La poesia di Vito Santoliquido

Profilo e scelta di testi a cura di Anna Maria Curci

 La rubrica Boschi lupi luci. Poeti dalla Basilicata su www.poetarum silvae trae la prima parte del suo nome dal titolo di una raccolta di poesie di Felice Di Nubila e si pone l’obiettivo di presentare voci poetiche dalla terra lucana. La seconda puntata è dedicata alla poesia di Vito Santoliquido, nato a Forenza, in provincia di Potenza.

«Aver riguardo per quell’apocrifo / dolore»: sta in questa esortazione la chiave di accesso alla poesia di Vito Santoliquido; da qui scaturisce, allo stesso tempo, la sorgente che ne illumina l’impervia bellezza. Sì, impervia, come i tornanti interminabili che occorre affrontare nel percorrere le strade della sua regione d’origine, la Basilicata. Come accade lì, anche qui ci si imbatte di rado in rettilinei e può capitare che il coraggioso inerpicarsi sia all’improvviso schiaffeggiato da uno scarno cartello che, registrando una frana che si manifesta come ineluttabile, precluda la possibilità di raggiungere la meta, almeno per la strada che ci eravamo ‘pianamente’ e prosaicamente prefigurati.  Anche qui, tuttavia, la sosta inattesa, spesso sul ciglio dell’orrido («Un estremo passo giù dalla scogliera»), dinanzi ai «funebri / barlumi», e il conseguente cambio obbligato di percorso possono riservare, e riservano, aperture altrimenti inaccessibili, visuali su colori nitidi, come forse conoscevamo soltanto dall’immaginario, dal sogno, da un’intuizione mescolata di slancio in avanti e nostalgia di un’era perduta. Sehnsucht, dunque, e il richiamo al fulcro del romanticismo tedesco e, in particolare, a Novalis che ne è suo sommo interprete non è casuale da parte mia: nei testi qui proposti anche la prosa, come inFossili, si illumina, trascolora e trasfigura per passare alla vita autentica, che si manifesta con la chiarezza e il nitore che le ‘usate cose’ hanno da tempo perduto. «Aver riguardo» vuol dire non solo porgere l’orecchio alla musica, semplice e ardua, palese e misteriosa, delle cose e dei luoghi («pollini d’argentini / arpeggi, d’intorno»; «lingue di lupo, rose-spine del / rovo»), ma anche ripercorrere, con la sollecitudine che sgorga da una familiarità scelta consapevolmente, forme, generi e voci di una tradizione poetica che parte da lontano e arriva fino ai tempi nostri, come evidenziano alcuni titoli – Madrigale privatoOttetto – e i tributi a poeti e poetiche, vivi e partecipati, manifesti, come per Montale e Bertolucci, ovvero intessuti nei versi, in un gioco di rimandi a figure, armonie e citazioni rivisitate e rinnovate.  Chi legge e ascolta, sa che l’esplorazione del nascosto, la ricerca nell’apocrifo daranno frutti.

© Anna Maria Curci
Acquaforte
Questi passi lunghi lenti passi tuoi

a misurare l’estate, a battere

le pulsazioni del cuore – gli alluvioni

il vento la cocciniglia quel

cerchio di fuoco

nel vespro

ad anello del mare – persiane

d’ombra le tue

dita. Non

un’orma

sulla fanghiglia dei cento

autunni fa. Eppure tu

sei qui (e l’anima mi si stilla in gocce di nubi

grigio-azzurre, che

me le bevo

con le pupille). Schiudi lente le labbra: il corpo si svela

– sembra smaltato

alabastro

acquaforte (vedi le macchie, le luci-colori calcate

sulla pelle

assiderata, dalla gabbietta d’ossa vedi

che tralucono le lanterne

crepuscolari: le

lucciole). Osservo intanto

questo corpo

questo corpo mio assopito

tronco che lo sfogliano

i licheni nevosamente sfacendosi di funghi

e rugiada se ne sta

disteso in un campo d’ondeggianti ricci nocciola e

pietre

di cielo.
Anatomie del buio
1
«Vengo a liberarti dal buio…»

(Tu non sai di essere la densa

oscurità, quell’angelo con l’ali

di vetro, sulfureo smeriglio)
2
Vedi l’oro incendiarsi

al vespero, che tu immagini

dal celeste in sfacelo

sgorghi resina e rubini, e
carbonizzandosi di poi

ci seppellisca, non prima che per un

improvviso incanto

inazzurrandoci, girasoli in altre
plaghe di lucido

ebano, petrolio palpitante
3
Mi baciassero pure streghe

sulle palpebre algenti

.                                      − arido, qui

nel brumoso borro insonni

incarnazioni si sospira

in gotiche fissità e devastazioni

sbigottite anime, l’ascolti?

