 31 ottobre 1967) collezionava, con una passione non dilettantesca, licheni che oggi si trovano nei più importanti musei di scienze naturali del mondo.

I licheni sono una delle forme più povere della vegetazione e tuttavia, nella loro umile apparenza, oppongono una tenacissima resistenza alle più avverse condizioni ambientali (i licheni, diceva, sono “una muffa più un fungo, due debolezze che fanno una forza”).

Nulla potrebbe meglio simboleggiare la poesia di Sbarbaro: la quale tende a una drastica riduzione del proprio ruolo, della propria voce, e però nasce come necessitata dalla volontà di opporsi allo sfacelo che i poeti del primo Novecento sentono imminente.

Si pensi solo ai titoli delle sue raccolte di versi e di prose: «Resine» (1911), «Pianissimo» (1914), «Trucioli» (1920), «Liquidazione» (1928), «Rimanenze» (1955), «Fuochi fatui» (1956), «Scampoli» (1960), «Gocce» (1963), «Contagocce» (1965).

Una poesia che volutamente rinuncia ai toni alti, al sublime, al canto spiegato e si tiene quasi su una sola nota, con un filo di voce che però, appunto, diventa un’arma di resistenza a quel male di vivere che egli per primo, tra i poeti del secolo trascorso, ha saputo esprimere.