La voce poetica di Marzia Spinelli, limpida, inequivocabile e ferma, così come la conosciamo dalle raccolte e dai suoi testi in antologia pubblicati in precedenza, si conferma tale anche in Trincea di nuvole e d’ombre, volume pubblicato da Marco Saya nel 2019.
Marzia Spinelli non ha paura di scegliere la visuale scomoda e precaria, a proprio e altrui rischio, della trincea, metafora potentissima del nostro quotidiano proseguire una guerra logorante, di solo apparente avanzamento o arretramento di posizioni.
I suoi versi, sonora testimonianza storica, dolenti eppure esortanti – al restare umani – richiamano la forza di quella vicenda taciuta per tanto tempo e poi riportata al ricordo condiviso nel film di Christian Carion presentato a Cannes nel 2005: Joyeux Noël, la “tregua di Natale”.
Il film di Christian Carion racconta un episodio realmente avvenuto nel Natale 1914 sul fronte occidentale della Grande Guerra, e dalla Grande Guerra Marzia Spinelli trae l’immagine portante della trincea, della guerra di posizione. Dei poeti della Grande Guerra, innanzitutto di Ungaretti, ma non soltanto di lui, della “poesia in trincea” di Piero Jahier, di Luciano Folgore, di Corrado Alvaro, sono raccolte con cura e attenzione le testimonianze. Leggendo, immagino che ci siano anche loro, insieme a Wilfred Owen di Il sogno del soldato, a Kurd Adler di Contemplare, a Georg Trakl di Grodek, tra le «ombre» incontrate e rievocate in quest’opera: «Tornavano i volti dei vivi, la mappa dei macelli/ tra le rughe. S’allontana il fronte e la resa,/ dimentico il corpo all’angolo della Storia.// Così giovane e fiera e assurda la morte vera» (p. 31).
La restituzione di quelle testimonianze, il loro strapparle alla dimenticanza, avviene nella poesia di Marzia Spinelli, tuttavia, con una consapevolezza nuova, una consapevolezza che riguarda sia il vivere nella storia, sia la responsabilità della voce della poesia nella storia (“Vivere la storia, restituirla alla memoria”: vale ai miei occhi per Trincea di nuvole e d’ombre quello che scrissi per Tecniche di sopravvivenza per l’Occidente che affonda di Giovanna Frene, libro che accosto idealmente a questo di Marzia Spinelli); mi riferisco alla responsabilità del riconoscimento, da parte della poesia, di ciò che ritorna e di ciò che prosegue, di ciò che si manifesta con meccanismi e fenotipi in mutazione sostanziale oppure apparente. Una consapevolezza, dunque, che si è nutrita di letture molteplici; una coscienza nella storia che, nella sezione Trincea dei poeti, rende omaggio esplicito, tra gli altri, ai poeti russi, ad Amelia Rosselli, a Pasolini, e che resiste alla tentazione di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie dinanzi all’incalzare della cronaca che conferma, ogni giorno, la prosecuzione e la ‘tracimazione’ della guerra permanente.
Il riferimento a Tutti i giorni da Il tempo prorogato di Ingeborg Bachmann è, per Trincea di nuvole e d’ombre di Marzia Spinelli, doveroso, e Plinio Perilli, nell’ampia e appassionata prefazione, non manca di farvi riferimento, giacché «la guerra non è più dichiarata, ma proseguita» (Bachmann).
Eppure, nell’insieme, nella scansione e nella cadenza della raccolta, in ciascuna delle sette sezioni che la compongono, un principio sovraordinato, un punto di vista decisivo e privilegiato, guarda e guida lo sguardo, dirigendolo, con la consueta pacata fermezza, verso un momento preciso e inusitato: «Il dolore non è l’atomo/ in caduta, ma il secondo/ che precede,/ l’ora d’indicibile chiarezza» (p. 30).