.                                               Imperscrutabile

lucifero, aligero transiti

in spirali d’incenso

frusciandomi tuoi funebri

barlumi per le vene della notte,

aprendosi la cruna-

abisso e giù nel mestissimo

vuoto precipitandomi

la tua cura

.                   chimerica −
4
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . poi che contemplo nei palmi fatti diafani si avvicenderanno cieli satelliti nuvole in fuga diramanti risfolgoranti asfalti plumbeo-umidi di pioggia, sì come in ossari in santuari in maestose brulicanti brughiere che furono già psichicamente, le ustioni silenziose di una prossima glaciazione, le bizzarre stratificazioni di una remota era geologica, e sarà il perlaceo della fronte troppo fragile spazzato dal monsone, turgido cupo, e poi gli amari meccanismi al mattino del fantasma, barbagli d’albe care, gl’irrequieti lemuri del tuo lare, incerti miracolosi Orienti di cherubini, e si udranno la luce in arabeschi lenti verdissimi millimetri di muschio, le mortificazioni viola del crepuscolo, in un metamorficamente fiorire-sfiorire di larve . . . . . . . .
5
(Dal cielo-stagno

fosforico batticuore:

monotono scolo

d’allume, rame, bitume…)
*
Che siano i lieti allucinanti

purgatori, m’inghiottano

nei loro traumi di mesmerici

ronzii, di pullulanti

fuochi in novembre, e nevi, e

mentre ancora come nell’incubo

sprofondandomi già
Scheletri di plasma nebulose le

luminosissime scaturigini dell’universo
6
E trascolorano le tinte;

vibrano impazzite

in pollini d’argentini

arpeggi, d’intorno
.                                (come fulgidamente

c’inondarono e fluide

teneramente mi rivestono

le polveri del giorno,

d’assopite nubecola

falene, così che cinereo

invanisco invisibile

bozzolo)
7
.          Come sconquassa

l’accartocciata reliquia di vita:

così nel petto la sanguinante

ruggine rosa abbuiandosi sgrana

delira, rosa nell’oro vermiglia
(schiara il gheriglio dei petali-

bocche in cui riposa un serafino

della tenebra oleosa

che la pelle va screpolando)
8
Intorno al cor mi son venuti

amore e il nulla con la fioca

solitudine: la mia stralunata

ridevole masnada Hellequin.
Arbusti, sale
e se t’asciughi al sole

sempre ti resta un po’

di vento fra i capelli.
Carbonizzare come bronco
Queste stelle che brucano il viola, e la luna

fruga nella stanza. Sbucano masse illuminate: i nostri corpi,

foglie ardenti imperlate, tra bocche questo

appiccicarsi tremolii di ti-amo − fari d’auto, occhi

lucenti di civetta.
(Ma questo senso del disastro, è sempre spettro, è

il morso – lingue di lupo, rose-spine del

rovo. Quest’affetto mai così vicino, questo me così da uccidere,

fare a pezzi, carbonizzare come

bronco).
Cetacea
Un estremo passo giù dalla scogliera

− Per odio − O

per dolcezza di cadere

− Forse uno stridente stormo d’aligeri

demoni − La tua mano chiara

e cara − Mi recupera lesto dal gorgo − Lasciami

sul fondo…
Tra lo sciabordare

attorto

di muscose catene e filamenti elegiaci di canti

sommersi − Magari riscopro −

Fumoso enigma d’un male mordace

− Anima

audace d’evanescente cetaceo.
.Débbio
Brulichìo d’albóre

àlido, sfogandosi fuoco

al confine − lontano

pandemonio (è un fruscìo

cinereo, come di falene…)

