“Stùtami ’ssu fuocu cà mi vrùscia lu coru.“ Spegnimi quel fuoco che mi brucia il cuore” dice o sussurra, o più probabilmente grida, Francesco Curto, dai capelli ventosi di poeta.
Quel suo bruciante (ma non bruciato) cuore, nominato una trentina di volte nell’antologia Suoni diversi (a cura di Sandro Allegrini, introduzione di Luigi M. Reale, Perugia, Morlacchi, 2023, in copertina illustrazione originale di Serena Cavallini), è il motore – non immobile come quello aristotelico – della sua sofferta irrinunciabile poesia.
Grazie alle raccolte precedenti conosciamo la veemenza e gli argomenti dei suoi versi: principalmente la ribellione contro l’ingiustizia del sistema, l’empatia con gli ultimi, la sofferenza del mondo, l’amore spinto da un’ardente sensualità quasi a voler placare la voracità di sogni, a voler toccare un traguardo urlato e liberatorio per poi abbandonarsi a una delicata dolcezza, più che altrove presente nel respiro dei versi di questa antologia.
Intatta resta, nel settore dialettale, la violenta nostalgia del luogo natale, quella Padia scavata dal vento di Mucone, aspro e crudo come la realtà.
Una nostalgia disperatamente avvertita anche da chi non sa strapparsi dal cuore il piccolo universo natale nel cuore di una città millenaria battuta anch’essa (oggi meno che una volta) dal vento: non di Mucone ma di Tramontana. Ma è lo stesso.
Eppure la nostalgia non è un sentimento rivolto solo al passato, piuttosto è presente nel presente: nel fuoco del cuore, nello struggimento della bellezza che sembra non potersi contenere e che vive anche nelle “piccole cose”, raccomandate alla figlia Marta. Ed è forse proprio nelle piccole cose che il prodigio diviene strabiliante.
E se allora fosse anche nostalgia di Dio quella smania che lo insegue e che sembra spuntare ripetutamente dai versi, come nella poesia dedicata all’amico poeta scomparso Giuseppe Maradei?
“Dimmi se di là c’è un’altra vita / se devo rassegnarmi invece / al buio delle cose fatte di niente. / Dimmi, Pino, se di là c’è Dio…”.
È questa l’ansia che ci tiene sospesi tra finito e infinito e ci fa refrattari a un destino di inaccettabile soluzione nell’effimero.
Ma il cuore e la poesia fanno quadrato di fronte alla voragine di buio.
Al proposito mi torna in mente il famoso motto latino, citato da tanti scrittori, come ad esempio Fogazzaro nel Daniele Cortis e Fenoglio in Una questione privata:
Hieme et aestate, prope et procul, usque dum vivam et ultra. “D’inverno e d’estate, vicino e lontano, finché vivrò ed oltre”.
Parole appassionate che sembrano anche il fondale e insieme l’orizzonte dei versi di Curto.
Le pagine sembrano aprirsi come un ventaglio di colori accesi, che destano emozioni screziate di sfumature a seconda della sonorità e dei campi semantici di diversi linguaggi. Infatti i Suoni diversi sono tradotti a fronte in inglese, in spagnolo, in francese e in turco: lingue di origine e di sistemi grammaticali, fonetici e lessicali differenti.
Anche se, come una firma, a chiudere la raccolta è la voix du coeur – il suono del dialetto calabrese – questa apertura, questo voler lanciare la poesia al di là dell’àmbito consueto sono il prope et procul del detto latino, il sogno di una vita e di un amore proiettati nell’ultra, ossia un “oltre” spaziale e temporale.
Lo conferma il “canto” per il nipote Lorenzo, che si conclude con una speranza, con l’auspicio di scavalcare il limite, il fittizio: magari anche tramite la poesia, come fa pensare questa antologia poliglotta, ariosa visione e caleidoscopio di suoni, colori, passioni.
Francesco Curto, Suoni diversi, Perugia, Morlacchi, 2023
Francesco Curto è nato ad Acri (Cosenza) nel 1949; dal 1968 vive a Perugia. La sua opera in versi è raccolta nel volume Poesie 1968-2018 (a cura di Luigi M. Reale, Foligno, Bibliotheca Umbra, 2019). Ha pubblicato anche il romanzo Il bivio (Perugia, Era Nuova, 2003) e Versi sfusi (a cura di Sandro Allegrini, Perugia, Morlacchi, 2022).