73 – MORICONE

MORICONE. Con 2.318 ab., detti Moriconesi (Murricónesi), da un’altura dei Monti Sabini di 296 slm domina un ampio declivio sulla valle Tiberina, a poca distanza dai monti Gennaro e Pellecchia. Il suo nome driva dal monte Morrecone, sul quale fu costruito il nucleo originario del Castello dell’XI sec. detto la “Rocca”, che domina il paese. Nel secolo XVII fu ingloato nel Castello la Parrocchiale dell’Assunta, di stile rinascimentale. Altri edifici interessanti: la settecentesca Villa Aureli, la Chiesa Vecchia, di stile romanico; il Palazzo Baronale costruito da M. Antonio Borghese nel 1619.

Attività economiche prevalenti: agricoltura e in particolare frutticoltura.
 
IL DIALETTO DI MORICONE:
 
1. I vocabolari e le grammatiche
Pierluigi Camilli ha scritto, con la cugina Carla Camilli, il vocabolario moriconese Nui parlemo cucì con grammatica annessa.
Con Nui parlemo cucì – Dizionario, grammatica, Proverbi, usi, tradizioni e aneddoti del dialetto moriconese, affermano Carla e Pieluigi Camilli, per quanto incompleto e senza ambizioni scientifiche, abbiamo voluto fornire un’immagine della ricchezza di parole e di espressioni che caratterizzavano il  dialetto della nostra infanzia, ossia quel patrimonio culturale che abbiamo ereditato dai nostri nonni, talvolta analfabeti, ma che conserva anche oggi una sua peculiarità, non solo nella cadenza (calata), nella intonazione, ma anche nel lessico, rispetto ai paesi limitrofi.
Certamente il dialetto moriconese conserva, sia nella struttura che nelle forme lessicali, un nocciolo profondo del latino “parlato”, più vicino al volgare italiano dei primi secoli, che all’italiano corrente, anzi potremmo affermare che  in qualche modo ne rappresenta una fase intermedia, cristallizzata per secoli in uno spazio ben determinato. Questo non significa che sia rimasto invariato, perché, come tutte le lingue, sicuramente è cambiato nel corso del tempo, ma tali cambiamenti sono stati più lenti perché più lentamente sono cambiate le caratteristiche culturali della popolazione moriconese, che almeno fino a 60/70 anni fa per il 99%  era dedita all’agricoltura e pochissimo scolarizzata.
Analizziamo alcuni esempi di parole, nell’ordine in latino, in dialetto, in italiano: Ventus/véntu/vènto; Medicus/médicu/mèdico; Surdus/surdu/       sordo; Ovum/ovu/uovo; Pedem/pède/piede; Bucca/vocca/bocca
Potremmo continuare all’infinito con questi esempi, e ne daremo ampio spazio in calce alle singole parole, qui basti questo accenno per comprendere che il dialetto, come ogni altra lingua, è un organismo vivente che cresce, si sviluppa, si trasforma, si arricchisce nel corso degli anni, per rispondere sempre meglio alle esigenze di chi la parla.
Tornando alla struttura del nostro dialetto possiamo affermare senza ombra di dubbio che mantiene essenzialmente la struttura flessiva del latino rispetto al genere: femminile /maschile, al numero: singolare/plurale nei sostantivi, aggettivi e pronomi, ma, come nell’italiano, gli aggettivi dimostrativi si sono trasformati in articoli determinativi, inesistenti nel latino.
Il dialetto, come l’italiano,  generalmente non ha conservato il genere neutro e la flessione dei casi latini, ossia le declinazioni, mentre ha mantenuto la flessione dei verbi sia rispetto ai modi che rispetto ai tempi e alle persone ossia quella che comunemente viene indicata come coniugazione, anche se talvolta incompleta.
I verbi ausiliari sono ‘èsse’ e ‘avé’, mentre tutti gli altri verbi seguono le quattro coniugazioni latine, perché, a differenza di quanto succede in italiano in cui la seconda coniugazione in /-ere/ raccoglie tutti i verbi della 2ª /-ēre/ e 3ª /-ĕre/coniugazione latina, nel moriconese essi si distinguono chiaramente i verbi che derivano dalla 2ª coniugazione latina hanno la /é/ finale accentata: tenéda tenēre, mentre quelli derivanti dalla 3ª  hanno la /e/ finale atona, come ‘finge’ dal lat. fingĕre, ‘beve’ dal lat. bibĕre.
Dalle ricerche fin qui condotte non ci risulta esista una grammatica del dialetto Moriconese; ché da buoni Sabini, nostro malgrado, lasciamo sempre ‘dittu pe’ dittu!’4), come dice il proverbio, per questo motivo ci è sembrato utile, prima del Dizionario, inserire qualche annotazione grammaticale che aiuti a meglio comprendere ed utilizzare il Dizionario stesso.
 
