La poesia di Anna Elisa De Gregorio

di Ombretta Ciurnelli

 

Per i tipi della Casa Editrice affinità elettive di Ancona è uscito nel mese di maggio il volume Poesie che raccoglie l’opera poetica di Anna Elisa De Gregorio, scomparsa nel settembre 2020.

Curato dal marito Nello Bolognini, il libro si apre con un’ampia prefazione di Alessandro Fo che con acume critico e affettuosa amicizia analizza le sei raccolte – quattro in lingua e due in dialetto anconetano – pubblicate da Annalisa (come tutti la chiamavamo) tra il 2010 e il 20201.

È stato un gradito dono di poesia che ha riacceso in me la memoria, per altro mai sopita, di una viva “amicanza di penna” (così la chiamava lei) che ci ha legato per oltre un decennio e che ritrovo nelle lunghe mail che si alternavano alle nostre interminabili chiacchierate al telefono, sempre animate da riflessioni critiche e consigli, l’una sulle poesie dell’altra, con la gioia sincera per i numerosi e prestigiosi premi a lei conferiti2, insieme ai tanti racconti di poesia e di poeti, di mostre, di libri, di cinema, nonché del nostro vissuto.

In alcune mail, ad esempio, ritrovo l’emozione per la sua prima raccolta (Le rondini di Manet) in cui dimostra già «una maturità di timbro poetico che meraviglia per il nitore e la precisione dei risultati» (A. Fo), esito di un percorso di crescita ricco di letture raffinate e profondamente meditate. La rivedo ancora, di domenica, come in una fotografia, con quel tocco di rosa sotto il braccio dell’inserto culturale del Sole 24ORE a cui non rinunciava mai.

Oltre che poeta sensibile e originale, Annalisa era anche una sottile lettrice, capace di cogliere nelle opere di un autore i risvolti più profondi, di indagare le pieghe più nascoste dell’animo con sensibilità fine e un linguaggio sempre denso e pulito3.

Credo che per parlare della sua scrittura convenga partire dall’haiku, componimento poetico che racchiude un’immagine e un modo d’essere in sole diciassette sillabe. Annalisa, che ne era cultrice e maestra4, ne ha inseriti in tutte le opere: a volte solo in esergo, altre volte a formare piccole serie per declinare immagini e temi. Nel volume L’ombra e il davanzale, accompagnati dalle illustrazioni di Francesco Pirro, ben ottanta haiku, scritti nell’arco di quindici anni, occupano un’intera sezione (Sotto il guscio del cielo). In merito così scriveva: «gli haiku, che ovunque occhieggiano nei miei scritti, sono testimonianza del mio interesse per le piccole cose» ed è certo che, senza artifici o estetismi, raccontano lampi di realtà con rapide ed efficaci pennellate, mostrando una fine capacità nell’uso degli strumenti della poesia.

L’esperienza dell’haiku forma in un poeta l’attitudine a cogliere, anche nelle più piccole cose, stati d’animo o diverse declinazioni dell’essere e così, in una dimensione minimalista, anche oltre il frammento dell’haiku, di cui nella poesia conserva a volte il ritmo e lo slancio rapido e garbato, con pacatezza e quasi con il leggero tocco della danza, Annalisa catturava e fissava in parole quella particolare luce che c’è nei più umili oggetti della quotidianità, nel ricco e variegato microcosmo di fiori e alberi, nel mondo degli animali o, infine, nei suoni, nei profumi e nei colori. E così ad abitare i suoi versi possono essere tanto una credenza, o delle chicchere e dei piattini, quanto le amate rose, i ciondoli dei tigli, i soffioni di tarassaco, i ritornanti caprifogli, il trifoglio clandestino nel vaso della kenzia o una sofferta orchidea che, in cambio di cura, ha dato bellezza a una garbata convivenza o, infine, un topo sbucato dalla grata di un giardino che incontra le sue scarpe, due tortorelle castane che fuggono spaventate, qualche gatto, magari sbandato. Degli oggetti e delle creature di un ricco e variegato microcosmo Annalisa disvela gioiose armonie o confuse bellezze, ma anche i segni di una sottile malinconia, di assenze e im-perfezioni oppure il graffio del tempo che fugge. Nella sua poesia colpisce, inoltre, una fisicità, sottolineata e insistita, attraverso cui passano emozioni e memorie, mentre i sensi sembrano protesi a coglierle nella più intima essenza, quasi in un sinestetico abbraccio.

