Loredana Bogliun: dialetto e poesia da una terra di frontiera

L’opera poetica di Loredana Bogliun, nata a Pola nel 1955, si colloca nel particolare contesto storico e linguistico dell’Istria sud-occidentale. Il dialetto in cui si esprime è, infatti, l’antico idioma della città di Dignano, una lingua autoctona preveneta che ha subito gli effetti delle tormentate vicende storiche di questa regione, definita da Pasolini «l’Italia non italiana».

L’Istria, annessa all’Italia dopo la prima guerra mondiale, fu occupata nel 1945 dalle truppe partigiane di Tito con l’intento di liberarla dal nazifascismo, ma fu di fatto perseguita una politica del terrore che continuò anche dopo il 1947, quando con i trattati di Parigi l’Istria passò alla Jugoslavia. Per effetto di un complesso intreccio di timori, paure e speranze conseguenti a persecuzioni ed espropri posti in atto a danno della popolazione italiana, l’Istria ha vissuto l’esperienza di una diaspora forzata di cittadini di etnia e lingua italiana che in ondate successive, tra 1947 fino alla fine degli anni cinquanta, ha assunto i tratti di un vero e proprio esodo. Per i pochi italiani che scelsero di non fuggire, come la famiglia di Loredana, non restò che aggrapparsi alla propria identità etnica e culturale, unica garanzia per una dignitosa sopravvivenza.
Dopo la svolta degli anni ’90, con la dissoluzione della Jugoslavia e la proclamazione della Repubblica di Croazia, in Istria non sembrò risolversi il nodo della convivenza di diverse etnie e non sono mancate posizioni nazionaliste intransigenti nei confronti della minoranza italiana. Ma in oltre 60 anni «le componenti più vive e creative della Comunità Nazionale Italiana (CNI) di Croazia e di Slovenia hanno prodotto, sotto forme molto diverse, una notevole quantità di narrativa e poesia nella lingua standard e in dialetto, espressione di complesse esperienze personali, sociali e culturali, nonché di “confronto scontro incontro” fra tradizioni culturali differenti che sono servite da sfondo alla produzione artistica e hanno dato nutrimento ai desideri e all’immaginario». (da Le parole rimaste. Storia della letteratura italiana dell’Istria e del Quarnero nel secondo Novecento,a cura di N. Milani e R. Dobran, Pola, Pietas Iulia-Fiume, EDIT 2010).
 
Nota il critico Francesco Piga che una terra di frontiera come quella in cui è vissuta Loredana «determina il carattere degli abitanti, forte ma anche indifeso, e quindi tenero, perché chiuso nella consapevolezza della precarietà di ciò che vive»; c’è da chiedersi, insieme al poeta e critico Mauro Sambi, come possa essere stato «nascere a Pola nel 1955, crescere nella vicina Dignano a ridosso immediato della voragine che s’era inghiottita la gran parte della popolazione, aveva svuotato la città e il paese lasciandoli intatti, ma consegnati, in quegli anni, a una lenta rovina, a un silenzio irreale in un paesaggio che aveva perso, con la sua gente, le parole per dire il proprio senso e stabilire il proprio posto al mondo».
La storia, modificando i confini, insidia la sopravvivenza di antiche lingue e il dignanese, inserito dall’UNESCO ne Il Libro Rosso delle lingue in pericolo, vive ormai soltanto nella memoria di qualche anziano e nella scrittura, in cui diviene lingua della poesia come «substrato residuale semi-conscio di una memoria collettiva quasi estinta ma dalle risonanze tenaci» (M. Sambi).
 