A proposito di Nui parlemo cucì – Dizionario, grammatica, Proverbi, usi, tradizioni e aneddoti del dialetto moriconese, Carla e Pierluigi Camilli informano che “questo lavoro è frutto di tanti anni di ricerca sul dialetto, che abbiamo iniziato giovanissimi, prima un po’ per gioco, poi sempre più consapevoli del fatto che rappresentava un patrimonio di saggezza, spiritualità, praticità, allegria che non doveva andare perduto, pena la perdita della nostra stessa identità.
Abbiamo via via compreso che attraverso la registrazione della parlata e dei racconti delle persone anziane, che abbiamo avuto la fortuna di avere vicino, potevamo riscoprire la vita contadina con tutta la sua durezza, la fatica, le rare gioie; ma anche constatare quanto il tessuto sociale fosse improntato ai valori autentici dell’onestà e della solidarietà… tutto questo ci ha motivato a ritrovare la identità degli abitanti di questo paese che, almeno nella leggenda, vanta una origine molto lontana.
Nui parlemo cucì è il primo, timido tentativo di riscattare culturalmente e, per quanto possibile, salvare il patrimonio linguistico che si sta inesorabilmente perdendo insieme con la cultura contadina che esso rappresentava. A questo punto qualcuno si porrà, legittimamente, questa domanda: “Perché proprio adesso decidere di dare alle stampe e comunque di rendere pubblico questo lavoro?” (…) per noi la spinta è venuta fondamentalmente dal fatto che tutto questo patrimonio ci dà uno spaccato,
talvolta contrastante, sempre espressivo, di un mondo quasi tramontato. Al di là della nostalgia, del folklore, questo lavoro rappresenta il desiderio di frenare la terribile perdita di identità, l’impoverimento culturale che, quasi senza che ce ne rendiamo conto, ci sta portando verso una inaccettabile omologazione, che non lascia spazio alla creatività individuale e di gruppo.
 
Nel sito https:////piercamillimor.blogspot.com/ c’è l’annuncio: ‘a crammatica murricónese, ancora che giorno eppó v’a retrovarrete tra capu e cóllu.
 
2. I proverbi e i modi di dire
Da https:////www.homolaicus.com/linguaggi/moriconese.htm a sua volta tratto dal Vocabolario Moriconese-Italiano di Carla e Pierluigi Camilli, ecco alcuni proverbi e modi di dire.
 
Modi di dire:
Parabbisu che unu se ne mena gabbu. Sembra che ci si meravigli
Tarda nova bbona nova. Una notizia che tarda è sicuramente buona.
Mamma me l’ha fattu u strippadonne che sotto au mulliculu me pènne. (Metafora dell’organo maschile)
Puzza de schioppettate. (E’ talmente cattivo che al passaggio) senti l’odore dei colpi di fucile.
Sì sembre tu zippù zazzà. Sei sempre lo stesso.
Mejo curnutu che malentisu. Meglio essere cornuto che male interpretato.
Non se sà tené ddu cici ‘ncorpu. Non sa tenere un segreto.
U fióttu é libbiru. Il lamento è libero.
Chi non pò vinnignà recciaccaria. Ci non può vendemmiare, racimola.
Mò scappa l’oju dai sassi! Non uscirà mai l’olio dai sassi!
A vigna è tigna. La vigna è come la tigna.
I sòrdi non i cacanu i somari. I soldi non li cacano gli asini.
Va reccapezzenno u filu pe a gnommera. Va cercando il filo per trovare il gomitolo.
 
