Franco Capasso (20 febbraio 1934 – 8 gennaio 2006) è poeta sperimentale, ma la sua è una «sperimentazione vissuta, evidentemente, non come un procedimento esteriore, ma come intima necessità di dare voce, forte, convincente, non resa fioca dall’abitudine, dai luoghi comuni, dall’esteriorità» (Giorgio Patrizi).
È una poesia che procede, anche graficamente, in modo nervoso, per sussulti e scatti, con affanno, per dire di una condizione (sua, nostra) di sofferenza e abbandono.
«Dei colori» (Marcus Edizioni, 2004), da cui traggo la poesia che qui pubblico, è la sua ultima raccolta, con prefazioni di Marcello Carlino e Giorgio Patrizi, e quarta di copertina firmata da Alessandro Carandente, che di Capasso sottolinea la totale estraneità ad ogni moda corrente, il suo essere «refrattario agli imperativi ideologici, sganciato da ogni tendenza e forma di società letteraria» e tutto invece immerso nella sua totalizzante e bruciante passione per la poesia sentita come vitale necessità.