Giulio Cesare Santini nacque a Roma, nel rione Regola, il 14 Luglio 1880, precisamente nel Vicolo San Bartolomeo, ora scomparso per dar luogo all ex Ministero di Grazia e Giustizia. Trascorse la fanciullezza in Via Monte Giordano, nel cuore del Rione Ponte.
Successivamente abitò in Banchi Vecchi, in Via del Pellegrino, e solo in tarda età si trasferì nel quartiere Prati, in Via Tibullo 20.
Si è formato e ha vissuto fra le vecchie memorie popolari del centro di Roma, il suo territorio era quello di Via dei Pettinari,dei Coronari,dei Giubbonari,di Parione,del Governo vecchio,di Pasquino e di San Paolo alla Regola. Non poteva non assorbire nell’animo nel cuore e nella mente questo quadro pittoresco senza restarne ammaliato. Scrisse nel poema “Rugantino” le sue prime poesie di attualità e di cronaca spicciola. I suoi primi lavori comparvero sul “Piccolo Giornale d’Italia”e sul “Messaggero”.
Conobbe e fu amico di Sergio Corazzini, di Fausto Maria Martini, di Nicola Marchese, Pietro Sgabelloni, Italo Mario Palmarini, Clelia Bertini Attili, Clarice Tartufari e a Domenico Oliva.
In un fascicolo diretto da Marinetti pubblicò “Er temporale” che fu elogiato pubblicamente dal deputato Domenico Oliva.
Durante la collaborazione col “Rugantino” scrisse un poema su Napoleone di 184 sonetti iniziando così il suo primo volume di poesie nel 1913.
Nel 1921 intitolò il suo secondo volume “Bisboccia” che è una collana di 14 sonetti.
Comincia a delinearsi l’impronta della poesia di Santini che si alterna tra vivacità umoristica e slanci lirici.
Nel 1923 dette alle stampe il poema “Dante” con 125 sonetti nei quali illustrò, in vernacolo, la vita travagliata di Dante. Il poema ebbe grande favore di pubblico e della stampa romana.
Nel 1928 pubblicò 80 poesie varie, tra cui “…..e a Roma se canta così….” .
Nel 1929 pubblicò “ L’ omo primitivo” costituito da 200 sonetti dove indugia curiosamente sulla storia della evoluzione umana e della famiglia.
Nel 1931 esce una bella raccolta di liriche, tra le quali “Anninnete core” e “Svegliarini”.
Dopo tanto fervore dal 1931 non dette più nulla alle stampe. Si immerse in un lavoro silenzioso scrivendo centinaia di componimenti oltre a quadri e acqueforti di Roma sparita.
Poi nel 1955 consegnò all’editore Staderini una parte del suo ultimo lavoro “Monta quassù che vedi Roma” . Il libro ebbe nuovamente favori di pubblico e di critica.
Il 6 settembre 1957 si spense nel mezzo di un nuovo grande progetto. Così presagì la sua morte :
Er rusignolo ch’ha cantato tanto
P’unì la sua vocetta ar gran concerto,
ecco, è rimasto co’ la gola secca
e cor becchetto aperto…
Giulio Cesare aveva innato il senso del bello, se gli capitava di leggere una buona cosa, la esaltava,la diffondeva,se ne compiaceva con l’autore pronto ad incoraggiarlo. Il suo stile a volte si è avvicinato a Giovanni Pascoli ( Li sordatini – La cameretta del pupo morto – La canzone der macinello – La canestra dell’infascio…etc )
Descrisse gli acquarelli di Roesler-Franz con le liriche: Cappellette – Piazza San Salvatore in Lauro – Tor de Mezzavia – L’erbarolo – Palazzi cinquecenteschi.
Si interessò molto anche alla poesia religiosa creando un grande affresco dell’apostolato cristiano dei suoi tempi.
Ecco qui di seguito alcune poesie di Giulio Cesare Santini.
Giorgio Piccinini
Lo studio de Trilussa
Quanno un poeta canta, offre se stesso
a la gloria der sito indove è nato…
Se strappa er core e te lo butta appresso
co’ le gemme che Iddio cià incastonato.
Quer tesoro d’idee da lui trasmesso
va in beneficio ar popolo e a lo Stato.
Però, er poeta, ar dunque, cià rimesso;
percui, deve riavè quer ch’à donato.
Trilussa ha offerto a Roma, sodisfatto,
versi che so’ gioielli… E mo ch’è morto
cià avuto a casa l’ordine de sfratto.
Ma Roma aggisca pe’ sottoscrizione,
compri lo studio, e Lui ciavrà er conforto
che lo sfrattato, sfratterà er padrone!
Caffè notturno
Lo chiameno er Caffè der Pidocchietto…
Uno dorme appoggiato a un tavolino;
un antro ronfa, lungo su un banchetto
e le braccia je fanno da cuscino.
Sull’arco de’ la porta c’è un lumetto,
come ’na lampenetta d’artarino…
Coll’occhi fissi a l’urtimo goccetto,
’na vecchia sta a parlà cor bicchierino.
Entra ’na lavannara… Se fa giorno.
L’arba biancheggia fra ’ste scarpe rotte
e quarcuno se sveja e guarda attorno.
Passeno carrettieri, fruttarole…
Chi nun sposta, so’ ’st’ombre de’ la notte:
pare che se vergogneno der Sole…
Proverbi popolari
– Fra cani nun se mozzichino… Mah!…
Hai visto ch’è successo ar sor Mosè,
quello che cià un palazzo a l’Umirtà
e un cane che se chiama Giosuè?…
L’antro giorno s’ammala… Mbè, che fa?…
Telefona a un dottore… Quello viè,
j’attasta er porzo, te lo fa spojà,
lo bussa forte: “Dica trentatré…”
Ner vedello bussà, l’animalaccio
mozzica er pugno ar clinico e tiè duro…
Giosuè fermò er sole, e questo er braccio.
Dunque è inutile, fijo, ch’io te prèdico
fra cani nun se mozzichino… Eppuro
er cane lupo ha mozzicato er medico!
Spadronanze
E’ un anno che noi dua famo l’amore,
so’ tre giorni che vienghi a casa mia
e già ciài fatto nasce un parapja!
Ma che s’usa accusì?, so’ ’n anticore!
Litighi co’ papà, la pii co’ zia,
me tratti male mamma ner discore’,
ieri te meni co’ l’intajatore
ch’abbita ar terzo piano e cià famija.
Dichi: “L’amore è un po’ litigarello…”
ma tu litighi come n’arabbiato!
E che se fa l’amore cor cortello?
Mo nun cercà questione e pene amare,
pensa a sposamme e quanno m’hai sposato
ciavrai da litigà quanto te pare!
Pubblicato il 23 ottobre 2015