Proverbi
Bòtte carceratu e trenta pauli. Botte, in galera e si paga persino, se si ha a che fare con i prepotenti.
A cuscenza stea ’ncima a ’ncardu, è passatu u somaru e se l’ha magnatu. La coscienza stava in cima ad un cardo, è passato un asino e l’ha mangiato
Se vo’ che casa va: ó vinu forte ó pane summu e lóiu che sa. Se vuoi che la casa vada bene, (non devi gettare neanche) il vino inacidito, il pane non lievitato e l’olio che ha preso un cattivo sapore.
U piru fattu casca senza trastu. Il pero maturo cade senza batterlo.
Chi vo’ va’, chi non vo’ manna. Chi vuole va, chi non vuole manda qualcun altro.
Culu pècca e culu paga. Culo pecca e culo paga.
A giustisia a tenea mmocca ’ncane e l’hau retrovatu ppiccatu ’na Storta! ’O giustu l’hau retrovatu ppiccatu ’na Storta. La giustizia stava in bocca ad un cane, ma l’hanno trovato impiccato alla Storta.
Chi resparagna, spreca. Oppure Chi resparagna u diavulu s’u magna. Chi risparmia, spreca.
Chi de a robba sea se protesta pia un maju e daielu ’ntesta. A chi si priva del suo patrimonio (prima di morire), dagli un colpo in testa con un maglio.
Chi non caca cacarrà, chi non piscia creparrà. Chi non defeca defecherà, chi non orina morirà.
Coll’Ave Maria, mo’ ha rrimpi a panza! Con l’Ave Maria non riempi la pancia
Na campana basta pe cento frati. Una sola campana basta per cento frati.
Tale vita tale maiolu, tale patre tale fijolo. Tale vita tale germoglio, tale padre tale figliolo.
Mazza e panella fa’ a fija bella. Il bastone e il pane fanno la figlia bella.
Dove sò annate le carriere mie, manco lo vento le potea arrivane. Dove sono è andata a finire la mia energia che mi consentiva di correre più del vento.
Lavora sotto sotto come a topaceca. Lavora di nascosto come la talpa.
Issi a repulì casota da i sparangiuli, mmece de stà ‘nmezzu a strada a fatte i cazzi dell’ari. Dovresti andare a casa tua a ripulirla dalle ragnatele invece di stare in piazza ad occuparti dei fatti altrui.
“Lassa fà” se fece frecà a moje a lettu. “Lascia stare” si fece portar via la moglie dal letto.
Chi va a fiera senza quatrini se satolla de spitturiate. Chi va alla fiera senza soldi si sazia di spintoni.
Chi tè na bella mafrocca ha buscatu ’na bella pilòcca. Chi ha un bel naso può sposare una bella ragazza.
[Probabilmente mafrocca e pilocca sono rispettivamente l’organo maschile e femminile.]
Se piove de Nicoletta n’ari ghieci giorni d’acquetta. Se piove il giorno di San Nicola, ci saranno dieci giorni di pioggia. [È un classico esempio di alterazione delle parole per ragioni di rima.]
Quanno trona a Maccarese pia la zappa e va al paese. Quando tuona a Maccarese prendi la zappa e torna in paese. (ossia a ovest di Moricone.)
Se Monte Gennaru se mette u cappellu rrerrentra a casota e pija lómbrellu. Se monte Gennaro si mette il cappello, quando esci prendi l’ombrello.
U struppiu porta u cecu. / U cecu ccompagna u cioppu! / U ruttu porta u sanu. Lo storpio accompagna il cieco / Il cieco accompagna lo zoppo / Un infortunato porta il sano. [Espressioni ironiche e paradossali per sottolineare che spesso le guide, cui ci affidiamo, stanno peggio di noi.]
 
3. I toponimi e i soprannomi
 
4.  Canti – filastrocche-indovinelli – giochi- gastronomia- feste&sagre-altro
Gli eventi principali sono: la Festa di San Liberatore, il 2 maggio; la Festa della Madonna del Passo, l’8 settembre. In quest’ultima tutti i balconi del paese vengono ricoperti di teli colorati e si compongono tipiche filastrocche che sono poi lanciate sulla statua durante la processione.
4.1 Canti
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
 