L’attimo prima della deflagrazione, della rottura degli argini, della tempesta che travolge e scaraventa, diventa possibilità di illuminazione, di rivelazione. Allora la posizione della voce poetante è simile a quella che Maria Luisa Spaziani conferisce all’io lirico in La polena («Non si riposa il mare. E mi pretende vigile/ a contemplare quanto resta/ sul campo di battaglia. In prospettiva/ si inazzurra il passato. E benedico/ i miei e altrui peccati», Spaziani). Da quell’avamposto, ogni giorno, vestita l’armatura e indossato il copricapo, elmo di Scipio o casco che sia, la voce poetante procede e si pone quesiti, che riconosce, strada facendo, come domande condivise: «e mi chiedo dove sto andando, dove vanno/ tutti gli elementi, tutte le particelle della vestitura,/ granelli che frantumano sotto i ponti lungo fiume/ o fondigli a dissolversi in mare, a sfaldarsi in una risacca solo mia,// ma è di tutti la stessa domanda» (p. 35).
Come nel film di Christian Carion menzionato in apertura, la neve inaugura, con il silenzio, una tregua, una pausa dall’estenuante conflitto che rovescia un giorno dentro l’altro. La constatazione “C’è la neve”, titolo della poesia che inaugura la quinta sezione, Tregue, si fa occasione, invito a non sporcare la meraviglia: «Nel bianco deserto il silenzio, l’aurora/ innevata in segno di pace// bianca culla di luce/ già ti rincorre il pensiero// quale movimento, quale bolla invisibile/ a non inquinare l’incanto, come / attraversarla la bellezza, come sarà// la mattina in questa luce che non vuole/ fermate né calca, non vuole una corsa/ triste, non vuole morire» (p. 71).
Trincea, tregua, e si leva un canto, nonostante la «trincea dell’io». Si può tentare di dire allora, come scrive Marzia Spinelli in Tornando da Arezzo, la lunga poesia, quasi un poemetto, che apre la terza sezione, Periscopio delle nuvole: «Nessuno è lontano/ se la distanza è sillabata, mentre vanno in corsa le case,/ fulminea sintesi di colore/ come di una bellezza piena,/ incurante del Tempo». E resta, comunque, come testimonia la chiusa di questo stesso poemetto, la percezione acuta che di tregua soltanto si tratta, ché «non c’è pace laggiù oltre il mare».
Marzia Spinelli, Trincea di nuvole e d’ombre. Prefazione di Plinio Perilli, Marco Saya Edizioni 2019
© Anna Maria Curci
dalla sezione Trincea dell’ombra
Le ombre in trincea sotto nubi
dalle mutevoli forme: le guardano
a tratti, quale presagio di quel che accade
a terra
dove scorrono fiumi
e tutto sgorga dall’acqua,
dove colano scorie
ingannevoli anche del cielo.
Dove tutto stagna. Zampilla.
E passa.
Tracimiamo oggetti, carezze,
vènti che crediamo di definire
alla fine, penseremo
di aver potuto farne a meno.
Da Alpha ad Omega
tutto diviene,
s’abbraccia un momento
e già perduto.
Il dolore non è l’atomo
in caduta, ma il secondo
che precede,
l’ora d’indicibile chiarezza.
Tornavano i volti dei vivi, la mappa dei macelli
tra le rughe. S’allontanava il fronte e la resa,
dimentico il corpo all’angolo della Storia.
Così giovane e fiera e assurda la morte vera.
Andavano lungo lande sconosciute
del ritorno, anche per chi non sarebbe tornato,
a passi smarriti in un confine incustodito,
da una pena indicibile per sempre, via
da un presente dove straniero anche il pianto.
dalla sezione Periscopio delle nuvole
Tornando da Arezzo
Lascia la vista alla luce
estrema che abbandona
i paesi disabitati
alla discesa della sera.
Viaggia con me, forza contraria
e composta del treno in corsa.
Ora popoli il silenzio
nell’invisibile scompiglio
di pensieri interrotti, mezzo morti
a cadere nella rete comune
ne resta un abbozzo, un punto virgola
faccina, polvere d’idee aspirate dal cestino.
