BELLEGRA (2972 abitanti, detti bellegrani. A 815 m slm). Denominata Civitella fino al 1880, sorge sulla cima del monte Celeste che si innalza, per oltre 800 metri di altezza, tra la Valle del Sacco e quella dell’Aniene.
IL DIALETTO di BELLEGRA:
- I vocabolari e le grammatiche
Non esistono vocabolari e grammatiche del dialetto di Bellegra. Cito questa piccola nota grammaticale di Luigi Pompili: “La coniugazione dei verbi registra esilaranti desinenze se rapportate non dico all’italiano, ma alle inflessioni di paesi vicini. Da ragazzino ridevo a crepapelle quando sentivo i compratori di tegole di Marano Equo che, parlando con mio padre che le vendeva, dicevano vozze per volle mentre quelli di Canterano dicevano votte. Avevo appena imparato a sostituire con volle il bellegrano voleste”. Lo stesso Pompili mi ha fornito materiali vari da cui estrapoliamo i seguenti vocaboli del dialetto bellegrano:
abbuticchiatu (avvolto), arignatu (morto di freddo), avocchia’ (adocchio, contemplo), cchirulicchi (vocalizzi), fallaccianu (fico fiorone), funnaregliu (valletta), immelle, a, (a manciate), micca, miccu (piccola, piccolo), orzomeglio (ugola), cottora (paiolo), nuvi (nuvole), nuvegli (da nessuna parte), reutica’ (rovesciare), tresca’ (pigiare l’uva), role (caldarroste), strina (tramontana), scrizza’ (schizzare), viligna (vendemmia).
- I proverbi e i modi di dire
Alcuni proverbi sono presenti nel volume Bellegra (Antica Civitella), del sacerdote A. Onori. Parlando con bellegrane ultranovantenni, fortunatamente numerose, Pompili ha annotato, commentandoli, alcuni proverbi in cui la civiltà contadina ha spalmato un pizzico di saggezza. Eccoli:
Chi teneva lo pane se moreste, chi teneva lo foco se campeste (Chi possedeva il pane morì, chi alimentava il fuoco si salvò. Non basta possedere beni o vettovaglie se non si rivelano anche iniziative e non si inventano mezzi per riprodurli, conservarli e renderli fruibili); tra cani n’se remagnano (I delinquenti non si sbranano tra loro); attento ca piagne ju morto, ma freca ju vivu (attenzione: piange il morto, ma frega il vivo. Detto di chi mira ad approfittare del momento di debolezza o di smarrimento che può affliggere parenti, amici o conoscenti); ju vo jovo Dunà? (vuoi un uovo, Donato? Uno scioglilingua fatto con un bisticcio di parole per dire con sarcasmo che non si può nemmeno chiedere se vuole mangiare qualcosa a chi sta soffrendo la fame o se gradisce aiuto a chi è in evidente stato di indigenza); stagione de erba stagione de mmerda (stagione di erba, stagione di merda. D’estate la pioggia abbondante danneggia la maturazione delle messi e dei frutti); n’tempo de carestia pane de veccia (in tempo di carestia, il pane si fa con la veccia. Indica la capacità di utilizzare mezzi scarsi e sgradevoli, pur di superare il periodo avverso).
- I toponimi e i soprannomi
Alcuni toponimi di Bellegra, in antico Vitellia e, sino al 1880, Civitella S. Sisto (Ciuvitella): Acqua Calla, Baiùpi, Cercéta, Ceràcchia, Cese, Cirìtia, Cona, Fontana Fresca, Fornaci, Frainale, Majuru, Maniella, Mora Valea, Prata, Raicina, Tineglio, Valle, Véneri. Alcuni soprannomi bellegrani: Biastemella, Bucìa, Cicerchia, Favorisca, Fumicola, Frittella, Gnuttijosso, Martellone, Nasone, Occhipinti, Pagnottella, Pinghione, Sfraggella, Sgrullapuci, Straccittu, Zippone.
- Canti – filastrocche-indovinelli – giochi – gastronomia – feste&sagre-altro
Feste e sagre. Infiorata del Corpus Domini (giugno; le strade vengono tappezzate di fiori che compongono vari quadri). Festa patronale di San Sisto II (6 agosto). Sagra del fallacciano (agosto; questa varietà locale del fico, viene proposta ai visitatori su fette di pane casareccio, accompagnato da prosciutto). Festa della Bisangra (dicembre, Sagra della Bruschetta all’olio d’oliva e del Cinghiale).
4.1 Canti
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
Una tiritera riferita da L. Pompili che i nonni recitavano ai nipotini:
Cento ciri ( o cerce*) Cento querce… 100
Cento ramora pe’ ciru (o cercia) Cento rami per quercia 10. 000
Cento neora pe’ ramu. Cento nidi per ramo 1.000.000
Cento cillitti pe’ nivu… Cento uccelli per nido 100.000.000
*Al nome Quercia o di Cerro, albero importante perché forniva ottimo legname e legna da ardere e non di rado raggiungeva imponenti dimensioni, Bellegra ha dedicato le contrade di Le Cerceta e Le Ceracchia. Il Comune a quest’ultima, ha dedicato ad memoriam una strada: via Ceracchia.