4.3 I giochi
Pierluigi Camilli nella sua “’A partita a briscula” ci rappresenta mentre è in pieno svolgimento un gioco molto praticato: « Ma che sta a giocà a mezzu có quill’ari? / Famme capì: ma ‘ncapu ce tè ‘e stròppe? / Ma come!? Te renvito a iì a denari / e tu me cali addirittura a coppe?» // – Che t’hó da fa, se non tenea gnent’aru? / Che no m’ìi vistu? T’éa ccenatu prima! / S’ésse tinutu mmani checcosaru… / non è che serve d’èsse ‘na gran cima!- // « Mesà te l’ha ‘mparatu a ‘nna sgurgula! / Quello che m’ìi ccennatu, a casa mea, / volea dì che non tinii ‘a briscula!ۚ » // – Qess’èsso è ‘a presunzione tea: / te cridi de sapine puntu e virgula / ma tè u cervellu ch’ène ‘na scorrea!-
4.4 la gastronomia
 
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
Racconti in prosa
Il “Grillo Parlante di Moricone” è un bimestrale edito dall’associazione culturale Il grillo parlante. Spazia da argomenti di politica nazionale e locale a fatti di attualità senza tralasciare l’arte, la cultura, la musica, la poesia e perché no l’umorismo e la satira. Ecco da https:////www.ilgrilloparlante.org/ un racconto di Enrico Menaggi “All’amico Claudio. Un bel colorito”.
Claudio, sessant’anni passati da un po’,artigiano (molto ano e poco arti), ipocondriaco e un po’ malato vero… se fa prima a chiedeje ched’è che nun cià! Si je chiedi de che soffre… cià tutto! Mestruazioni comprese! Ha girato tutti lì medici de Roma e del Lazio, mo’ nun ce va più… dice che lo voleveno ammazzà! Sti fij de mignotta me voleveno fa mori! M’hanno squartato m’hanno… e io me meravijo che non l’hanno fatto! È un ’ncacacazzi de gnente! Mo’ ne sa più lui dei qualsiasi primario o luminare della scienza. Te senti male? Ciài n’unghia incarnita; la diarrea; er rodimento de culo; te fa male un dente? Pija n’antiffiammatorio…perché si nun lo pij poi te se scatena dentro ’na reazione che le cellule vanno pé cazzi loro, i globuli rossi se meneno co’ quelli bianchi; er nervo sciaticose ’nfiamma, er cazzo sparisce e la panza se gonfia! Mo’ io sto a scherzà, ma mica tanto. Claudio è un amico, de quelli veri, de quelli che i difetti sua diventeno pregi… l’aspetto fisico lascia a desiderà: pare n’orcio stretto sopra… largo sotto! La faccia è quella classica der bonaccione: sempre sorridente se cià n’ber piatto pieno davanti. Ma un piatto solo nun j’abbasta! Avemo formato un gruppo de amici e quarche vorta fa magnamo assieme… beh! Magnamo… Antonio se sarva… io sto a gguardà! L’urtima vorta amo fatto er pesce: s’è mangiato mezzo chilo de risotto allo scojo (scojlio complesso), due chili de cozze, 15 triglie strette fritte, er pane, er vino e si c’era quarc’antra cosa…
Urtimamente, dato che ciaveva quarche doloretto, s’è recato da ’mprimario che riceveva dentro no scantinato. Ariva er turno suo e entra a fatica dentro lo “studio” ’no sgabuzzino. Er primario, che era er doppio da lui, je dice che deve dimagrì de armeno 50 chili! Er bue dice cornuto all’asino… Poi passa alle domande: da quanno sta male? Che medicine ha preso? Da chi s’è rivorto? qual è la diagnosi? Er tutto pé mezz’ora senza visitallo. Intanto annota tutto su ’ncopiuterino. Claudio che sperava in una visita, je chiede si armeno je misura la pressione. Non c’è bisogno, dice er Luminare, dar colorito deduco che nun è iperterso… So’trecentocinquanta euri grazie!
A Clà dar colorito che ciai deduco che sei ’no str..zo!
Rico Menaggio
 
Sullo stesso sito appare “Moricane e la storia fantastica”. Moricane e la storia fantastica ma non troppo è un racconto a puntate, in parte immaginario ma in parte scritto e raccontato prendendo spunto da fatti e personaggi realmente accaduti e presenti a Moricone. In ogni numero del giornale è presente un capitolo della storia utilizzata con spunti di satira per denunciare fatti e criticare situazioni realmente accadute.
Alcuni titoli di prose anonime, alcune in dialetto: Capitolo 10: Il mistero della fontana ; Capitolo 8: e “fuche” de notizie; Capitolo 7: “Ma a lui… non glielo dite”; Capitolo 6: La gaffe di Egodazi; Capitolo 5: L’omosessualità di Buricchio; Capitolo 4; Capitolo 3: Some di democrazia; Capitolo 2: Alla ricerca del cervello perduto
 