Nella poesia della Bogliun l’istroromanzo, «che nutre e strazia la sua memoria […] è il dialetto della ferita dell’esodo, della desolazione, dell’amore/strazio per questa Dignano antica, rurale e in sfacelo i cui riverberi impregnano il suo verseggiare e sembra quasi riecheggiare alla lontana antichissimi linguaggi scomparsi […], aspro e insieme carezzevole per la rarità delle desinenze in consonante» (A. Zanzotto), con le «dittongazioni sinuose, le affascinanti assonanze, la vocalità istriana così vicina alla nostra tradizione italica, e il corpo denso del vocabolo a darne la materica consistenza» (F. Loi).
In una lettera a Mauro Sambi Loredana tratteggia in tal modo il suo particolare rapporto con il dialetto: «non ho acquisito pienamente l’accento dignanese. Non mi viene fuori così come lo sento, arcaico e penetrante. Non l’ho mai usato come lingua di comunicazione. L’ho interiorizzato da piccola ascoltando i miei nonni, gli anziani del paese, vivendo la mia infanzia con le atmosfere di questo dialetto. Oggi quando mi ripenso rivedo questa esperienza straordinaria: afferrare la fine di un’epoca, di una lingua, di una cultura, di un universo simbolico, per poi avere l’opportunità di ricrearlo e personalizzarlo»; e così recita in Rumasse, una lirica della raccolta Soun la poiana: douto ∫i in tala screiculada / de ta sta scritoura feissa / fata par scultà cumo ch’a ta∫o / la fuia scampada de la rama (tutto è nella screpolatura / di questa scrittura densa / fatta per ascoltare come tace / la foglia scappata dal ramo).
 
Dopo un lungo periodo di silenzio (la sua ultima raccolta Soun la poiana (Sulla poiana), uscita per i tipi dell’editore Lietocollelibri, risale al 2000), Loredana Bogliun è tornata a far sentire la sua voce nell’undicesima edizione del premio “Città di Ischitella-Pietro Giannone” (2014), classificandosi nella terna dei vincitori con la silloge ∫fisse (fessure). A riproporci la sua poesia, prima ancora del “Premio Ischitella”, è stata nel 2013 la pubblicazione del volume antologico Graspi (Grappoli), che riunisce le sue tre raccolte più importanti edite tra il 1993 e il 2000: Ma∫ere (Muri a secco), La peicia (La piccola) e Soun la poiana (Sulla poiana). Ma la sua attività poetica è iniziata ben prima del ’93. Come attesta l’ampia nota contenuta nella sezione a lei dedicata nel citato volume Le parole rimaste, già dal 1973, quando era ancora giovanissima, una sua raccolta, Poesie Dignanesi, è apparsa nella prestigiosa rivista la battana di cui la Bogliun è stata anche redattrice dal 1992 al 2001. La sua produzione è proseguita ininterrottamente sino al 2001 e tanti sono stati i riconoscimenti che ha ricevuto tra cui ricordiamo le numerose edizioni del premio “Istria Nobilissima” (con una menzione speciale, il primo premio nelle edizioni del 1983 e 1989 e il secondo negli anni ’79, ’85, ’87, ’88 e ’92), il “Premio Città di Trento – Trofeo del Buon Consiglio” (1987), il Concorso letterario “Poesia in Piazza” di Muggia (1987), i premi “Drago Gervais” di Fiume (1988) e “San Benedetto del Tronto” (2001).
Per la peculiarità e la profondità della sua scrittura fin dagli esordi è stata oggetto d’attenzione della critica più autorevole. La sua fama ha valicato ben presto i confini dell’Istria e poeti come Franco Loi e Andrea Zanzotto hanno curato prefazioni e postfazioni delle sue raccolte. Franco Brevini ne fa menzione già nel 1990 nel volume Le parole perdute – Dialetti e poesia nel nostro secolo (Torino, Einaudi), in cui nel rilevare «la capacità di recupero e riconversione della parola dialettale», accosta la sua poesia a quella dei più importanti poeti neo-dialettali italiani.
Inserita in molte antologie, è stata tradotta in inglese, tedesco, spagnolo, croato, macedone, sloveno, romeno, hindi e nel dialetto istriano ciacavo. Ha al suo attivo anche traduzioni letterarie, tra cui il poeta sloveno Marko Kravos (Il richiamo del cuculo, Pasian di Prato, Campanotto 1994), il macedone Boris Viscinski (La nave sulla montagna, Genova,Marietti 1991) e la poetessa croata Vesna Parun (Solo ciottoli, in “la battana”, 87/1988).
 
