Patrizia Sardisco. Se la parola è Sìmina ri mmernu

Recensione di Maria Gabriella Canfarelli

 

Una parola saziante, riempitiva del vuoto lasciato da una perdurante, sterile desolazione; una parola attinta da un pensiero-coscienza diretto a ricostituire l’ordine naturale, lingua espansiva proliferante e febbrile come un’inquietudine. Anche in Sìmina ri mmernu (Semina d’inverno, Cofine 2021) premio Città di Ischitella-Pietro Giannone 2021 i versi di Patrizia Sardisco nascono nel segno d’una scelta radicale in quanto a ricerca, non solamente dal punto di vista espressivo bensì in funzione di continuità, prosecuzione di un impegno civile, come già la sua voce in altri libri. Non è nuovo dunque trovarsi di fronte a una poesia che scuote e avvince e avviluppa in uguale misura e mente e cuore, mobilissima, spiralica ma di chiara esposizione concettuale, preziosa e ricca nel suo procedere verbale, semplice (e non semplicistica) lingua-arnese che scardina, sgroviglia, dipana, mette mano all’intrico, dà ordine, assetto e riassetto alle cose del mondo. Una disciplina rigorosa, accurata quanto la scelta di fonemi ed elementi lessicali indicativi l’anima, il corpo, l’intelletto.

La luminosità che emana da ogni verso di Sìmina sembrerebbe in antitesi con la stagione che completa il titolo di questo libro; che è sì stagione ultima del corpo, ma pure rappresenta la svolta, il ricominciamento, la possibilità o il tentativo di guarigione dai mali che affannano la Terra, il territorio di vita sfruttato sino all’ultima zolla in nome del più becero invadente profitto. Di inverno dello spirito scrive dunque l’autrice, di fuoco distruttore la natura-madre di tutto e tutti, di integrità spezzata, incenerita, di ferite da sanare, di rinascita attraverso la semina di versi-segni che possano attecchire nella coscienza come alberi, perché già tra noi è l’inverno, nella matura estate, nell’agosto degli incendi appiccati, nel fuoco che apre la lettura di queste pagine, questi versi: muntagna voscu scunchiutu ’i vuci / cu nova vuci mpristata r’u focu / e r’u sciroccu / ntrizzati, vampi e bbentu, pi nchiuìricci l’occhi / com’a na matri ’i nuddu / aronta, pi struppiare, p’arriddùciri nenti (montagna bosco dissipato di voci / con voce nuova in prestito dal fuoco / dallo scirocco / intrecciati, vampe e vento, per chiuderle gli occhi / come a una madre di nessuno, / per infliggere offesa, ferire, annientare); ove il termine ntrizzati (intrecciati) configura il sovrapporsi di elementi naturali, in questo caso fuoco e aria, reiterato in altri versi forma di sintagma, tuttu ’nzemmula, il tutto insieme,  tutto in una volta, cioè l’improvviso, l’inaspettato, come accade quando ci si sveglia di colpo, e si vede la cenere del fuoco addensarsi sulle case, e bisogna abbandonarle c’a prescia stunata e ammàtula i l’armàla / cu stissu scantu sdisangatu d’iddi (con la fretta stupita e vana delle bestie/ col loro stesso spavento dissanguato).

La pervasiva presenza della cenere, la sua consistenza di neve molle e grigia segnata dalle impronte sporche del nostro passaggio, è posta a immagine di incanutimento d’ogni cosa visibile, e smuove la necessità d’una parola robusta che resista all’aridità che assedia l’anima; una resistenza caparbia, volitiva a recuperare la perdita e l’assenza, quanto più ci disorienta u spariggiu, lo spareggio, conto che non torna, e la parola sgridda ’i nte manu (sfugge di mano) o Mori accussì, ’un taliata / parola c’un si scrivi (Muore così, incustodita/parola da non scrivere), interrompe il rapporto di relazione col mondo. Ma U cuntrariu r’u mòriri è u pinzeru (Opposto del morire è il pensiero), nel tempo / spazio cinerino dell’inverno, degli inverni, scrive Sardisco: e allora bisogna seminare e seminare, scrivere versi dedicati che tramandino e custodiscano la memoria de Il giorno dei morti alberi soli nella nebbia di cenere e nfinu r’a vista abbannunati (persino dal paesaggio abbandonati) – tra i più significativi versi della poesia che chiude la prima sezione, Muharda (Nt’austu, na nuttata).

Interessante notare lo sbalzo temporale repentino che elude la mitezza della intermedia stagione autunnale; la parrata mpetra (lingua litica) di Patrizia Sardisco sposa le condizioni estreme, oppositive caldo-freddo e ne sigilla in assunti ossimorici (fuoco di fuoco sta gelando l’estate), più che il contrasto, la similitudine: sta nivi i cìnniri / è na vista e nnall’occhi / u stissu focu / ma è a me’ vuci / u voscu ri tizzuna cchiù aggigghiatu / comu quannu i ìrita nna ghiaccera / u friddu si cci mpiccica trapana / ’un si sentunu cchiù, pàrinu / strànie, ma misi mmucca abbrùcinu (questa neve di cenere/ è nel paesaggio e negli occhi / un uguale fuoco / ma è la mia voce / il bosco di tizzoni più agghiacciato / come quando le dita nella ghiacciaia / il gelo si incolla e penetra / non si sentono più, sembrano / estranee, ma messe in bocca bruciano); le dita della mano, parte estrema del corpo, deputate a scrivere come a cancellare, sede del senso tattile, bruciano dello stesso freddo della parola, quando in bocca la parola si ferma e sembra tacere. E però sotto la superficie cinerina il suo seme gemma, è richiamo all’attenzione, è allarme, invito a districare dal “tutto insieme”, dall’iniziale indistinto viluppo l’anima-voce, dissodare la mente, assumere il doppio nutriente della ragione e dell’emozione come in queste pagine realistiche, paradigmatiche, sorrette da un autentico sentire e pre-sentire dell’umanità il rischio di precipitare nell’inverno prossimo venturo; seminare poesia, Parola corroborata da una solida competenza linguistica di rara potenza verbale, lingua bruciante come pietra focaia, è ciò che mirabilmente fa, anche in questo libro, Patrizia Sardisco.

 

Patrizia Sardisco, nata a Monreale, dove vive, scrive poesia in lingua italiana e in dialetto siciliano (parlata monrealese). Nel 2016 pubblica la silloge in dialetto Crivu, vincitrice del Premio Internazionale Città di Marineo e menzionata al Premio Di Liegro di Roma. Nel 2018 si aggiudica il Premio Montano nella sezione Una prosa breve; con la silloge inedita in dialetto ferri vruricati (arnesi sepolti) guadagna il secondo posto del XV Premio Ischitella – Pietro Giannone e, nello stesso anno, per le Edizioni Cofine dà alle stampe il poemetto eu-nuca, finalista al Premio ‘Bologna in lettere’ 2019 e vincitore della sezione opere edite del Premio “Città di Chiaramonte Gulfi’ 2019”. Del 2019 è la silloge Autism Spectrum vincitrice della IV edizione del Premio “Arcipelago itaca” e segnalata al Premio “Bologna in lettere” nel 2020. Nel maggio del 2021 ha pubblicato Lo spettro del visibile, poesie in italiano, Edizioni Cofine, collana “Aperilibri”.