Nelle sue liriche, oltre alla luce catturata nelle piccole cose, c’è anche quella che sprigiona dall’arte figurativa. In particolare nella prima sezione di Un punto di biacca la rappresentazione verbale dell’arte visiva, ovvero l’ékphrasis, si risolve in un racconto di luce, di spazi e di colori, catturati in opere di Cimabue o Vermeer, di Beato Angelico o De Chirico e di molti altri, ma anche nelle mura di Lucca e nella piazza dei Miracoli a Pisa, svelando, in un’empatica relazione ermeneutica, sentimenti e moti dell’animo attraverso piccoli dettagli, affidando, a volte, la voce narrante agli stessi personaggi ritratti.

Tra i temi ricorrenti nelle raccolte di Annalisa ci sono poi la lontananza e l’esilio (lo ricorda il titolo della sua seconda raccolta, Dopo tanto esilio). La lontananza si fa parola e scrittura, quasi in una leopardiana ricordanza, facendo emergere memorie dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovinezza, fino a cantare con malinconico ripiegamento quel tempo struggente che declina verso il tramonto, perché a ricordare il tormento di appartenenze negate sono proprio gli anziani, come quelli esiliati in limbi dorati, dove si abbracciano e si riconoscono solo perché da una parola / si infila quasi un’intera canzone, riparando così su precarie terreferme di passato.

C’è poi la metafora del davanzale, nella raccolta L’ombra e il davanzale, in cui si coglie una nota di malinconia più marcata rispetto alla precedente produzione poetica. Il davanzale rappresenta il nostro ‘vivere affacciati’, pronti a cogliere il borbottio delle strade e a catturare luci, rumori e silenzi nel microcosmo che le abita. Ma al di là del davanzale ci sono le ombre, c’è la precarietà, di cui memorie e accadimenti sottolineano l’ineluttabilità, e c’è anche l’ombra della morte, come recita la lirica di apertura Die Null: Ma sempre dentro il vuoto / lo spillo di un’ape si aggira: / è quella punta di risentimento / quando si affaccia l’ombra della morte / al davanzale mentre stiamo vivendo. E, infine, il tema del viaggio e, quindi, il treno  e poi l’eco del mare, spesso in sottofondo, e i luoghi di Ancona e gli angeli: immagini ricorrenti a cui, per limiti di spazio, posso solo far cenno, ricordando fuggevolmente anche l’attenzione di Annalisa verso i rumori  della cronaca, magari quella intrisa di violenza o di guerra, oppure verso un ambiente ferito o una solitudine alienante in entropie di città.

Alcune sezioni delle raccolte rimandano al piccolo (Minime stanze, Minute) rispecchiando, come nota Alessandro Fo, un ideale di poesia understatement, reso manifesto anche dai versi di Callimaco in esergo a Dopo tanto esilio: Ma srotolo poesia minuta / come un marmocchio. E a suggerire il piccolo è anche il punto di biacca della quarta raccolta, quello di un pittore, un tocco che da solo – e così piccolo – sa disvelare il dolore.

Anche nelle due sillogi in dialetto, Corde de tempo (2013) e ’Na giungla de cartó (2020), entrambe edite in seguito alla vittoria in premi letterari, tornano i temi indicati. La morbida lingua anconetana, a volte con qualche patina arcaica, veste spesso una poesia della memoria che si sgrana in sfocati dagherrotipi o in tenui acquerelli su cui si appoggiano nostalgie che ripetono una rinnovata sorpresa di fronte ai meccanismi insondabili del tempo, della vita e della morte. E, sottesa qua e là, la riflessione metapoetica: ’riva smagrito filo / di scritura ntun gesto / cunusciuto da fiola: / artròvi ’l filo de casa / smarito, / te cunzóli.

In tutta l’opera di Annalisa è evidente l’attenzione alla struttura delle raccolte che appaiono come un insieme in cui le singole parti, in modo coeso e compatto, declinano temi e motivi, con rigore o ricorrenze mai soffocanti. Ciò si coglie già in Le rondini di Manet in cui le tre sezioni – La Stanza dei ventagli, Le Stanze imperfette, Minime Stanze – attraverso un oggetto, una condizione e la piccolezza, rimandano a tre elementi, aria, acqua e terra, quasi a esprimere l’urgenza di dare ordine al caos con l’equilibrio delle forme, collocando il sé e il fuori di sé in un’organica architettura. Anche in Un punto di biacca i titoli delle sezioni – Svelature, Sconcerti, Spunti, Spartenze – testimoniano un progetto in cui la ‘S’ iniziale di ogni titolo può valere sia come separazione sia come privazione: dal velo svelato per sciogliere i segreti di un’immagine in personali sintesi ermeneutiche ai concerti incrinati nella loro armonia, dalla manifestazione di s-punti di vista colti nelle diverse stagioni dell’anno, alle spartenze pervase dal senso della separazione e della divisione. Ricordo anche le variazioni sul numero che aprono ’Na giungla de cartó. Se si pensa alla musica si può credere che Annalisa declini immagini e condizioni – siano essi ventagli o imperfezioni, le piccole cose o la dualità – in diverse apparenze, come nelle Variazioni Goldberg bachiane, scomponendo e ricomponendo la partitura.

