Il dialetto identitario di Pietro Civitareale

Recensione e scelta di poesie di Maurizio Rossi

“Mai come in questi ultimi decenni, la banale uniformità della lingua nazionale ha dato vita ad un numero così consistente di poeti dialettali…Ciò ha spinto ogni poeta in dialetto a confrontarsi automaticamente con i poeti in lingua, dando vita ad una sorta di poesia dialettale d’avanguardia…”

In questa prospettiva – credo – vada accolta questa “opera omnia” in dialetto abruzzese (della provincia aquilana) di Pietro Civitareale, che racchiude una scelta della sua ampia produzione poetica dal 1957 al 2023 e inediti, nelle sezioni: Come nu suonne, Vecchie parole, Le miéle de ju mmiérne, Ju core, ju munne je parole, Préime che ve’ le schìure, A cunte fètte. Completano la pubblicazione una nota dell’autore, una bibliografia essenziale della critica – con scritti di Giorgio Linguaglossa, Anna de Simone, Giorgio Barberi Squarotti, Dante Maffia, Franco Loi, per citarne alcuni – e la biografia del poeta.

Data la vastità, questo volume è da assaporare lentamente: ma già ad una prima lettura, si può apprezzare una versificazione asciutta -non certo scarna- un ritmo che accompagna senza costringere, la presenza di svariati temi – annunciati dal titolo – descrittivi di ambienti e sentimenti, malinconici, filosofici. Manca ogni eccesso- che l’uso del dialetto in alcuni favorisce; al contrario si scopre la pazienza di un incisore del legno che rispetta la materia, pur imprimendoci il segno voluto. Ecco allora:“E nen venirme a parlà/ de quele che se vàide/ i de quele che ‘nse vàide./ So’ ju core i la mente/ a fa’ i a refa’ ju munne” Sono il cuore e la mente a fare e rifare il mondo, – poche storie sembra dire – non è qualcosa di oggettivo, che si possa cogliere con i sensi.

Nel titolo è racchiuso il messaggio di Civitareale: il mondo – che sia la terra, un luogo, il paese d’origine – attraverso il ricordo si fa parola; le parole rievocate compongono non solo la visione, ma la stessa esistenza del mondo; e così via, in un tempo circolare che fa e disfa. “Pe’ fa ju munne/ ce vuonne le parole” lui afferma, “Ma da tempo le mie parole se ne stanno fuori dalla casa, ai margini del prato”: talvolta questo movimento circolare sembra arrestarsi, o piuttosto è il flusso di parole che si interrompe, spezzando il legame fecondo tra la casa – l’individuo e ciò che lo rende tale – e lo spazio esterno, che perde così di senso.

Può sembrare un paradosso scrivere una poesia per dire di non avere più le parole; in realtà -come sappiamo – il poeta è colui che dà nome alle cose e, nominandole, le rende reali e ne prolunga l’esistenza: bisogna sempre tenere porte e finestre aperte ed essere disposti a barattare l’anima “pe’ na parole”. Salvo poi accorgersi che anche senza parole si possono dire molte cose “Uardémme, immece,/ le piante, la jerve, i fiori/…Nen pàrlene, ma dìcene/ nu sacche de chéuse”. Così, Pietro Civitareale recupera il significato profondo del suono e del silenzio, tipici dei luoghi d’origine, pur vivendoci lontano.

A cunte fètte è l’ultima sezione di questa antologia e anche quella che più mi ha colpito: sfrondati i versi, moderati i toni, il poeta si immerge nei suoi giorni e osserva intorno e sopra di sé, asseconda il vento come il grano, ripone i pensieri nel nido di un uccello e “surde a tutte l’àute/ chéuse, stiénghe a sentéjje/ la véuce de ju mare, /déuce come na canzéune.”; non c’è nulla di nuovo nella voce del mare, piuttosto è del tutto personale e autentica la predisposizione all’ascolto di Pietro Civitareale, senza tuttavia dimenticare i pensieri, ma deponendoli – quanta delicatezza – là dove possano essere veramente leggeri, sopportabili: che non cada il nido e che l’uccello possa tenerli con sé senza per questo appesantire il suo volo.

Concludo la mia lettura – parziale, certo, data l’ampiezza della raccolta – con questa poetica sintesi del tempo, della vita e del destino, che i versi dell’autore offrono (La véite) “…La véite è nu géire de tanghe/ liénte i ‘nsunnuléite:/ la cocce ‘mmiézz’alle stelle,/ i péide dentr’alla terre.// Emma trascenà ju destéine/ che è come nu mìule coccìute./ I fatichìuse è ju camméine” (La vita è un giro di tango lento e insonnolito: la testa tra le stelle, i piedi nella terra. Dobbiamo trascinare il destino che è come un mulo ostinato. E faticoso è il cammino.) Parole che fanno e rifanno il mondo.

Ma forse campà

Arrevate a stu punte,

che c’è remaste

da dìcere o da fà?

Poche o niénte.