Il teatro
Sul sito https:////piercamillimor.blogspot.com Pierluigi Camilli raccontata la “Storia del Gruppo Teatrale ‘U Mascaró’” “su ciò che abbiamo fatto ed a ‘presa diretta’ ciò che stiamo facendo. (…) Non possiamo parlare di Teatro a Moricone se prima non si fa un riepilogo, per portare a conoscenza dei più giovani, come da sempre qui c’è stato un interesse spiccato per il teatro e l’entusiasmo iniziale di ogni evento legato a quest’Arte ne è la prova; purtroppo è stato e continua ad essere difficoltoso realizzare un Teatro Stabile. Perché? Vi saremmo grati se pensaste a questo perché. Fin dalla mia infanzia ho vissuto le tribolazioni della, anzi, delle“Filodrammatiche”! Mio padre, insieme ad altri fu uno degli organizzatori che riuscirono, nell’immediato dopoguerra (ed anche prima), a costituire una Filodrammatica che funzionò, bene o male, fin quando non arrivò qualcuno che, essendo più intelligente e preparato, ne fondò un’altra; risultato si sfasciarono tutt’e due (questo fatto sarà ricorrente in molte realtà a Moricone!).
La conferma che la passione per il Teatro c’è sempre stata è che quando si è fatta qualche rappresentazione, la gente ha sempre partecipato – come spettatori-:dai drammi della Filodrammatica (pensate che erano una decina di Attori ed un’Attrice!; per cui molti “maschietti” dovevano travestirsi da donna) alle recite scolastiche; ricordo con grande gioia e soddisfazione “Pinocchio” in IV elementare: io ero “Pinocchio”, Maria Luisa Velli “La Fata Turchina”, Rosina Prosseda “La Lucciola”, Luisa Arioni “Il Grillo Parlante”, Francesco Morena “Geppetto”, Giancarlo Milani “Mangiafoco”, Nannarella Desideri e Zenocrate Camilli “Il Gatto e la Volpe”, Luigino Antignozzi(Pocaciccia) “Il Venditore di Asini”, ecc.ecc..
Fino al 1956 la memoria non mi ridistribuisce immagini teatrali a Moricone; non vorrei essere inesatto, ma mi pare che fu giusto in quell’anno che una squadra di ragazzi e ragazze (Pina Milani [sorella di Giancarlo], Emilia Cortellessa, Rosina Prosseda, Carla Camilli [di tanto in tanto], Maria Giannini, Argia Carnicelli [che nel 1964 diverrà mia moglie], Gabriele Giannini e qualche altro che ora mi sfugge) rimisero in atto una “compagnia”; fui avvicinato per un aiuto e penso di averlo fatto: riuscii, oltre che a far loro portare a termine quello che avevano cominciato, a portare in scena una mia commediola che fece successo e che portammo a Monteflavio e Montelibretti; non solo, riuscii a far cantare Raniero Nini e Gabriele Servili! Per qualche anno ho dovuto soprassedere per causa di forza maggiore, ma grazie a Peppe Antignozzi, a Carla Camilli e qualche altra Maestra Elementare, si è continuato, per la Passione e per l’Avvento a fare delle recite mirate e ben riuscite, ma sempre occasionali. Per esempio dal 1969 al 1972 (io non ero in Italia) mi risulta che le Scuole hanno organizzato più di qualche recita per Natale; Carla ha curato la regia a l’adattamento de “Il Mistero” di Silvio D’Amico e “Processo a Gesù” di Diego Fabbri.