4.3 I giochi
Accanto ai giochi di una volta, quella della “Partita a carti”, rievocata nella poesia di Luigi Pompili, è una tradizione che resiste un po’ in tutti i paesi della Valle dell’Aniene, nelle varianti “a bestia (una specie di briscola abbreviata), briscola e scopone”, tressette, scopa, ecc. anche se non più accompagnato (se non in incontri tra vecchi amici) dalla una volta inevitabile passatella. Questa escludeva il perdente (che poteva solo mangiare…) lo metteva in un cantone e lo faceva ormo (olmo) rendendolo, cioè, ridicolo (non si può negare il vino ad un uomo). Spesso questa procedura, ritenuta fortemente lesiva dell’onore della persona, finiva in liti aspre e addirittura con… qualche luccichìo di lama di coltello.
Partita a carti
–“Tròvate all’osteria de Bocalone,
Ndò, massera ficimo ’na partitella”.
–“Chi ci sta Giggé?” – “Lallo Biastemella
Memmo Cicerchia e Betto Martellone.
Ha dittu ca vè Pippinu Pinghione.
Né ci mancarà ‘Ngelotto Frittella.”
–“Jé, passo a chiamà Quirinu Sfraggella.
Ma tu n’ te scordà d’Arcagnu ’e Zippone!”
– “Se gioca a bestia, briscola e scopone.”
– “Chi perde?” – “Offre de vinu na cupella,
tre soj de porchetta e n’ provolone.”
– “Chi venge?” – “Commanna la passatella:
leva chi ha perso, ju mette a ’n cantone
e glju fa ormo comme m’ Purginella.”
Cann’ero miccu / (mesà che ero ppiù riccu…) / facea la reccòta de tappi de buttija, / de fòje, / de carta de caramèlle / de scatole de lustru… // rompea le bbuttije de gazzosa / pe’ pijareme ju bbuccinu. // Da chiattareju / nne cosa era ’n-giocu… // ero contentu / de lu pocu che passea ju conventu.
4.4 La gastronomia
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
A Bellegra opera l’Associazione socioculturale Amici del Teatro “I Dialettali”, nata nel 1983 e che ha rappresentato “La socera” di Giggi Zanazzo, “N’Omo de Paese alla Capitale”, “La monella”, “Napoleone”, “L’ Avvocato”, “La tigna è una brutta bestia”, “Ju’ baliatu”, e “La vita del Beato Diego Oddi”.
6. I testi di poesia
Per Bellegra sono da segnalare sette poesie inedite di Luigi Pompili, trapiantato da lunghi anni a Milano, ma intriso di “bellegranità”, con frequenti ritorni nel paese natìo di cui conserva nitidi nella memoria gli aspetti più minuti della vita quotidiana di una volta, i paesaggi, gli usi, gli aromi, i sapori. Sia che si tratti di un dolcissimo fico fiorone (“Ju fallaccianu”: Criscitu, verde, co cae crepatura, / ju fallaccianu, che fa capoccella / tra le fronne e pischia dalla vocchella / mele, de tutti la gola cattura. (Gonfio, verde, con qualche screpolatura / il fiorone che fa capolino / tra le foglie e fa gocciare dalla boccuccia / miele seducendo tutti). Sia che si tratti del risveglio e dei preparativi di una giornata di lavoro in campagna:
Zi Remo se reviglia de bonora / ai briosi cchirulicchi de ’n cillittu / che prova j’orzomeglio daglju tittu. / Come spunta lo chiaru dell’aurora, // cala ’n cucina, appicca la cottora, / appicc’ j’ foco neglju camminittu, / mette ddu lena e resce aglju stazzittu / osserva nuvi, ventu e varda l’ora
(Zio Remo si risveglia di buonora / con i briosi vocalizzi d’un uccello / che esercita l’ugola sul tetto. / Come spunta il chiaro dell’aurora / scende in cucina, appende il paiolo, / accende il fuoco nel camino / pone la legna ed esce sul terrazzino / osserva le nuvole, il vento e guarda l’ora).
E, contemplata la nipotina bavosetta che nel sonno pare guardarlo e ridere (m’avocchia e rie), dopo una previsione del tempo che farà con la moglie (“Attento l’aria è nuvolosa, / vedo lampà”. – “Sì, ma senza ’n trono”, parte per i campi. Alle castagne (Le castegne) che hanno saziato la fame di generazioni di bellegrani è dedicato un commosso sonetto elogiativo:
Comme sacchitti de morbida pelle, / gunfi de perle de raru valore, / frutti de macchia d’intenso sapore, / so le castegne scardate novelle. // Ciàncica vallani e role a immelle / quannu fa friddu, te dao calore; / se repiglià vo’ più forte vigore / arùcica a ttempo ddu mosciarelle. // Vo’ fa bisboccia? Mbè, datte sta mossa: / va a caccià a beve, j’amici raduna. / Mitti aglju foco la lena più rossa, // fa le role e danne cento, non una! / Impi fugliette ca te dao la scossa! / Vinu e castegne, allegria e furtuna!