All’attività letteraria Loredana Bogliun ha affiancato un’intensa e approfondita ricerca nell’ambito della psicologia sociale sull’identità etnica della minoranza italiana in Croazia, esprimendosi anche in un forte impegno politico: dal 1990 al 2001 ha ricoperto importanti cariche, militando nella Dieta Democratica Istriana, e per due legislature è stata Vice-presidente della Regione Istria ed è in virtù del suo impegno e degli approfonditi studi che nel 2001 le è stata conferita la cittadinanza italiana per meriti dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi.
Laureata in psicologia, ha operato a Buie come psicologo scolastico, professore e preside della Scuola media superiore in lingua italiana ed è stata ricercatrice nel settore della psicologia sociale presso l’Istituto di Sociologia dell’Università di Lubiana, nonché docente al Dipartimento di Italianistica e di Scienze dell’Educazione della Facoltà di Lettere e Filosofia di Pola.
 
Il volume antologico Graspi non rappresenta soltanto la riedizione di precedenti raccolte ma è la sintesi di un percorso poetico suggerito già dal titolo stesso: i grappoli che ricordano la vendemmia e, quindi, il tempo della maturazione dei frutti. Nella parola dialettale Graspi alla rasposità del significante si associa la dolcezza del frutto, così come l’aspro di lontane esperienze si scioglie nel calore della maturità, in un consapevole e pacato riemergere della poesia dopo una lunga pausa di scrittura.
Tra i nuclei tematici della poesia di Loredana Bogliun spicca in particolare la sua terra; Dignano e l’Istria, in cui tutto sembra fato de passiensa anteica (fatto di pazienza antica), sono metafora di un mondo incantato e al tempo stesso di lacerazioni e ferite: Dignan ∫i quil logo / ch’a nasso tra le piere / la meia fanta∫eia / ste dui favele / la sparansa ch’a me scanteina (Dignano è quel luogo / che nasce tra le pietre / la mia fantasia / queste due parole / la speranza che m’abbandona).
Intimo è il dialogo con un paesaggio fortemente simbolico, a volte trasfigurato e visto come in un volo che ricorda la pittura di Chagall, altre volte colto nell’asprezza di maere (muretti), rumasse (sterpi) o della campagna ingraiada (campagna cespugliosa): la nustra tera ∫i douta drento la ma∫era, / al furmentòn impiantà cumo omini de pana / cu la radeiga soia, al cavel ingarissà (la nostra terra è tutta dentro il muricciolo di campagna, / il frumento piantato come uomini di pannocchia / con la radice propria, il capello sgualcito). Alberi, fiori e animali, in una dimensione a volte sinestetica e in un procedere spesso ellittico e ricco di pause, animano del proprio vivere le campagne, i colli, il mare, come al preimo manduler (che) carissa l’aria / cul suspeir de nuveissa […] e pien de bundansa el se specia / cu la no∫ensa de la piouma (il primo mandorlo (che)accarezza l’aria / col sospiro di sposa […] e pieno di abbondanza si specchia / con l’innocenza della piuma) o altrove gli alberiche tuca al siel / vardando la ierba ch’a crisso spetenada (toccano il cielo / guardando l’erba che cresce spettinata) o i fiordalisi cun ociade da ba∫iti muli∫seini (con sguardi da bacetti carezzevoli).
Sullo sfondo si muove leggera qualche figura di una gente “antica” che vibra di umanità, che iò i oci peici, / striti cumo in t’ouna rouga sula (ha gli occhi piccoli, / stretti come in una ruga sola): Veneranda che d’estate cercava le chiocciole, il maestro, la vecchia di Baredine, il fornaio dal naso lungo.
Nella sensualità del paesaggio si scioglie il ricordo nostalgico dell’infanzia in cui risaltano profondi i rapporti parentali: in particolare la figura del padre che assume tratti quasi mitici e che sa farsi simbolo, quasi emblema di “Pater”, oltre la dimensione del vissuto: un omo fato cume la boura (uomo fatto come la bora) che vive sta veita / screita in tal seilensio / de oun travaio inseina umbrì (questa vita / scritta nel silenzio / di un sacrificio senza ombre). E insieme a lui le donne della famiglia che sembrano unite in una compresenza in cui si annullano i limiti del tempo cosicché le esperienze di bambina sfumano in quelle di madre: I catarè me maro me feia / la sparansa de tri fimene / ch’a fa la veita meia (Troverò mia madre mia figlia / la speranza di tre donne / che fanno la vita mia).
La poesia di Loredana Bogliun è canto d’amore oltre che per la sua terra anche per l’uomo amato. L’amore è «respiro, modo d’essere, come è naturale in ogni poeta, e tanto più è contenuto, pudico, reso semplice nel rapporto con gli altri, tanto più lo avvertiamo in quei suoi “occhi spalancati” che sanno cogliere “la luce dentro la goccia di rugiada” […] Ma fosse pure rivolto al marito o a un immaginario amore, è di sé che dona l’innocenza e il femminile tepore» (F. Loi). L’amore si manifesta nella sensualità della natura (co i te stren∫i de dona / al vudio se impineisso in tal’aria (quando ti stringo da donna / il vuoto si riempie nell’aria), in un rapporto denso e materico che si stempera in sinestetiche percezioni: I vuii scultate in tal seilensio / de la favela ch’a no iò fadeiga. // A reiva amur meio al tempo de le mure […] A ∫i ch’a te voii ben d’al cor de la mura fata (Voglio ascoltarti nel silenzio / della parola che non ha fatica. // Arriva amore mio il tempo delle more […] È che ti voglio bene dal cuore della mora matura).
Lontana da tematiche locali e bozzettistiche, l’opera di Loredana Bogliun si colloca nell’ambito della poesia lirica in dialetto, sulla scia di Biagio Marin, Virgilio Giotti e della migliore produzione neodialettale italiana. Attraverso la sua poesia «ha dato voce ad una geografia, ad un mondo, che erano muti, ad una lingua che era sepolta nella gola di sparuti parlanti anonimi, ha fatto rivivere i morti, ha stabilito un legame con altre realtà, ha fatto dialogare tra loro i tempi, il passato con il presente, l’infanzia con la maturità, ha creato ponti di comprensione del profondo, di complicità, di commozione, di umanità» (N. Milani).
 