Si sono rappresentate diverse “Passioni” in occasione della Pasqua, sia sotto la direzione di Peppe Antignozzi che quella di Emilio D’Ignazi. Ma si sono sempre fermati a queste rappresentazioni occasionali, sempre da personaggi diversi perché di transito!
Ho tentato più volte di parlare ad ognuno dei protagonisti di cui sopra, ma non abbiamo mai raggiunto quello che era il mio obbiettivo.
Negli anni ’80 ho creato “Screpia”, con un paio di rappresentazioni e notevole successo; è seguito il “Mini Screpia” con i bambini delle Scuole Elementari con l’intervento della “Compagnia di Rugantino” il periodico in romanesco che dalla fine del 1800 allietava i lettori romani e della provincia; dato vita alla Pro-Loco, dopo qualche anno siamo riandati nuovamente a zero!
Non ricordo se era il 1999 quando fui contattato da Ivano Vellucci e Giulio Bottigoni, affinché mi unissi a loro per formare un Gruppo Teatrale! Finalmente! Alla prima riunione, di tanta gente contattata, ci trovammo intorno ad tavolo Ivano Vellucci, Giulio Bottigoni, Alberto Papi, Carla Camilli ed il sottoscritto e non ricordo altri. Si provò a buttare giù un programma e cominciò una serie di incontri. Alla quarta riunione, vennero a mancare Giulio ed Alberto ma entrò Angelo Ortenzi e in quella riunione, Carla ci comunicò che doveva, temporaneamente, lasciarci soli poiché doveva recarsi all’estero e quando sarebbe tornata, se ancora poteva darci disponibilità, ci avrebbe contattato. Vi starete chiedendo perché vi racconto tutto ciò: è per onore di cronaca e per dare meriti (se ce ne sono) a chi spettano!
Decidemmo per il nome da dare al gruppo ed optammo per«Gruppo Teatrale “U Mascaró”». Durante le mie ricerche per questa passeggiata nel tempo, ho scoperto che nel 1970 il gruppo diretto da mia cugina Carla, aveva già scelto il nome “U Mascaró”! Sono molto lieto che lei non abbia preteso la rivendicazione del nome, bensì è contenta che noi abbiamo continuato e stiamo continuando anche la sua idea!
Durante le “trattative”, giunse il periodo di Pasqua ed avendo, nel frattempo, convinto Emilio D’Ignazi ad entrare nel gruppo, egli ci prospettò l’ipotesi di un’ulteriore Passione ed accettammo di fare la “Rappresentazione della Croce” che lui aveva visto in televisione. Ci piacque l’idea, la trama di Giovanni Raboni era quanto mai originale e fu un vero successo, malgrado il freddo!
Fu in quell’occasione che cercammo di “reclutare” più gente possibile: aderirono 15 persone, ma quando fu al dunque, rimanemmo: Aduilio Simei, Angela Mancini, Angelo Ortenzi, Emilio D’Ignazi( che aderì, ma si prese un pò di tempo), Ivano Vellucci, Michele Cortellessa, Nello Franchi ed io. Fu questo manipolo di incoscienti che cominciò l’avventura de “U Mascaró”!
In questo nostro imbarco nel mondo del palcoscenico (che in verità ancora non abbiamo!), dobbiamo qualcosa sia al Comune di Moricone che all’Università Agraria che ci hanno sempre dato disponibilità dei mezzi di stampa e di collaborazione. In verità anche qualche commerciante ed impresa artigiana ci ha dimostrato disponibilità di mezzi (Fratelli D’Achille, Tassi e Prosseda, Pina Michetti ed altri).
 
