Si ritorna per nostalgia al luogo dell’infanzia; per malinconia ad un tempo perduto; si ritorna, si ripercorrono strade consuete di versi, sapendo che non paga sempre dire qualcosa di nuovo ed originale, quanto dirlo con parole ed accenti inusati. “Int l’ombra/ dla sera/ u s’alzira/e’ rispir/de’ vent./ E cala da e’ zil/ l’ora de’ zét./Al s’artira/ agl’ ombar// dri ai pi dal bdol.” (Nell’ombra/ della sera/ s’alleggerisce/ il respiro/ del vento./Scende dal cielo/ l’ora del silenzio./Si ritirano/ le ombre/ ai piedi dei pioppi.) Una immediata visione del vespro, ispirazione di tanti scrittori e artisti, prima e dopo il nostro Autore: eppure il suono del dialetto arricchisce l’immagine, di per sé limpida, tratteggiata con poche efficaci pennellate, senza alcun aggettivo che possa appesantire.
“Artorne/ sempar a cvè/ indò che tot/ u s’ fa/ piò fond” (Ritorno/ sempre qui/ dove tutto/ si fa/ più profondo) Nel tempo del “navigare” alla superficie sul mare del web, ritornare tra le pareti di casa, vuol dire ritrovare l’anima che, al di là d’ogni interpretazione laica o religiosa, è ciò che è più profondo nell’umanità e nel mondo, il magma infuocato senza il quale non ci sarebbe crosta terrestre con le meraviglie che la ricoprono; così come nel corpo nervi e ossa e sangue e carne senza i quali non esisterebbe la pelle con tutte le sue forme che ci rendono così diversi.
L’anima del poeta è intrisa di suoni di voci: voci di ombre che si aggirano trai sassi delle case abbandonate; colma di profumi della terra, di vento. Talora le parole sono stanche “Parol strachi” come le spalle ingobbite, come il passo lento che fa scricchiolare le foglie: sono ridotte a puro suono, a fatica, a essenza del cammino dell’età non più giovane; quel cammino che ci farà perdere tra l’erba, “coma un fior/ sfiurì” (come un fiore/ sfiorito); e ritrovare poi tra le pagine“nel libro del cielo”.
Pur se le parole comunicanti la vita e le relazioni sono perse, volate via, come nuvole o sogni, restano nel loro suono e senso tramandato nel dialetto, “radici/ specchio d’un viaggio/ dove nulla/ va perduto.” Neanche l’odore dolce della legna, le piccole grandi cose dell’esistenza.
Ancora una volta, questo Autore compone versi brevi, meditati, a volte quasi sofferti, per il timore di non dire quella “parola dolce” o di arrivare “Sempar dòp”.
Un armôr d’ombri
E suda nebia e’ dé.
Tlaragn biânchi
ad bréna
agl’imprègna i rém.
U s’infitès al nùval
int e’ zil scur
e e’ bur u s’ stènd.
A sdaz la tëra
di mi véc,
parol
ch’al s’ afònda
in un armor d’ombri.
Una gòzla d’acva
int e’ vedar
dla finëstra.
Un rumore d’ombre Trasuda nebbia il giorno./ Ragnatele bianche/ di brina/ avvolgono i rami./ S’infottiscono le nubi/ nel cielo scuro/ e il buio si stende./ Setaccio la terra/ dei miei vecchi,/ parole/ che affondano/ in un rumore di ombre./ Una goccia d’acqua/ nel vetro/ della finestra.
E’ mi paes (Sa’ Zen)
Sora al stredi
de’ témp
u s’è abanduné
e’ mi paes.
In che zét
i s’ slònga i pinsir.
La lus
la baléna
tra al vèt dal piant,
e l’ombra la dòndla
int e’ bur stìl
dla màcia.
A sent adòs
l’udôr dôlz
dla legna.
Il mio paese (San Zeno) Sulle strade/ del tempo/ si è abbandonato/ il mio paese./ In quel silenzio/ si allungano i pensieri./ La luce/ balena/ tra le cime delle piante,/ e l’ombra dondola/ nel buio sottile/ della macchia./ sento addosso/ l’odore dolce/ della legna.
Paröl növi
Int la sera
ch’ la s’impasta
cun i sintir,
l’è calé e’ zet.
E’ balinè
d’una lus
l’è e’ lansir
dla vita.
Tot u s’aferma
par metar a post
la fàm ad
paröl növi.
Parole nuove Nella sera/ che s’impasta/ con i sentieri,/ è sceso il silenzio./ Il tremolio/ di una luce/ è l’ansimare/ della vita./ Tutto si ferma/ per mettere a posto/ la fame/ di parole nuove.
Sèmpar dòp
Sti dé
j è un témp
curt
che scapa vi,
indò che al paröl
l’i s’ svuita.
U s’ariva
sèmpar dòp
a dì una paröla
dolza
pr un sôl
che s-ciares
la faza.
Sempre dopo Questi giorni/ sono un tempo/ breve/ che fugge,/ dove le parole/ si svuotano./ Si giunge/ sempre dopo/ a dire una parola/ dolce/ per un sole/ che rischiari/ il volto.
Marino Monti, Arturnê, Ed. La Mandragora, Imola (BO), 2021
Marino Monti è nato a San Zeno di Galeata (Fo) nel 1946 e vive a Forlì, dove si è diplomato allo Istituto Tecnico Industriale Guglielmo Marconi. Ha lavorato come perito capotecnico nei settori produzione e progettazione. Ha iniziato a scrivere non più giovane. Vincitore e finalista in diversi concorsi poetici, tra i quali, “Aldo Spallicci” e “Giustiniano Villa”. Alcune poesie premiate si possono trovare nell’antologia “Poeti che vincono” sul sito dell’Argaza. È Minestar del circolo culturale “E’ Racoz” di Forlì; tra i fondatori dell’associazione culturale “E’ sdaz” e membro del “Comitato Culturale di Pieveacquedotto”. Ha pubblicato: E’ bat l’ora de’ temp (1998); A l’ombra di dé (2001); L’anma dla tera (2004); In e’ rispir dla sera (2007); Stason (2010); Poesie di Romagna (2012); Int e’ zét dal mi calér (2014); La vos de’ vent (2018).