La statura della palma. Canti di martiri antiche

Aperilibro n. 16 di Francesca Del Moro

 

[Febbraio 2019] LA STATURA DELLA PALMA. Canti di martiri antiche, di Francesca Del Moro, prefazione di Anna Maria Curci, Aperilibro n. 16, Edizioni Cofine, 2019, pp. 32 autocopertinate, euro 5,00

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La Statura della Palma. Canti di martiri antiche

Dalla prefazione

Tredici giovani donne martiri dei primi secoli del cristianesimo cantano il loro amore per Cristo e le sofferenze inflitte dai loro aguzzini. Le martiri danno «testimonianza non solo di una fede vissuta con estrema consapevolezza, ma anche di una morte cruenta, frutto di uno scontro – l’amore e la “sete insondabile e perenne” di assoluto avvertiti come emancipazione totale dalla schiavitù da un lato, la repressione violenta del potere dai tratti esplicitamente patriarcali dall’altro – affrontato, da parte delle “tredici donne bellissime e dallo sguardo fiero” che narrano il loro martirio, con una capacità argomentativa non comune». (A. M. Curci)

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Francesca Del MoroL’AUTORE

FRANCESCA DEL MORO è scrittrice, traduttrice, editor, performer e organizzatrice di eventi dedicati alla poesia. È nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna.

Ha pubblicato le raccolte di poesia Fuori Tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014), Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016) e Una piccolissima morte (edizionifolli, 2017, ripubblicato nel 2018 come ebook nella collana Versante Ripido / LaRecherche).

Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire (Le Cáriti, 2010). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision.

Fa parte del collettivo artistico Arts Factory, insieme a Federica Gonnelli e alla fondatrice Adriana M. Soldini, e dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi. Cura la rubrica “Poemata. Versi Contemporanei” per la rivista ILLUSTRATI edita da #logosedizioni.

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NEL LIBRO

                                    La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni a grappoli.

                                                                           Cantico dei Cantici

                                    Il giusto come palma fiorirà.

                                                                             Salmo 92

Tra le storie più affascinanti che ho ascoltato da bambina, mi torna spesso in mente quella della “O” del dattero. Per anni la mia nonna paterna, Lea, me l’ha ripetuta a Natale mostrandomi il cerchietto impresso al centro dei noccioli dei datteri secchi e ho a lungo sospettato che se la fosse inventata.

La leggenda è effettivamente poco nota e circola in almeno due versioni. Secondo la prima, durante la fuga in Egitto, la Madonna con il piccolo Gesù cercò riparo ai piedi di una palma da dattero ma i soldati di Erode la trovarono, così avvolse il bambino che teneva tra le braccia in una coperta. Quando i soldati le chiesero cosa stesse nascondendo, rispose che aveva solo dei fiori, ma gli uomini non le credettero e le ordinarono di scostare la coperta. La Madonna obbedì rivelando una moltitudine di fiori variopinti e profumati. A quella vista, i soldati esclamarono tutti insieme una “O” di meraviglia che si impresse nei noccioli dei datteri di quella palma e di qualsiasi altro dattero per sempre.

Secondo un’altra versione della storia, sarebbe stata invece Maria, deliziata dai frutti della palma all’ombra della quale riposava, a pronunciare la “O” di cui ogni nocciolo di dattero avrebbe serbato traccia.

Pressoché sconosciuta è una terza versione…

Mentre viaggiava in fuga da Erode attraverso l’Egitto, un giorno Maria sedette ai piedi di una palma da dattero, imponente e robusta e, dopo aver gustato uno dei suoi frutti, si addormentò con il piccolo Gesù tra le braccia. (…) Aveva da poco chiuso gli occhi quando credette di vedere arrivare tredici donne bellissime e dallo sguardo fiero, che si fermarono proprio davanti a lei, una di fianco all’altra.

La prima disse di chiamarsi Agata e cominciò a intonare un canto enigmatico. Dopo di lei, a una a una, cantarono le altre donne.

AGNESE

Voi avete carni dure.
Coriacee pelli di testuggine.
Fauci di iene spalancate al riso.
Guizzi di lingue come anguille.

Siete costanti nell’assedio, furiosi nell’assalto.

Ma quale gloria avete, quale vanto
rubando con la forza quel che d’amore è un regalo?

Basta poco a fermare il cuore che non farete palpitare.

Mi strapperete la lingua ma non dirà il vostro nome
né formerete dalla mia bocca sanguinante un bacio.
Mi piegherete le braccia, eppure non vi cingeranno.
Se mi tagliate le mani, non mieterete carezze.
Non è passione la fiamma che mi colora le guance
né è resa questo abbandono.
Non sarà varco allo spirito alcuna breccia nella carne.

Fate un misero bottino di cose senza valore
il mio tesoro è nascosto.

Cristo ha già teso la mano verso il più alto ramo
dove, matura, l’uva vi dondola sul capo.
Solo lui succhierà i miei dolcissimi acini,
solo lui mi spremerà, mi farà vino al suo calice,
goccia a goccia mi berrà.

Lui vede ciò che vuole il cuore
ascolta il grido che s’innalza dall’abisso.

Rimane vergine chi non acconsente
e puro è il corpo se la volontà non cede.

Come foltissimo vello, come armatura a proteggermi
si allungano e mi vestono i capelli.

Ecco, le vostre mani arretrano, si congiungono in preghiera.
L’angelo annuncia la buona novella.
Uscite perdonati, uscite e predicate.

Non toccherete l’agnella.

Dopo Agata e Agnese canteranno: Caterina, una regina dal nome sconosciuto, Cecilia, Perpetua, Felicita, Giuliana, Apollonia, Giulia, Margherita, Sofia e Lucia.

Al cadere della testa di Lucia, Maria riaprì gli occhi, tremando dal terrore. Guardò il figlio che teneva in braccio, l’innocente da cui, senza sua colpa, sarebbero discese tante disgrazie. Per un attimo si chiese se non fosse meglio consegnarlo a Erode per impedire il compiersi della profezia sognata ma subito venne sopraffatta dall’amore e allontanò da sé quel pensiero.

Alzò il viso al cielo e levò un grido di dolore che si incise nei noccioli di ogni dattero della palma che la sovrastava e in ogni nocciolo di dattero in ogni parte del mondo. Finché una luce le scese sul viso, una mano le sfiorò la fronte e dimenticò.