“Ciriminacchi/ così nichi./ Muddichi ca arricogghi/ nta tuvagghia/ e poi co jtu/ ti metti nta ucca// ppi nun perdiri nenti di chiddu c’ha fattu”. (Piccolezze/ cose piccole./ Molliche che raccogli/ nella tovaglia/ e poi col dito/ ti metti in bocca// per non perdere niente di quello che hai fatto.) Non c’è esaltazione del minimalismo o falsa modestia di vita e di pensiero; è la Poesia che raccoglie ciò che resta di tanto da fare, della vita frenetica, delle occupazioni, persino delle controversie legali che Grazia Scuderi affronta e risolve nel suo lavoro quotidiano. Perché le briciole, piccola parte di un tutto, ne contengono intatto il sapore, la materia, lo stesso odore, pur essendo sgravate dal peso dell’insieme.
Libera dalla gravità, dal peso dell’affanno, la Poesia può cantare anche le ragnatele (Fulinii) delle mani, nel gioco di ragazzi incuranti dei segni del tempo; nel solletico, nelle risa, nei nuovi incontri cercati che stirano le mani: e così il tempo morde e non lascia graffi “Cerchimi stirannu j ita/ e quannu m’attrovi cattigghimi./ Arriri di me risati.”
La Poesia libera il tempo dall’ansia e lo colma di gioia, riscalda nel freddo dell’inverno come una coperta “jè ‘na cuperta/nta ‘na notti fridda d’immernu”: ma non è sufficiente da sola, non agisce in modo magico. Al contrario, dice Grazia Scuderi, essa è vera e fruttifica nel tempo e nella concretezza; volando, quando gli altri sanno solo camminare; bruciando, quando due occhi si incontrano di nascosto: in sostanza, nasce dall’umanità e ad essa ritorna, ad una umanità che vive non solo perché respira.
Affrancati dall’affanno e dalla gravità, si riesce ad essere anche “delicati” e attenti con le cose e con la natura: se l’albero è un pezzo del creato che – fatto “crirenza” – ricorda ancora carezze di occhi e mani e vento che lo ha disegnato, la nostra abitudine alla credenza che abbiamo in casa, non ci permette di veder “oltre e in” essa il legno testimone degli anni e della Natura. E dunque “Cu semu nuatri ppi passarici/ ‘na manu ‘i virnici.”si chiede l’Autrice.
Ciriminacchi, briciole che si mescolano sulla tovaglia eppure diverse nella sostanza: questa raccolta, è sogni e nostalgie, voler essere giunco – adattarsi – e morire, spezzarsi sotto la piena; godere di antichi profumi e cercare invano nelle fragranze “spiddi liggeri” (spiriti leggeri); sentirsi “china di suli” (piena di sole), persino nelle giornate strane; riconoscersi nello sguardo di chi ci guarda e scoprirsi mutata e insieme cogliere diversi quegli occhi, tanto da chiedersi “picchì ni taliamu ancora” (perché ci guardiamo ancora). Ma forse è una domanda che contiene la stessa risposta.
E così, la raccolta poetica della catanese Scuderi, rivela una umanità che è terra bruciata dal sole, schiaffeggiata dal mare, stordita dal vento in componimenti armonici, in un dialetto sonoro e in immagini che rapiscono, senza essere stranianti, dolorose anche senza graffiare.
E ancora“Mi mangianu a lingua/ e nun mi n’accurgii./ Chiossai di tri paroli/ ormai nun sacciu diri”. (Mi mangiarono la lingua/ e non me ne accorsi./ Più di tre parole/ ormai non so dire.) “Città leggi/ chini di sacchi di uossa./Ummiri/ muffa supra i casi.” (Città vuote/ piene di sacchi di ossa./ Ombre/ muffa sopra le case). Ecco due poesie di forte drammaticità, che- secondo lo stile dell’Autrice – indicano ancora una via d’uscita: nella prima il patrimonio degli affetti, dell’esperienza, delle tradizioni – il nonno, al quale lei chiede aiuto; nella seconda “i poeti di strada” che scrivono sui muri idee e desideri. Anche queste sono le “briciole” gli “avanzi” della scrittrice, per la quale la Poesia non spreca parole, né tralascia emozioni. E per fortuna la nostra poetessa è in buona compagnia.
A me figghiu
Ti vasu
unni i gigghia
s’incontrunu.
Ti ciauru
unni a luci
n’arriva.
Ti cuntu j ita
de’ peri
deci
justi ppi caminari sulu.
Uora sì mi pozzu
arripusari.
A mio figlio. Ti bacio/ dove le sopracciglia/ s’incontrano./ Ti odoro/dove la luce/ non arriva./ Ti conto le dita/ dei piedi/ dieci/ giuste per camminare solo./ Ora sì mi posso/ riposare.
Sonnu
Da me casa si vidi u mari.
No com’è
ma comu tu ‘nsonni.
Nun jè sulu ‘n pezzo di casa
quattru mura
chini de mobili je quatri.Tuttu ca mi luci a fera.
Fatta je finuta p’ammustrarla e genti.
Picchì da me casa
si vidi u mari.
No com’è
ma comu tu tu ‘nsonni.
Sogno. Dalla mia casa si vede il mare./ Non com’è/ ma come lo sogni.// Non è solo un pezzo di casa,/quattro mura/ piene di mobili e quadri./ Tutto che luccica come al mercato./ Fatta e finita per mostrarla alla gente.// Perché dalla mia casa/ si vede il mare./ Non com’è/ ma come te lo sogni.
Menzannotti
Tu arriordi papà
ca mi dicevi
quannu i tempi si facevunu cchiù stritti
“nun po’ fari cchiù scuru ‘i menzannotu”?
Levu l’occhi o cielu
niuru comu la pici ‘reca.
Senza stiddi.
Taliu u rulogiu.
Jè l’una.
Mezzanotte. Ti ricordi papà/ che mi dicevi/ quando i tempi si facevano più stretti/ “non può essere più buio di mezzanotte”?// Alzo gli occhi al cielo/ più nero/ della pece greca./ Senza stelle:// Guardo l’orologio./ È l’una.
L’amuri ranni
L’amuri ranni
havi i paroli attaccati.
Mutu
quannu aviss’a parrari.
Parra
ppi diri scunchiurutaggini.
E si muzzica a lingua
a sangu,
ppi chiddu ca ha dittu
e ppi chiddu ca n’ha dittu.
L’amore grande. L’amore grande ha le parole legate./ Zitto,/ per dire stupidaggini./ E si morde la lingua/ a sangue,/ per quello che ha detto/ e per quello che non ha detto.
Grazia Scuderi, Ciriminacchi” (Piccolezze), Ed. Novecento Mascalucia (CT) 2019
Grazia Scuderi avvocato, è nata a Catania nel 1964. Ha pubblicato per Editore Rosenberg e Sellier: in Quaderni di Sociologia vol. XLVII, 2003.31, Politiche di sostegno al reddito dall’assistenza alle politiche attive, il saggio dal titolo: “L’ascensore come situazione sociale problematica”. Suoi scritti sono apparsi sulla rivista “La Terrazza”. Ha pubblicato la plaquette di poesie in italiano Armonie e dissonanze (2014). Nel 2021 è stata finalista al Premio Ischitella-Pietro Giannone con la raccolta con “A testa sutta” e nel 2022, nello stesso premio, si è classificata seconda con “C’era n’isula”