La colonizzazione invisibile (Arcipelago itaca 2021) è un libro in versi che a tratti si lascia attraversare dal respiro sottile della narrativa, quando al susseguirsi dei brani alterna pagine di riflessioni in prosa come fossero punteggiatura testuale, parola diretta, pausa nella versificazione.
Poesia che a sua volta lambisce il narrato, erode i confini e che contamina col suo movimento una forma e l’altra, armonizzandole.
È un libro che centra il suo interesse nella relazione tra persone e web e indaga sulla reazione di chi, a cavallo tra due epoche, quel-la prima di Internet e quella dopo, ha attraversato un ponte tra due mondi arrivando alla consapevolezza che l’adattamento all’ambiente virtuale ha modificato i nostri comportamenti e soprattutto il nostro modo di Essere. Di apprendere. Di immaginare.
È un libro che indaga sulla trasformazione di una società, sull’impatto che ha Internet sulla democrazia, che tocca argomenti come l’indirizzamento dei dati forniti dagli utenti e la privacy, temi nuovi per la poesia ma pertinenti alla conoscenza delle persone e delle comunità nel loro relazionarsi con nuove forme di potere, persino con una nuova spiritualità e con nuove paure.
L’antidoto non è la censura, neppure la nostalgia.
Il libro contiene in sé l’evocazione allo spaesamento e al movimento centrifugo che talvolta ci porta lontano dagli equilibri con-clamati o raggiunti, lo fa scandagliando certe reazioni umane alle proposte dei giganti del web, leggendo tra le righe delle nostre stesse abitudini, rovistando in una umanità che ci appartiene e che viene posta al centro di ogni vicenda e di ogni supposizione perché non ci sfugga mai di mano la volontà, sul piano del possi-bile, di essere gli artefici del nostro destino.
Sonia Ciuffetelli
Io e te, una nuova amica
Un cielo ammantato di pixel e nessuna nuvola
sotto la luce arcuata della notte silente.
Immaginare il corpo sbucare dalle parole compatte
del monitore illuminato, solcato da caratteri mobili
immaginarti uscire fuori leggera, una libellula ambrata
fuggita dalla resistenza di una comunicazione monca,
atterrata dalle assenze di voci
latitanza dei colori naturali.
Succhiando il tempo era sfuggito al controllo
quel che ieri non avevamo capito oggi è passato.
Incontrarsi tra queste distanze non è casuale,
a sorprenderci ogni volta è il nostro idioma
infitto tra la mia pelle chiara e i tuoi pori africani.
Un cortocircuito ci elettrizza fino alla scarica che ci distacca.
Nei nostri occhi la panna assorbita nella bolla di pixel, la
condivisione.
Una di noi due si assorda di elementi cliccati e salvati l’altra ogni
volta dimentica.
Nessun amuleto ci protegge e insieme sogniamo un giorno di
vederci
raccontarci naso contro naso le nostre arti,
toccarci per riconoscerci
come due amiche di sangue e carne,
tutto quello che abbiamo creduto di
scorrere sul monitore
il silenzio non tracciato evocato dal bianco.
Mi invitarono alla festa webale, dal titolo plurilingue, che adesso ho dimenticato, eravamo in Italia. Mi vestii come se dovessi andare a una festa invece era un party e quelli vestiti tipo me potevano apparire ridicoli. Non che fosse importante. Nel web si fa gruppo, ci si raggruppa con nomi e intitolazioni, si fanno aperitivi webali, si balla da casa davanti al video e il video guarda dentro casa. Riti e siti de-liberano. Tu credi di fissare uno schermo, è lui che ti fissa, ma non ci pensi e balli, il calice in alto. Cin cin senza cin, cin cin al vento, alla stanza vuota che si affaccia su altre stanze quasi vuote di gente tutta sola che insieme fa gruppo. Alla salute. Il rito si ripete, i gruppi prolificano, c’è inter-azione senza azione, che sensazione di non solitudine, pensa a come era senza.
I nativi digitali (forse) non lo sanno. Mai stati senza. È come raccontare un film senza video e senza effetti speciali quindi è come raccontare un libro, una storia trasudata dalle pagine. Archeologie. Storie del passato nel frullato.
*papavero elettronico#
Siccome il papavero non ci riconosceva pure se camuffati da papaveri
– occhio di fiore è un tiratore scelto foglie mani di velluto stelo barbuto e
sapiente –
noi pochi e mi dissocio ora per sempre
abbiamo costruito un papavero elettronico. Che era troppo solo e
inefficiente
e abbiamo, hanno fatto un campo elettronico di papaveri e
un campo di papaveri elettronici.
Sistemi.
Siccome nessuno raccoglieva più papaveri hanno inventato un braccio
automatico che si chiamava sineddoche. La sineddoche faceva le veci
del braccio umano
ma era finta e nessuno se ne accorse perché non conosceva il significato.
