Un andamento colloquiale dal sapore intimo nell’amorosa corrispondenza in versi tra l’uomo e il tempo dell’esistenza – quella operosa, piena di sensibilità di un intellettuale prestigioso, Giuseppe Rosato, attivissimo in diversi ambiti della nostra letteratura. In Tra véje e sonne, libro di versi scritto in dialetto lancianese (Carabba, 2021, collana Diramazioni diretta da Giovanni Tesio) Rosato rivisita tutte le stagioni e le strade aperte dalla e alla vita, epperò sarebbe riduttivo ricondurre il nucleo di questo pacato e lento discorrere rivolto alla vita, a un semplice stato emozionale, che pure c’è, in misura equilibrata: ci troviamo, piuttosto, a debita e ragionevole distanza da coinvolgimenti nostalgici, più precisamente ci troviamo in presenza di una analisi attraverso cui in concreto s’avvia la ricerca del tempo perduto, e ritrovato, nell’intimità della propria camera/laboratorio di poesia: Gna te stèss’a chiama, a la spruvvìste/l’aresìnte na voce (Come se ti stesse chiamando, all’improvviso, una voce riascolti).
L’approccio al doppio tema della veglia e del sonno è delicatissimo, semplice in quanto a esposizione argomentativa, sì chiara da fare emergere la vitalità di un pensiero che scruta e interroga l’Innominata incombente presenza – che in realtà il poeta più volte nomina in tono confidenziale – in alcune poesie d’una raccolta parca di aggettivi e il cui tema centrale costantemente volge da una effusa soggettività a un discorso più ampio, filosofico e pure concreto : Lu ciele, la muntagne, /lu lume de la lune e de le stélle,/lu mare, l’acqua frèsche (…)/ lu bbène che se vo chi si vo bbène…/È state bbèlle! E mò? /Necchiù nijènte. / Guerre, ceddàje, delòre, pavùre. Ed è tra le righe e talora palese una commossa adesione a ciò che il ciclo delle stagioni manifesta, la neve, la pioggia, la grandine, il vento, le fioriture, e pure devozione, gratitudine per la vita che sorge ogni mattina, giorno per giorno da gustare lentamente, senza fretta: e dunque fàttele durà/ stu ‘ccòne tempe che mò vide a ìrsene (fattelo durare questo poco di tempo che ora vedi andarsene); ma vi è pure accoglienza fiduciosa del sonno, che dà sollievo alla stanchezza fisica, grembo-custode che come in un rito di trasformazione attutisce ogni rumore o rovello: Passe, jurnate a-àpreme lu scure/de la notte, ccuscì me c-i-areddòrme (Passa, giornata, aprimi il buio della notte, così mi ci riaddormento). Ribadiamo, nessuna ridondanza emotiva nei testi asciutti e densi di Rosato, anche quando nel dettato si stagliano diverse figure umane lontane o perdute riconducibili alla intimità affettiva e a cui la memoria torna intanto che il presente via via diviene solitario gomitolo (jòmmere) ca n’ ce cape cchiù nu file, s’à ‘ngrussàte accuscì/ ca le dète ‘n c-i-arrìve cchiù a’ cchiappàrele (che non ha spazio più per un filo, s’è ingrandito tanto che le dita non ce la fanno a prenderlo). Gomitolo-metafora del tempo che si è ristretto intorno all’esistenza ma non al punto tale da impedire di riconoscere e amare la bellezza del fare, il suo dischiudersi nello splendore di versi come: ugne bbellèzza me s’à perse, une/ me n’aremàste. Sole i’ le sacce/ ca sta ‘ncore nche mme/ e me dice: le vide? I’ nen te lande (ogni bellezza mi si è persa una me ne resta. Io solo lo so che sta ancora con me e mi dice: lo vedi? Io non ti lascio).
Biobibliografia
Nato a Lanciano nel 1932, Giuseppe Rosato ha insegnato Lettere e lavorato per la Rai (servizi culturali e programmi) e terze pagine di quotidiani. Ha condiretto le riviste Dimensioni (1958-1974) e Questarte (1977-1986) e pubblicato libri di versi in lingua, da L’acqua felice (Schwarz, Milano, 1957) a Un altro inverno (Book editore, 2020) e in dialetto abruzzese; ha scritto narrativa, prose brevi, aforismi, operine satiriche, epigrammatiche, parodistiche. Nel 1966 ha fondato, con Ottaviano Giannangeli, il Premio Nazionale di poesia dialettale Lanciano (poi “Mario sansone”). Tra i libri in dialetto, Ecche lu fredde (Pescara, 1986); L’ùtema lune (Faenza, 2002); La ‘ddòre de la nève (Novara, 2006); Lu scure che s’attònne (Rimini, 2009); La nève (Lanciano, 2010), È tempe (Rimini, 2013); E mò? (Rimini, 2016); Jurne e jurne (Rimini, 2019); E dapò? (Ro Ferrarese, 2020). Tra i riconoscimenti, il premio Carducci (versi in lingua, 1960) e il premio Pascoli (versi in dialetto, 2010).