Ajje fatte ju sante,

ju pazze, ju pajacce

i la perséuna serie,

ma nen c-i-hajje

cacciate niénte.

Me so’ sempre

retruvate ajju punte

de partenze.

Ma forse campà è

biéjje proprie pe’ queste,

perché nen te’

né cape i né chéude,

i nen sé mé quele

che pò succédere.

Ma forse vivere. Giunti a questo punto, cos’è rimasto da dire o da fare? Ho fatto il santo, il pazzo, il pagliaccio e la persona seria, ma non ho risolto nulla. Mi sono ritrovato sempre ala punto di partenza. Ma forse vivere è bello proprio per questo, perché non ha né capo e né coda. E non sai mai quello che può accadere.

I penzéire

Che te schèppe, Antò?

Addo’ eé acciscì de corze?

Me pére nu lebbre che

je s’è mpelate appriesse

na morre de chéne.

Ma quale chéne, Necò?

Pegge! È na morre de

penzéire! I che penzéire!

Ajje pruvate de tutte

pe’ levàrmele dalla mente,

ma ‘nci-ajje cacciate niénte.

Alléure me so’ misse a scappà

Àive la sola chéuse

che me remanàive a fa’.

I pensieri. Perché scappi, Antonio? Dove vai così di corsa? Sembri una lepre inseguita da una muta di cani. Ma quali cani, Nicola? Peggio! È una muta di pensieri e che pensieri! Ho provato di tutto per togliermeli dalla mente, ma non c’è stato verso. Allora mi sono messo a correre. Era l’unica possibilità che mi restava.

Ma ce sta nu mumiénte

Ce sta sempre quacchéuse

che nen va, che nen t’aspiétte,

che ‘nci misse ajju cunte.

Senza cuntà quell’angustie

che te se ròsceche

l’àneme i nen te fa resperà.

Ma ce sta nu muniénte

che te repaghe d’ogni chéuse:

la matéine, quande

m’àuze i apre la fenestre;

i vàide le chéuse che se faue

d’argiénte i d’ore

alla sciéite de ju sole.

Ma c’è un momento. C’è sempre qualcosa che non va, che non ti aspetti, che non hai messo nel conto; senza contare quell’inquietudine che ti rosicchia l’anima togliendoti il respiro. Ma c’è un momento che ti ripaga d’ogni cosa: la mattina, quando mi lazo e apro la finestra; e vedo le cose che si fanno d’argento e d’oro al sorgere del sole.

All’ampruvvéise

All’ampruvvéise ju jorne

s’è ammutéitei dentr’alla case

s’è fatte nu selenzie fennìute.

Ju munne nen dà chiù segne

de véite i, se revùsceche

dentr’alla mente, se sénteno sole

le véuce de ju tiémpe passate.

Sémme fatte sole de recuorde.

D’improvviso. D’improvviso il giorno è diventato muto e nella casa s’è fatto un profondo silenzio. Il mondo non dà più segni di vita e, se frughi nella memoria, si sentono solo le voci del passato. Siamo fatti solo di ricordi.

Pietro Civitareale è nato a Vittorito (AQ) nel 1934. Nel 1960, per motivi di lavoro, si trasferisce ad Alessandria e successivamente a Firenze, dove tuttora risiede. Come poeta, ha all’attivo una decina di volumi di versi in lingua e in dialetto, tra i quali: Un modo di essere, (1983), Il fumo degli anni (1989), Vecchie parole (1990), Solitudine delle parole (1995), Le miele de ju mmierne (1998), Ombre disegnate (2001), Mitografie e altro (2008), Cartografie di un visionario (214), Préime che ve’ le schiure (2019), Quasce na storie (2022). Come saggista, si è occupato dell’opera di Valeri, Betocchi, Fortini, Clemente, Montale, Luzi, Joyce, Beckett, Musil, Pessoa, Lorca, e di alcuni aspetti dell’arte contemporanea. Come narratore, ha pubblicato tra l’altro: Vecchie storie (2002), Paesaggio con figure (2009), L’angelo di Klee (2009), D’amore e d’altro (2017), Pensieri anacronistici (2023).
Come traduttore, ha curato tra l’altro un’antologia delle poesie di Pessoa, L’enigma e le maschere (1993 e 1996), e un’edizione parziale delle Novelle esemplari di Cervantes (1998). Studioso della poesia in dialetto, ha pubblicato le raccolte di scritti critici: Poeti in romagnolo del secondo Novecento (2005) e La dialettalità negata (2009), nonché l’antologia Poeti in romagnolo del Novecento (2006), lo studio critico-antologico Poeti delle altre lingue (2011), Poeti nei dialetti d’Italia (2023). Ha curato inoltre, per un’editrice spagnola, l’antologia di poeti italiani contemporanei: La narración del desengaño (1984). Suoi scritti si trovano su riviste e quotidiani italiani e stranieri ed alcune sue opere sono state tradotte in diverse lingue.

Pietro Civitareale “Nu munne ju recuorde, le parole” Ed. Cofine, Roma, 2024

Maurizio Rossi 5/3/2024