Vi porto via di Luigi Carotenuto

Recensione di Maria Gabriella Canfarelli
Con versi densi, compatti, talvolta brevi, Luigi Carotenuto con la silloge Vi porto via ci conduce verso quella verità che è necessario conoscere per non precipitare nell’indifferenza, nella superficialità di parole e gesti, comportamenti narcisistici, egoismi individuali e collettivi; poesia etica, dunque, educativa, tenera e aspra, con guizzi ironici, e un fondo di malinconia misto alla speranza, quest’ultima affidata all’uomo futuro, appena nato o che nascerà. Vi porto via, raccolta poetica di sorprendente freschezza, ricca di immagini e suoni, è stilisticamente composita (gli incipit enfatico-lirici cedono il passo a toni caustici, versi liberi alternati a versi in rima), ma unitaria dal punto di vista tematico. Mali antichi e comportamenti quotidiani sono stigmatizzati da una scrittura maturata nel campo dell’esperienza diretta, sorretta da una intelligenza che abbraccia e cuore e mente. Ha scritto la poetessa Eeva Liisa Manner che ‘la poesia è un’eco che si ascolta quando/la vita è muta’; ma in profondità non si respira/la superficie è più sicura/in fondo servi il dio del momento/da che mondo è mondo/sposa di mammona/quanto trucco bisogna scavare/per rinvenirti bambina?
 
Il poeta recupera vocaboli aulici(aere, effigie, sembiante, vagheggiare, scaturigine, virgineo, secreto, ascoso, palpitio, taciti, rimirare, langue)- scelta ludica e seria al contempo, per sollecitare il confronto con le scarne quotidiane modalità espressive dei nostri tempi, attinte dal web e derivati (twitter, facebook, chat, ‘messaggini’ che suppliscono alla presenza del corpo, di voce, respiro). Velocità e superficie ben si prestano a quell’imperativo categorico che è ’apparire’, ma si tratta di Volti dispersi/brancolo cercandovi /qualcosa potreste darmi immagino/fiori stinti/(…)/La vostra essenza/se ancora ha un alito/dove riposa? E a cosa servono gli occhi se non per guardarsi l’un l’altro? Se sono occhi ignoranti/di rami spezzati/(…)/non cercano altro/d’un niente perfetto/lo specchio narciso/senza difetto, senell’agorà virtuale non c’è spazio per le emozioni reali, se con un click si può dare e ricevere amicizia, senza necessità di contatto e confronto, senza fatica e impegno relazionale, perché Schermo a schermo appiccicati/la solitudine non ha più radici/(…)/ Dio, il partito, la rivoluzione/il sesso, l’amore la distrazione/tutto a portata di dito./E l’infinito?
 
Navigare, si sa, è stare in superficie; e i sentimenti sono liquidi, dice il sociologo Bauman. E la vita, le sue implicazioni, rischi, il coinvolgimento emotivo, razionale e senziente? Eccola, ne I resti del mercato, ridotta a merce, valutata/svalutata, titolo che va su e giù; e c’è chi compra e chi vende, chi la svende in nome dell’effimero o del profitto; o la spazza via, la dissolve per mano di prodighi spazzini/s’inabissa il mercato(…)/leviatano addomesticato /(…)/eco insoluta/(vita ceduta alla valuta). Ci si aggrappa alla speranza di ritrovare/rinnovare la coscienza degli uomini, ma la stupenda preghiera laica del poeta incontra il silenzio di Dio: non c’è risposta nel soffio/nessun sussurro d’avvento; il soffio, l’ipostasi divina che in un distico bellissimo è severo illuminante monito: Siepe folta spinosa folla d’uomini assetati di miracoli/chi mi ama non mi segua non eriga alcuna chiesa.
 
Terra desolata di eliotiana memoria. In altre poesie prevale lo sdegno per chi sulla pelle della terra specula, togliendo spazio e vita alla natura: Avidi/potreste lucrare nell’aere/edificare nuove Sodome Gomorre/se solo aveste/l’immunità celeste; o nella poesia d’eco leopardiana, Corteggio il mare/in un giro di pupille e d’infinito/(…)/la luna esita/pigramente si accomoda in cielo…/ Torre è il risultato/di un sogno lontano cancellato/da mezzo chilo di cemento armato. Un’altra eco, cattafiana, in una poesia dedicata a un oggetto, accessorio multifunzione, sorta di feticcio- conforto del nostro sonno. Dormono le nostre cellule –ma il cellulare è a portata di mano, si tiene stretto/mettilo sul comodino/ti veglierà la notte/col suo fiocco fluorescente/Immaginalo/(…)innaffiato col pensiero di continuo/vive dell’ossigeno della tua mente.
 
La verità della nostra insipienza tenuta in loculi innocui/i vivi celebrano i morti/(si credono abitanti/e sono gli ospiti) non è tutta qui, non soltanto nella rimozione del sentimento della morte; tutto è dimenticato, gli orrori, le tragedie, il dolore; cancellata la compassione, metabolizzato l’evento tragico, banalizzato, digerito come un pasto: Sazieranno il ventre/i testimoni del tuo volo a picco/loro non l’avrebbero mai fatto/accomodati sul divanoletto/vivendo a freddo/il tuo ultimo atto. Cosa e chi ci salverà, forse la musica, o forse l’eco di questa: Mi salverà Schubert / (…) /arriverà come un nepente/la sua musica innocente/Pietà di Schubert/dei suoi violini ardenti/scolpita sul pentagramma celeste/(ad libitum). Ci salverà dall’umana adulta indifferenza lo stupore dei bambini, l’umanità inedita che irrompe sul resto del mondo e quella miniatura di dito che punta alla luna?
Luigi Carotenuto, Vi porto via, Prova d’Autore, 2011 
 
Maria Gabriella Canfarelli
 

Luigi Carotenuto è nato nel 1981 a Giarre(Catania). Educatore, ha lavorato nell’ambito socio-pedagogico. Si occupa di critica letteraria per il periodico culturale l’EstroVerso (www.lestroverso.it) e con la rivista CriticaMente. Ha pubblicato la silloge L’amico di famiglia (edizioni Prova d’Autore, 2008)