La poesia di Annalisa, pacata e discreta, oscilla tra una colloquialità domestica e toni più rarefatti, con leggerezza composta che si colora a volte di malinconico stupore. A in-segnare la via si pone la poesia, perché solo il suono delle parole fa luce. Il poeta sa riconoscere in qualche sgranatura del tempo […] i luoghi / dove passano / con splendore intransitivo / le cose / che accadono piccole / ogni giorno e, come attraverso una temeraria lucerna Psiche osa svegliare l’amore, così la poesia, anch’essa audace e temeraria, può accendere il fondo scuro dell’anima e del tempo.

Sulle parole e sul loro viaggio attraverso la poesia, ricordando le parole di Edmond Jabès («Ogni libro si scrive nella trasparenza di un addio») così Annalisa scriveva nella Clausola in L’ombra e il davanzale: «Una volta entrate in un libro le parole prendono una loro strada […] si congedano da chi le ha scritte e chi le ha scritte si congeda da loro, lasciando però un riverbero, una trasparenza, che compensa dall’addio».

La lingua della poesia di Annalisa è semplice e, senza orpelli e sovrastrutture, rimanda più volte al quotidiano. C’è quanto basta, non un di più e in questo si può credere che si rifletta anche un esercizio poetico dettato dall’essenzialità espressiva dell’haiku. Scrive Francesco Scarabicchi nel risvolto di copertina a Un punto di biacca che «la lingua del lessico è un “sommesso” che si accosta all’ascolto, come volesse confidare un segreto».

E sono segreti sussurrati quelli che abitano questo bellissimo libro blu delle poesie di Annalisa che non manca di richiamarmi a sé anche con la leggerezza del disegno di Pirro che ha saputo tradurre in segni quella della poesia di Annalisa: una farfalla che vola via dalla pagina di un libro a dire che, quando un poeta se ne va, lascia  a noi la sua poesia, o come lei scrive nell’ultimo haiku de L’ombra e il davanzale: Quasi un addio / ogni libro finito / bozzolo aperto.

 

Note
1 Le Rondini di Manet (Polistampa, Firenze 2010) con prefazione di Alessandro Fo, Dopo tanto esilio (Raffaelli Editori, Rimini 2012) con prefazione di Davide Rondoni, Corde de tempo (DARS, Udine 2013), Un punto di biacca (La Vita Felice, Milano 2016) con una nota di Francesco Scarabicchi, L’ombra e il davanzale (Seri Editore, Macerata 2019) con prefazione di Maria Grazia Calandrone, arricchito da tredici illustrazioni di Francesco Pirro e, infine, ’Na giungla de cartó (Edizioni Cofine, Roma 2020).
2 Tra i numerosi riconoscimenti si ricordano: 2008, “Premio Haiku Empiria”; 2010, “Premio Malattia della Vallata” per l’inedito in lingua; 2010; “Premio Internazionale Poesia di Pisa” e 2011, “Premio Laurentum” – opera prima per Le rondini di Manet; 2011, premio “Il lago Verde” per l’inedito; 2012, “Concorso inedito Colline di Trento”, pubblicazione di Dopo tanto esilio; 2013, nella cinquina finalista al “Premio Internazionale Gradiva” – New York; 2013, Pubblicazione, grazie al DARS, della silloge Corde de tempo; 2014: “Premio Borgo di Alberona – Premio internazionale di Poesia” per Dopo tanto esilio; 2016, nella terna del “Premio Metauro” e finalista al “Premio Gozzano”  per Un punto di biacca; 2020, “Premio Città di Ischitella – Pietro Giannone” con pubblicazione della silloge ’Na giungla de cartó.
3 Recensioni di Annalisa sono apparse su riviste letterarie e blog, tra cui si ricordano «Fili d’Aquilone», «I Poeti del Parco», «La poesia e lo spirito», «Caffè Michelangiolo», «Le voci della Luna», «L’immaginazione», «Periferie», «Poesia 2.0», «Clandestino», «Atelier», «Nostro lunedì», «Versante ripido».
4 Nel 2008 Annalisa ha vinto il “Premio Haiku Empiria” organizzato dall’Associazione Italiana Amici dell’haiku, patrocinato dall’Ambasciata giapponese e dall’Istituto giapponese di cultura a Roma. Ha, inoltre, organizzato corsi sull’haiku nelle scuole e per l’Università della terza età nelle città di Ancona e Falconara.