Più veloce del treno va il mondo
nuovo; batte le dita questa landa
di anime adoranti news
come oracoli. Nessuno è lontano
se la distanza è sillabata,
mentre vanno in corsa le case,
fulminea sintesi di colore
come d’una bellezza piena,
incurante del Tempo, superba
macchia che torna dei tuoi affreschi,
Piero – il pallido incarnato di donna,
la croce leggenda …
pianissimo sussurreranno,
quando sarò scesa da questo sogno
insonne, strattonata e assetata
nella fila d’ombre, qua nella folla
irrequieta diranno
ancora la quiete dei tetti e le vesti,
della battaglia il frastuono
dei loro venti la memoria
galleggia ancora
nella città in vicinanza: qua si combatte
da giorno a notte tra le rovine,
sui ponteggi, nei condomini,
di stanza in stanza, di tra le sedie
e le scrivanie, per ogni via
e non c’è pace laggiù oltre il mare
il nostro mare prossimo. Tornano i resti
le spoglie i brandelli alle acque di mezzo
di questo mare, nostro mare,
mantra che replica l’Apocalisse,
finisterre rotola in diretta.
La piena
Viene da un fiume
dalle secche spietate di una nuova era
la piena
dei tanti pressati alla ringhiera
a fissarne la tinta bruna
nel flutto che il traffico cavalca.
Là è una speranza fievole che sale,
declina nelle ore, segue l’altura
del mezzogiorno, vacilla
e si perde nel ritiro rubino del sole.
Teniamo i nostri chiodi solitari
la croce che unica pensiamo
navigando come alghe alla deriva
nel Mekong metropolitano
dove penzola plastica l’onda fitta dei rami,
inabili a dare nome alle cose,
connessi e disordinati,
tra le macchine e i ciclisti,
le gomme, i pedali,
i vecchi e le madri Courage coi loro carrelli …
Siamo voci di vento che ansima
tra le lingue nervose dei gabbiani
incuranti di qualunque diluvio.
Siamo corpi di foglie
incalzate dal fiato d’Autunno,
refolo e danza di nubi
dal rapido passo,
ombre cinesi scombinate
cui il sole fa la sua scena
di livida stella. Pare l’unico varco,
pare tutto un riparo
agli Achille piè veloce
prima che faccia buio
assediato di coltri il colonnato
su la pietà del marmo,
il giorno dimentico della notte.
dalla sezione Trincea della parola
La Poesia è un vento,
si spande sulla terra e la solleva.
Mette radici passo a passo.
E tra peso e aria
fingiamo l’eternità.
Marzia Spinelli è nata a Roma dove vive e lavora presso un Ente pubblico. È stata tra i fondatori e redattori della rivista Línfera, per la cui attività ha ricevuto il Premio Internazionale Spoleto Festival Art 2014, e nella redazione della rivista Fiori del male. In passato ha collaborato ad altre riviste di arte e letteratura, tra cui La bottega del restauro, Omero, Frontiera, supplemento a Gli immediati dintorni. È presente in varie antologie edite da Pagine, Lepisma, Aletti, Lietocolle, Empiria e nell’Archivio Storico, Evoluzione delle forme poetiche (1990-2012) a cura di Ninnj Stefano Busà e Antonio Spagnuolo; suoi testi poetici sono stati commentati su riviste di critica quali Puntoacapo, Studi cattolici, Noi donne. Alcuni sono stati tradotti e pubblicati nella rivista romena Conta. Ha curato rassegne di poesia presso la Federazione Unitaria Italiana Scrittori e presso il Comune di Roma. Ha pubblicato: Fare e disfare (LietoColle editore, 2009), Nelle tue stanze (Progetto Cultura editore, collana Le Gemme, 2012), nel 2014 l’e-book Nel cielo dell’altro un po’ più ampio (a cura di La Recherche, Poesia condivisa 2.0.).
Pubblicato il 19 febbraio 2020