Graspi (Grappoli), Altre lettere italiane – Collana degli autori italiani dell’Istria e del Quarnero, Fiume (Croazia), EDIT 2013
 
di Ombretta Ciurnelli
 
Opere di Loredana Bogliun
 
– Poesie dignanesi, in “la battana”, 30-31/1973;
– Raccolta di poesie, in Antologia di “Istria Nobilissima”, edizioni 1974, 1979, 1983, 1985, 1987,   
   1988, 1989, 1992, 1996;
– Poesie in dignanese,in “la battana”, 65/1982;
– Donne e dolori, in “la battana”, 71/1984;
Poesie, in Voci nostre – antologia degli scrittori del gruppo nazionale italiano di Jugoslavia, a cura di Antonio Pellizzer, Rijeka/Fiume, EDIT 1983, 1985, 1993; 
– Bavizein de veita (Venticello di vita), in “la battana”, 77/1985;
– Cumo inseina cativerie (Come senza cattiverie), in “la battana”, 85/1987;
– Poesie, prefazione di Salvatore Giubilato, Mazara del Vallo, Impegno 80 1988;
– Vorbind despre noi, traduzione in romeno di George Popescu di Poesie, Craiova, Scrisul   
   romanesc 1989;
Raccolta di poesie, in “Diverse lingue”, 7-8/1990;
– Istrianitudini, in “la battana”, 107/1993;
– Sta batana viecia stara. Omaggio a Ligio Zanini, in “la battana”, 110/1993;
– Mazere / Gromače / Muri a secco, con traduzione in croato di Mate Maras e Tonko Maroević,
  Castel Maggiore, Bologna, Book, Rijeka/Fiume, EDIT, Zagreb, Durieux 1993;
– Istarskite zidišta,traduzione in macedone di Mateja Matevski di Mazere / Gromače / Muri a
   secco, Skopje, IP “Grigor Prličev” 1996;
La peicia, prefazione di Andrea Zanzotto, postfazione di Franco Loi, Milano, Hefti 1997;
– La trasparenza – cinque poesie cinque incisioni,edizione artistica con Giorgio Celiberti, Milano, Hefti 1997;
– Istrianitudini, traduzione in romeno di Stefan Damian, Bucarest, Editura Didactica si Pedagogica 1997;
Soun la poiana (Sulla poiana), prefazione di Franco Loi, Falloppio (CO), Lietocollelibri 2000;
– Graspi (Grappoli), prefazione di Mauro Sambi, Fiume, EDIT 2013;
La scala, in In classe, con i poeti, a cura di Maurizio Casagrande, Pasturana (AL), puntoacapo Editrice 2014.