Con il lapis* #48: A puntu strittu a puntu largo di Angela Passarello

a cura di Anna Maria Curci

 

Con il lapis* #48: Angela Passarello, A puntu strittu a puntu largo, il verri edizioni 2024

bbùmmula

u filu d’acqua nâ funtanedda veni na vota â simana

a genti nâ fila cû bbùmmula e quartara

scantata ca finisci cû l’occhi sa bbivi

du oru dâ surgenti akragantina

ca arabi greci binzantini avianu ncanalàtu

cû so ‘ncegnu nnì pùzza e nnì l’ipogei

brocche – l’acqua dalla fontana scorre una volta alla settimana/ la gente in fila con brocche e orci/ spaventata che finisca con gli occhi la beve/ quell’oro della sorgente agrigentina/ che arabi greci e bizantini avevano custodito/ con maestria nei pozzi e negli ipogei

(p. 71)

Bbùmmula (“brocche”) è il primo testo della quarta delle cinque sezioni che compongono A puntu strittu a puntu largu di Angela Passarello. La sezione si intitola ûmmira d’acqua (“ombra d’acqua) e ha in esergo una citazione di Hannah Arendt. È una citazione che conferma una sensazione che chi legge l’intero volume di poesia, pubblicato dalle edizioni del verri nel 2024, non può non cogliere, vale a dire la convinzione dell’autrice, Angela Passarello, circa il carattere insostituibile della lingua madre. In una intervista trasmessa il 28 ottobre 1964, Hannah Arendt ebbe a dire a Gunter Gaus: “Es gibt keinen Ersatz für die Muttersprache”, ovvero: “Non c’è surrogato per la lingua madre”. Arendt proseguiva affermando che tutti possono parlare in una lingua straniera, ma questa diventa allora una lingua nella quale uno stereotipo segue l’altro, proprio perché la fecondità che si ha nella propria lingua è stata, in quel caso, amputata. Questo ragionamento di Arendt che ho riproposto qui nella mia traduzione, è riportato, in altra traduzione, in esergo. Esso rappresenta ai miei occhi una professione di fede nella lingua madre dell’autrice, vale a dire il dialetto agrigentino. È, questa convinzione del carattere insostituibile della lingua madre, lingua e “terra materna”, punto di partenza e, allo stesso tempo, acqua di vita e linfa di una poesia che si dipana, fluisce e scorre, tesse e cuce, ribatte il punto (il punto è da intendere qui nel duplice significato di segno di interpunzione e di lavoro d’ago; si veda la seconda sezione, ritipuntu), alterna canto e pause in aree vastissime e varie, per segni, per contatto con la natura, la cultura popolare, i generi letterari, la cronaca e la storia.

La prima poesia – a lingua   della prima sezione – muzzicata, si apre con una citazione di Luisa Muraro, autrice, tra l’altro, di Dire Dio nella lingua materna e di L’ordine simbolico della madre  – appare, alla luce di quanto finora affermato, ancor prima che una dichiarazione di poetica, una presentazione dei numerosi predicati e dei diversi attributi della lingua in cui sono composti i testi e, dunque, l’enunciazione dei propri strumenti di espressione e di comunicazione. Ma questo ricco armamentario che è fatto di lessico e corporeità (già, perché il termine lingua, anche in dialetto, designa sia l’idioma sia l’organo situato nella cavità orale), ha percorso e percorre una strada di passione, anche dolorosa, come di chi ha subito e subisce intimidazioni e tentativi di mettere a tacere: «ah a lingua a to lingua/ còmu a chidda di to matri/ tantichiedda ammintada/ còmu a chidda di to patri/ ah a lingua a to lingua/ lingua taliata e muzzicata/ lingua rimmuttata e sputata/  lingua zzittuta e scuncichiata// ah a lingua a to lingua ncarnata/ nnâ to peddi è rugna camurriusa/ ah a lingua a to lingua cusuta intra/ u to petto cû lu versu curtu curtu» (p. 9). La lingua è lingua materna e paterna, un po’ inventata, guardata e morsicata, rifiutata e sputata, zittita e derisa, è incarnata e, nella pelle, è rogna fastidiosa, cucita dentro al petto con il verso cortissimo. 

Già dalle prime battute del volume emerge, con forza, nell’espressione “rugna camurriusa”, non solo l’omaggio devoto, ma anche il debito di riconoscenza a una delle voci amate. La voce amata, che qui appare attraverso un passaggio celebre (“poi che alla poesia non c’è rimedio e chi ce l’ha se la gratta come rogna”), ma che tra le righe è percepibile in più di un testo, è quella di Jolanda Insana. Non stupisce allora, che sia proprio di Jolanda Insana il testo posto in esergo all’inizio della quinta sezione, Agnus. “Anche le parole si avviano al calvario/ portando la croce/ e morte escono dal dizionario”, scriveva Jolanda Insana, e Angela Passarello intona con le sue poesie un controcanto verso la resurrezione, giacché le parole assumono nuova vita nel dialetto sua lingua materna e paterna, non più timorose, ma protese verso i territori più distanti fra loro, tra la riscrittura di favole alla maniera di Fedro e di Esopo, la ballata, il canto, talvolta elegiaco e mai patetico, di attrezzi e di mestieri antichi, le leggende popolari, le canzoni dell’innocenza e dell’esperienza (William Blake) e, nel silenzio della pandemia, il rilkiano dialogo con l’Aperto, L’Apertu (dalla terza sezione, scannaturi): «I morti forsi nni talianu di dda sfera/ ca l’omu ‘un po’né sentiri né vidiri/ l’Apertu è graputu sulu a li ‘nnucenti/ a l’armari ca tuttu vidinu ma ‘un ponnu diri nenti». Solo agli innocenti e agli animali che vedono tutto e non possono dire niente è accessibile l’Aperto. Chi ne ha avuto l’esperienza, ne scrive, e corre il rischio, sporgendosi ben oltre le zone di sicurezza per abbeverarsi – e mostrare la fonte – alla «vina d’acqua intra a terra», «còmu na musica sempiri nova», come una musica sempre nuova. 

Angela Passarello, nata ad Agrigento, vive e lavora a Milano. È poeta, narratrice e artista visiva. Tra le sue pubblicazioni vanno menzionate: Asina Pazza (Greco@Greco1997), La Carne dell’Angelo (Joker 2002), Ananta delle voci bianche (I Quaderni di Correnti 2008), Piano Argento (edizioni del verri 2014), Pani scrittu (ed. del Pulcino Elefante 2015), Bestie sulla scena (ed. del verri 2018), Poema Rupe, 2022. Sue poesie sono presenti in diverse antologie tra cui: Poeti per Milano (2008), Lunario di desideri (2018), 28 notti (2021). È stata cofondatrice della rivista “Il Monte Analogo”. Ha collaborato con “La Mosca” di Milano. La sua opera visiva “Rupe affine” è stata esposta alla libreria delle donne e alla Fabbrica del Vapore di Milano (2019); mostra personale “Scritto in mare”, Fondazione Mudima, Milano 2019; alcuni lavori sono presenti in Bestiaria (2023). Suoi testi narrativi o di riflessione critica sono presenti nella rivista “Il Segnale”; suoi contributi appaiono in diverse antologie, tra cui: Poeti per Milano (2008), L’amore dalla A alla Z (2014), 28 notti (2021). Le sue raccolte più recenti sono: Poema Rupe (ed. New Press 2022) e A puntu strittu a puntu largu, (il verri edizioni 2024).

* Con il lapis raccoglie annotazioni a margine su volumi di versi e invita alla lettura della raccolta a partire da un testo individuato come particolarmente significativo.