La prima vera rappresentazione come “U Mascaró “ fu “Come semo fatti” che è diventata la base di una serie, di cui la seconda parte fu “Reparlemo de vacchi”.
Alcuni video del Gruppo Teatrale “U Mascaró” sono su youtube.com: Reprovace_sarrai_più_furtunatu4 (5 min – 1 mag 2010. Caricato da piercamilli); Reprovace sarrai piú furtunatu_1_di_7.mp4 (10 min – 1 mag 2010. Caricato da piercamilli), E dopo Italia vs GT5 ecco Italia vs Mafia II…

 

6. I testi di poesia
Pierluigi Camilli è nato a Moricone nel 1935. Conseguito il diploma di tecnico radio, ha continuato a coltivare la sua passione per la letteratura. Ha un innato senso ritmico per la poesia: scrisse la prima nel 1949 e gli fruttò la sospensione per l’ora di lettere in I media. Scrive sia in lingua che in dialetto (Romanesco e Moriconese). Ha partecipato a pochissimi concorsi (cinque per l’esattezza) e ad uno ha ottenuto il primo premio, ad uno il secondo ed il terzo ad un altro.
Ma la sua vera passione è la curiosità letteraria e teatrale. Fin da ragazzo ha fatto parte di gruppi teatrali (filodrammatiche) locali, con qualche momento di creatività con la soddisfazione di qualche suo scritto rappresentato. Ha avuto un’esperienza di lavoro in Svizzera, dove ha curato, nei momenti di svago, una compagnia teatrale in lingua italiana. Ha scritto in collaborazione con la cugina, Carla Camilli, “Nui parlemo cucì” Vocabolario moriconese, con annessa grammatica.
Attualmente, oltre ad occuparsi del continuo sviluppo del dizionario in forma elettronica, è il “cervello” del Gruppo Teatrale “U Mascaró” (fondato nel 1991) del quale è dei tre fondatori, praticamente, l’unico rimasto “in scena”, ma dal 2009 ha ceduto la regia al suo “aiuto”.
Oltre alle numerose poesie sparse su diversi siti, Camilli è autore della raccolta La Genesi in terzine romanesche con note bibliografiche dalla Bibbia e dalla Torà. Il “racconto” della Bibbia è in chiave, più che ironica, critica e si snoda in 31 poesie romanesche.
Da la storia della Patria (1983) poesie in dialetto Romanesco-Moriconese citiamo il primo dei complessivi 9 sonetti: I – De ‘na Patria ce n’era un gran bisogno! / Pé questo Garibaldi co’ Mazzini, / lottorno pé realizzà ‘sto sogno! / co’ antri patrioti genuini; // e piano piano, tomi tomi e zitti, / come li sorci annaveno in cantina / pé poté poi camminà più dritti, / a lo stragnero nun piegà la schina. // Ce so vorzuti, è vero, molti anni / prima che ne le vene de la gente / entrasse l’allergia pé li tiranni! // Epperò, e è strano pé davero, / doppo le lotte, come fusse gnente, / consegnamo la Patria a lo stragnero! (Il capostipite dei Savoia, secondo alcuni storici, fu Umberto I di Savoia detto Biancamano. La Savoia è una regione francese. Prima dell’annessione alla Francia era del dipartimento di Ginevra).
Luigi Filippetta afferma che “la poesia dialettale di Pierluigi Camilli è pervasa da freschezza e spontaneità, prende forma dal suo sentire interiore e dall’esprimere quanto gli urge dentro, quasi un mondo che egli rappresenta poeticamente con un’ironia fantasiosa e disincantata; così i suoi pensieri e le sue emozioni prendono forma poetica non mediante impropri espedienti ed elucubrazioni ma nel momento stesso in cui egli scrive, quasi di getto. La creazzione der monno un volumetto agevole, che raccoglie anche una ventina di poesie di vario argomento e di differente datazione è un poemetto articolato in diciotto sonetti in dialetto romanesco. La lettura offre la possibilità di cogliere il mondo poetico di Pierluigi Camilli nelle sue linee più significative e in un quadro organicamente sviluppato intorno ad un argomento che parrebbe davvero arduo nelle sue interne prospettive; invece egli ne scioglie ogni asperità con naturalezza nel rifare il verso al racconto biblico, reinventandone la narrazione in modo popolaresco e ironico, ma non canzonatorio, con una tonalità fantasiosa e colorita. Quello espresso in questo poemetto di Pierluigi Camilli si avverte come mondo proprio dell’autore, con un suo linguaggio spontaneo all’interno di una tradizione poetica, che ha il suo culmine nel Belli, di cui egli, forse ben più di me, è un assiduo lettore; ma non per questo ne ripercorre le orme, anzi se ne distacca con una propria autonomia e con una propria visione del mondo e degli aspetti umani da narrare. Diverte e induce a pensare. Il che non è poco. La lettura è davvero piacevole, anche se nella scrittura egli deroga spesso ai rigidi canoni formali del sonetto e dell’endecasillabo, anche se indulge alla facilità del discorso, quasi ai limiti dell’improvvisazione, che fa anche avvertire il poco lavorarci su di gomito e di lima. Quanto alle poesie aggiunte al poemetto e al completamento del libro, mi pare giusto sottolineare i sonetti scritti nel periodo del suo lavoro in Svizzera: c’è il sentimento profondo che trabocca dai versi e che comunica il senso umano di una lacerazione dell’animo subita per l’estraniamento dalla propria terra e dai rapporti impliciti di un mondo rievocato con parole di sofferta bellezza in versi efficaci e toccanti”. (da https:////www.homolaicus.com/letteratura/poesie2/CAMILLI.htm)
 