Era finta perché era di acciaio e fili elettrici, cariche e scariche ma il
nome appariva futurista
tanti furono gli applausi al battesimo disperato. Elettrizzato.
Il sistema di raccolta è formato da più elementi interagenti tra di loro in
modo da costituire
una entità unica ma anche un’unica entità. Si autoregola. Persino.
Da quando si è stanziato il regime elettrico la novità ha scaldato le
società.
E siccome tutti lo hanno votato senza elezioni con plebiscito a posteriori
rispetto alla realizzazione
– i mondi capovolti ci sono sempre piaciuti a noi archimedi dell’emerito –
il regime è entrato a regime e si è incancrenito sotto la pelle del mondo
d’ossa carne sangue.
Non raccogliamo più i papaveri che adesso abbiamo trasformato in
condotti di alta tensione.
Però monitoriamo il campo minato a distanza, per paura.
Immaginazione
Se la luna restasse ferma a mezzogiorno
potrei essere incarnazione del creato
rifiorire ogni ora dai ritorni
ripensarti come un satiro bifronte.
Se la musica del vento sentisse tutto il vuoto
delle scatole parlanti genererebbe correnti planetarie
interconnessioni indotte
tra i vivi e i fili
tra sangue, respiri e fibre ottiche
fino a tornare pangea, placca, primordio.
Ma la luna ha smesso di restare
amica stanca di un’alleanza difficile
dismessa compagna di giorni che non cedono alle notti
il privilegio di un raggio della Stella.
Perciò impariamo dal cielo tutto quello che c’è da sapere
e dall’immaginazione tutto quello che potendo, sarà.
Sottratti
Anno IV, chat n. 12000
il cuore virtuale dismette il battito
inciampando in un grano di realtà.
Sono in due si incontrano ogni notte, si scrivono e intrecciano il tempo
dondolano nella rete, amaca certa e confortevole
sanno di sé e dell’altro, forse si conoscono
dimenticano il presente e presto sono già oltre la fine della notte.
Le due persone si incontrano per caso in chiesa una mattina, è
domenica.
Lei ha un vestito che le si incolla addosso ed è piena di gioia
la sua amica si sposa mentre dal banco sogna per sé qualcosa di potente.
Lui si aggira nella navata laterale in preda alle sue tempeste e rotola gli
occhi intorno
senza vedere. È lì per lo sposo mentre nessuno dei due sa.
Lei vede lui, lo guarda, lo pedina di occhiate. Quante notti di vapori
verbali.
Lui non si accorge. La vede ma non la guarda. La vede e guarda altrove.
Trazione verso, zero. De-trazione ad abundantiam.
At-trazione sot-tratta.
Utente sapiens sapiens
Ti ha raccontato in una lingua straniera
che per lui è normale farlo e tu hai capito
che il fatto narrato ha importanza per te
e per le tue certezze rapprese.
Non è usuale uscire tra gli squittii dei ferri
nel dopo lavoro, bere una birra al bistrot con gli amici
attraversare ancora gli stridori e le dissonanze della fretta di giungere
per lui non lo è.
Ma Tokio è adesso la terra della velocità e della moltitudine.
Tokio non ti somiglia.
Le tue geografie trasudano resti di templi antichi del Mediterraneo
dove il sole non appassisce,
la gente coltiva
e le strade non sempre sono asfaltate.
Lo attende a casa un clone di gomma, la linea perfetta
e recita affetto e fiducia, prescelta.
Con lei gode.
Ripensi a quelle sue parole
invece tu sogni di trovare un uomo dal respiro umido
pelle di cellule e tessuti
eppure inciampi ancora nelle parole straniere del giapponese
come fossero ricci di plastica restituiti dal mare
resti superflui resi eterni dai petroli.
Interno
Il mattino si infilava da un unico vetro,
obliquo tra fasci blu e alogeni
si lasciava sentire appena, compassato.
Dopo un po’ te ne dimenticasti e non lo percepisti più.
Non sapevi se pioveva o se era sopraggiunto il sole.
Apparvero in chiaro e sovraesposte
sotto forma di contorni opachi, le apparenze.
Era gente senza corpo in una zona-aldilà
un Ade di vivi che mostrano gli interni, possessori di carne e sangue
che non contano in quanto invisibili oltre la luce mossa che divide.
La trasmissione è elettronica. È la nostra pelle comunicativa
pelle che assorbe e rilascia
mentre incappuccia gli occhi, i perimetri
e sfonda tempo e spazio.
Spingersi oltre le orme visibili, il naufragio è alle porte, è lì, è sempre.
Ora i corpi non servono e neanche i territori fisici:
le colonie superano gli odori
che sintetizzano vapori del desiderio;
sfaldare la patina spessa che ricompatti ogni giorno prima di
affrontare
le ore oltre il video
che declina i segreti che non nascondi.