(Come sacchetti di morbida pelle / gonfi di perle di grande valore / frutti di bosco d’intenso sapore / sono le castagne appena tolte dai cardi. // Mastica castagne cotte e caldarroste a manciate / quando fa freddo, ti danno calore; / se devi riprendere le forze, / tieni in bocca e mangia lentamente un paio di mosciarelle. // Vuoi far bisboccia? e allora muoviti: / spilla il vino, chiama gli amici, / metti sul fuoco la legna più grossa, // cuoci le caldarroste, danne cento, non una! / Riempi i calici che danno la scossa! / Vino e castagne fanno allegria e dànno fortuna.)
Su Pompili si è anche soffermato Cosma Siani, nella sua relazione al Convegno del 21-22 febbraio 2010 ad Anticoli Corrado: “ (…) Pompili compone per sé, e si crea (e si gode) quadretti di vita del paese: il vecchio che si alza all’alba, accende il fuoco, esce fuori a guardare le nuvole e il vento; una scena autunnale di vendemmia ricca del relativo lessico (trovare le parole perdute è un altro aspetto del nostos); la partita a carte in cui il perdente viene “fatto olmo”, resta olmo, beffato; il freddo invernale che invita a starsene al calore del caminetto: ‘Me stongo allo callu e n’majo a nuvegli’. Scene comuni, prevedibili, in chi rievoca il paese; ma in questo caso anche gradevoli per la loro nitidezza.
Pompili accompagna i suoi sonetti dialettali con accurate traduzioni e con una cura particolare. Non usa un glossario in cui cercare le parole, ma una versione letterale subito dopo il testo. Questo è un altro aspetto che deriva, io credo, dal fatto di vivere lontano, fra parlanti dialetti e lingue diverse: il bisogno di farsi comprendere con la trasposizione italiana”.
Di Pompili, in antologia, sono inseriti due sonetti, che riproducono con nostalgia e commozione scenari ed emozioni dell’autunno e dell’inverno bellegrani.
Antologia
LUIGI POMPILI
Autunno
Sera. Avocchio, assettatu agli scalini,
la luce rosa suglju funnareglio
e sulle azzure uve deglju Tineglio.
È viligna e s’addannano i vicini:
chi j biunzi reùtica agli tini,
chi tresca, chi torchia e chi, a pisciareglio,
versa ju mustu neglju carateglio.
Revevo a capammonte i contadini
co’ ciligne, canistri e manicuti,
culimi d’uva, castegne, cipolle
e tanti fugni dai prufumi acuti.
S’acquatta ju sole reto aglju colle,
mille ali fao la danza de’ saluti.
N’fronte ju vento m’accarezza molle…
AUTUNNO – Sera. Contemplo seduto sugli scalini / la luce rosa sulla valletta / e sulle azzurre uve del Tineglio (contrada). / È la vendemmia e si affannano i vicini // chi versa le uve dai bigonci nei tini / chi pigia, chi torchia e chi, a mo’ di pisciarello, / versa il mosto nella botticella. / Salgono (verso il paese) i contadini // carichi di cesti, canestri e cestini / colmi d’uva, castagne e cipolle / e vari tipi di funghi dai profumi penetranti. // Si nasconde il sole dietro il colle / mille uccelli fanno la danza dei saluti. / Sulla fronte il vento molle mi accarezza…
Verno
Da nuvi scure su la Mentorella
scrizza ju sole e se ’mmischia alla strina
che te ggela l’ossa e ’mbianca de brina
Mora Valea, Frainale e Maniella.
Che friddu! Abbuticchiatu alla mantella
arrivo a casa e vajo alla cantina.
Arignatu, me rabbivo n’cucina
co lo moscatu della vutticella.
Cant’aglju foco, chella micca ’nzinu
mògliema che rescalla i frascaregli,
faccio ddu role, bevo n’ po’ de vinu
e mi ci aggusto n’ paru de frittegli.
Massera ’n me movo daglju camminu.
Me stongo allo callu e n’majo a nuvegli.
Se rescio fori casa vengo minu.
Chesso è nu ggelo che freca i poregli.
Brr! M’attacco aglju foco co’ n’ uncinu.
INVERNO – Da nubi scure sulla Mentorella / schizza il sole e si mescola alla tramontana / che ti gela le ossa e imbianca di brina / la Mora Valea, il Fraginale e la Maniella (contrade). // Che freddo! Avvolto alla mantella / arrivato a casa vado in cantina. / Morto di freddo risuscito in cucina / con un po’ di moscato di quello buono. // Vicino al fuoco con la piccola sulle ginocchia / mia moglie che riscalda la polenta nella padella / cuocio le caldarroste e bevo un po’ di vino // gustando pure un paio di frittelle. / Stasera non mi muovo dal camino. / Resto al caldo e non vado in nessun posto. // Se esco fuori casa cado svenuto. / Questo è un gelo che frega i poveracci. / Brr! mi lego al camino con un uncino.
Cenni biobibliografici
Bibliografia
Vincenzo Luciani, Dialetto e poesia nella Valle dell’Aniene, Roma, Ed. Cofine, 2008
Webgrafia