− fermo, assorto

in questo mio utero

d’oscurità
.                 (pànico

lucido nel sonno nero).
Forse anche noi come le cose scure
− Scortica gratta il marmo candido

della pelle, così netto

affondo nel nero fino alla calda

pasta di tenebra, vedi che affiora

luminoso blunotte, che

nube di bitume s’aggruma e sotto

la brulla crosta di perlacei

baluginii lune

che i miei avidi occhi si mangiano come

le alghe la luce
Tu mi dici parole

di stagno, le ricopro d’un

sonno rotondo io

me l’arrotolo nella

lingua

un sogno d’ambra
− Non ho paura dell’ombra

che avvena le mani, di respirare in gola

al buio immobili sotto

alle coperte, questo paradiso

in letargo che sono le cose di qua dal velo,

le cose che nel nostro (malchiuso…)

guscio-galassia velluto

perdono la forma, dimenticano

il nome loro

vero (se mai ne hanno uno).
*
(Forse anche noi come le cose

scure, come gli spettri…)
Stiamo come immersi in un’acqua

scura, proibita
.                            anima mia
− isolotti smarriti nel pacifico

scancellato, relitti viridescenti nell’abisso

di fluttuante

.                       vita
*
Come fari allora nel vespro

fiammante scrutiamo i silenzi

del cielo per trovarci soltanto

un’eternità dopo

l’altra.
Fossili
Il giorno si denuda della luce. Un milione di supernove rosso decrepito brucano la notte. Ci osservano distanti — noi così lontani da casa — intridendo carni e incubi di materia planetaria. Non vi è aria, né pioggia o bufera, ma atmosfera diafana fonda. C’è un silenzio spesso: col corpo ne fendiamo le trasparenze colorate di cattedrale. Cento streghe (portano candele e magnolie fra i capelli mogano) rintoccano l’occasione del nostro incontro, tra luminescenze d’ambra e fiorami di falene ischeletrite. Gli occhi chiusi, le mani masticano il vuoto: ombre, ciondoliamo: due sonnambuli. Dentro il bosco inanimato questo fiume gettato tra me e te: questo fiume mitologico lungo una vita, che come l’acqua corre, in un sogno. Sostiamo a riva (un sentiero si perde tra quei funghi melliflui, lì in basso, alle radici di questo buio osceno…). Sciamano saette d’intuizioni in preda a una follia metafisica. Solo: ci guardiamo, normalmente. Assistiamo alla prosopopea del dubbio. La mistificazione di pulsazioni assiderate ci ottunde. Basterebbe invece sbrinarci. Sgrondare fantasmi. Fluttuare: ninfee bianche sulla massa di vetro. Con delicatezza, sfiorarci. Soltanto, più niente. Paradossi cortesi, però, ci compitiamo, sfoggiando serenità nodose, spade di seta, sguardi d’acciaio. E l’inverno è prossimo.
La casa dei fantasmi
Tre piccoli diavoli mi mettono il mare nel cranio, e soffiano

sonno sulle ciglia. Mi germoglia un nero arabesco sul collo: noir come

tutto oggi l’anima il cielo

gli uccelli, ma non Tu-amore, per quanto io cammini

l’universo cieco. (È il rumore dell’invisibile –

i capelli elettrici si divaricano, nella casa le cose si

spostano da sole – e la coclea è un

labirinto

che al

riverbero

si

dilata)
*
Sto seduto in mezzo a una sala d’attesa bianca e semi-

deserta; parlo con qualcosa che non mi capisce. (Si farnetica

come fuori dal mondo

o

in società)
Le Fate
C’erano Fate a perdita d’occhio, un

campo, sedute compite, come

in chiesa, intente all’ascolto di non so che commediola

segreta – cose dell’altro

mondo, penso tra me… Poi una che

si alza, tutta barbuta, forse

una vecchia madre, mi regala

un pupazzetto portafortuna e verdi

guerrieri in miniatura coi

capelli di fuoco e alghe

viscose – oscure bambole vudù, forse,

non saprei… – Guarda

in alto! – Draghi cremisi fanno

il cerchio, le unghie sintetiche,

la fame scheletrica (una

cagna ringhiosa balza dal buio

e ammazza mio

fratello: ho implorato

– vile – fossi inghiottito, sparisse dal mio

costato anche la vita
.Madrigale privato
[…] è ancora

tua vita, sangue tuo nelle mie vene. (Eugenio Montale)
 