Altri poeti moriconesi sono presenti in internet con testi in dialetto. Tra questi Luigi (Giggi) Filippetta con “Sera ’e novembre”: A ‘sta calata ‘e sòle / se brucia u cieli sopre a Sant’Oreste, / ‘e còste d’ì collacchi / se sò fatte rosce / e da lontanu / sbrilluccicanu i vitri de ‘e finestre. / Mmezzu a ste piante / che dì pé dì remanu senza foje, / quaci me vè da piagne, / e ‘sta dorgezza de luci e de culuri / che drent’u core l’anima me scioje: / ma me metto a cantà; / però me vengu / parole tantu tristi / e ‘nturnu me resento / sconzolata a voce che se perde / mmezzu a stu slilenzio che se spanne / come u mare senza u fiatu ‘e ventu / e sta senz’onne e senza mutamentu.
Federico Mauri con “Le Marionette”: A guardalla bene ‘sta gente, / è pure commovente / so persone così inerti, / che da sole / non j’ariesce de fa gnente. / Appese a ‘sti quattro fili, / se moveno solo sotto comando; / so persone tanto vili, / che manco loro sanno quanto. / Testa, braccia e gambe / so mossi dall’ antri / perché loro da soli, / non sanno move i propri arti. / Nun cianno carattere, / i signorini, / è pé questo che pendono dai fili, / ‘sti poverini. / So così buffe le marionette / eppure nella vita, / de persone così, / se ne incontrano a bizzeffe. / Forse quello che dico sarà pure triste / ma n’omo così / è mejo che nun esiste.
 
Sempre in internet sono presenti Poesie in italiano dei poeti moriconesi: Giuseppe Filippetta (“A Maria”), Flora Frappetta (“L’umana giustizia”), Giuliano Cupelli (“Il nuovo giorno”), Mario De Mico (“Ramon”), Federico Grignoli (“Aurora”), Daniele Ortenzi (“Il sabato del nostro villaggio”), Stefano Filippi (“Pianto di una donna”), Arialdo De Petris (“Via Calvari”)
 
Antologia
Novembre (1962)
I
Non ó saccio se ve ne sete ‘córti
che Novembre ce l’hau rruvinatu:
p’eu fattu stissu che recurru i Mórti
Novembre è un mese calugnatu!
 
I culuri che vidi de ‘stu mese,
n’iì vederrai più pé tuttu l’annu
e Abrile retinutu più cortese
appettu a quistu mese è più scarnu:
 
mone se fau ‘e mela e i purtucalli,
i cachi ‘e castagne coe trombette
che sólu a penzane de magnalli
 
u cerevellu più non ce connette!
I nuvuli viola rusci e gialli
cópru u sole arreto a Sant’Oreste,
 
II
e non parlemo pó de ‘e foje gialle
che fau a corre, ‘nzieme a quelle rosce,
spénte dau ventu: paru ‘e farfalle
che se ddoranu pé fasse conosce
 
e mo vau ‘ncima eppó revau abballe;
pé issene a specchiane trent’è tròsce
formènno un tappetu de percalle.
Ddo sta Novembre coe giornate mosce?
 
prima che u sòle se va a repusane.
‘a gente che revè tutta giuliva,
pure s’è stracca p’eo lavorane,
 
rriva cantènno storie e canzonette
contenta perch’è ita a coje ‘a liva!
Da ‘stu mese comincianu ‘e bruschette!
 
trombette: trombette dei morti (Cratarellus Cornucopiodes)
Cenni biobibliografici
 
Bibliografia
Pierluigi Camilli, Genesi (Poesie) 1a edizione 9/2010
Pierluigi Camilli, La creazzione der monno (Poesie), 1a edizione 9/2010
webgrafia
Sul sito Youtube è possibile seguire la commedia in dialetto "Repròvace sarai più fortunatu!"  https:////www.youtube.com/watch?v=9U8pRKWcXwc&feature=related