Sospiroso immelanconito amore −

ci fu il tempo di un voto,

cuor-di-smeriglio, a strapiombo sull’acqua

informe scura (ed erano i giorni

l’ore ceneri di futuro), non lo sai, forse.
Non era quel giuramento di bava

e mercurio alla burrasca allora

un fiammifero, se ora

sul tuo petto poso − i tuoi occhi

nocciòla, dove annuvola
ancestrale dea malinconia −, e

ascolto un tuo scosceso

battito, risuonandoti un cuore

di fauno (mai così tetra San

Marco, come stasera) a un canto: «Edelweiss»
(dolcissimamente interdetto

fatto −— smarrito il sangue in un pànico,

breve).
Mélo
…e c’è

come rimbombo di tempesta

.      la città trasparente, il vento spazza

. strami d’oro-azzurro, gonfiandosi

.                  a est una plaga di magnesio

da aver riguardo per quell’apocrifo

dolore, quel germinale

grumo d’inquietudini-carni «Migra vai

piume scalze in Irlanda,

va’ a danzare

con furia per radure di ghiaccio,

fin che nel bosco

sfogliandosi la pelle

(madida, cerea)

in preziose

scaglie di serpente non sarai

selvatico in volto

dolce d’erba nel sole al suo calare

.   − E i ricordi

i perduti (credi, ne avrà ogni volta

nostalgia la tua spoglia umana),

quelli

ti rimpolpano fanno interferenza

col presente, ti fiutano

con la devozione dei lupi al mattino,

falci di mantide (sono, forse,

tra i più sofisticati

demoni della noia, le facce-

licheni di Siberia mani

dure di betulla)», immagina, come

se trasalissi di spavento

nell’arnia molle della casa quando

fuori è nero e l’altre ombre

dormono; stralunato

languore

di un’upupa barocca,

poi che le radici

brune intorte non si staccano

dalla calce dei giorni

uguali

diorama d’orchi e fauni

spettrale wayang kulit dei tuoi lari.

E si dà la colpa al tempo. «Non puoi,

angelo, sempre salvarmi dal buio»
Ma ecco, poi me lo imparo,

ancora, che

sei tu, sei tu la cellula

di luce il favo d’oro, e allora noi

terrestri, noi falene

di fuoco bruciamo e divorïamo le tenebre,

guardaci,

in preda a una gioia

.            preistorici.
.Ottetto
[…] lasciando

avverarsi senza resistenza il dominio

del nero (Attilio Bertolucci)
 
… e ormai ti sembrerà normale,

che indelebile una nube nera

si stampi sul tuo espero di miele

− indecifrabile zona annerata
del cuore (spariscono le anitre

selvatiche se s’avventurano

nel denso fumo − incarboniscono,

vedi nella luce incendïate elitre)
Sciamano silfidi
Ripullulando il buio, tarlano

monti boschi dormienti

pance di sonno (oh!, la malia

del sonno, sogno poco:

fughe brevi, verdi esclamazioni

di vita…), più di tutto

sfiocano i volti (ma il tuo,

mia gioia di fuoco, perdura

luminosissimo); e m’oscuro

più non parlo la lingua

umana, così umanamente

bruma, bufera −

sogno ultravioletto

discanto.

.                Sciamano

silfidi: è muschio che a scaglie

mi macula l’epidermide

cerea − aliena, fossile di serpente.
————————————————————————
Originario di Forenza (PZ), dove tuttora vive la sua famiglia, Vito Santoliquido è nato il 26 dicembre 1989. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Filologia moderna presso l’Univeristà “Ca’ Foscari” Venezia (ottobre 2014): area d’elezione le letterature medievali romanze.

Alcune sue poesie sono uscite per Magi Editore, altre sono state accolte a suo tempo dalla stessa redazione di “Poetarum Silva”.

Cura la rubrica di poesia inedita per la rivista di libera cultura “deSidera”. Gestisce un blog personale, guidato dall’idea di associare liriche e immagini: lesommeilinterrompu.wordpress.com.