ROCCA CANTERANO (745 m slm – 213 ab., detti Roccatani o Roccacanteranesi – 15,79 Kmq). Arroccato su una rupe del Monte Costasole, che fa parte dei monti Ruffi, vicino alla confluenza del Carpine nell’Aniene.
Dialetto di ROCCA CANTERANO
Nella Premessa al libro Na rattattuglia di Dari-Cimaglia:
“Il nostro dialetto sta scomparendo, pochissimi lo parlano in maniera corretta, gli anziani, i testimoni di quest’immenso e prezioso patrimonio, sono scomparsi quasi tutti (nel 2003 – annotano gli autori – è scomparsa Ludovica Montanari, detta Luduminia e sono rimaste solo Maria Leggeri e Angela Colecchia, detta Ngilina, forse le ultime a parlare il dialetto puro, che hanno contribuito alla compilazione del glossario e alla raccolta di proverbi), ecco quindi la necessità di trascriverlo, salvaguardando una piccola parte della nostra cultura popolare mantenendo vive le piccole storie ordinarie, perché sul grande palcoscenico della Storia anche le banalità quotidiane hanno avuto la loro parte e non vanno dimenticate. (…) I due paesi [Rocca Canterano e la sua frazione Rocca di Mezzo] hanno un sostrato linguistico comune con gli altri dialetti dell’Alta Valle dell’Aniene con i quali condividono termini molto simili o addirittura uguali”.
Nel linguaggio usuale Rocca Canterano è detta la Rocca e Rocca di Mezzo Rocchemesu, mentre gli abitanti Roccatani o Roccamesani.
1. I vocabolari e le grammatiche
In Na rattattuglia di Michele Dari e Maria Pia Cimaglia alle “Strutture grammaticali del dialetto” è dedicato il primo capitolo. In esso si premette che Rocca Canterano e Rocca di Mezzo (che distano tra di loro appena 800 metri) hanno unito le loro due comunità in un unico Comune il 15.1-1757. Nel corso degli anni hanno quindi sviluppato un unico dialetto, anche se alcuni termini si diversificano nelle consonanti, vocali e cadenze e quindi capita che lo stesso vocabolo sia esso nome, aggettivo o avverbio, a seconda che parli un Roccatano o un Roccamesano: si dirà: i valle – i jalle (il gallo); i vattu – i iattu (il gatto); sulu – solu (solo); cucì – cusì (così). Per quanto concerne la fonetica gli autori segnalano che il suono gutturale di alcune parole: so’ ghitu (sono andato), al presente diventa dolce jamo-jate (andiamo, andate). Nella parte dedicata alla Morfologia si ricorda che l’articolo gliu lo si trova davanti ai pronomi possessivi: è glju meiu, teju, seju (è il mio, tuo, suo); nelle preposizioni semplici “su” è: ncima nella dizione roccatana e ngima in quella roccamesana; negli avverbi di luogo, ecchi è qui, qua; loco: lì, là; abballe: giù; ecchi abballe (quaggiù); loco abballe: laggiù; tra quelli di modo segnaliamo: furuni furuni (furtivamente), cólle fregne ncapu (superbamente), sta a puche ritte (inorgoglito), a trippa sottu (bocconi); mentre “in questo modo” si dice accusì/cusì a Rocca Canterano e accucucì/cucì a Rocca di Mezzo.
Chiude il volume citato un Glossario in cui i termini diversi in uso a Rocca di Mezzo sono indicati con la sigla RdM; Da esso preleviamo i termini: abéènte (RdM: abbedente: bidente, zappa con due punte); alluzzatu (chi desidera ardentemente il verificarsi di una situazione a lui favorevole ed è pronto a coglierla al volo); appetecà (RdM: percorrere un’area in salita), aratru (aratro; componenti dell’aratro: imera, ceppu jatru, ceppu, covacchia, nervu, ura, cavicchia); bobbo (figura fantastica per impaurire i bambini), caccica (un po’; tinissi caccica e pa’?), cannavina (RdM, pezzo di terreno adibito alla coltivazione della canapa), capuotà (capovolgere), capuscale (pianerottolo), caruchielle, carichielle (qualcun altro, qualcun’altra), caùta (apertura quadrata max cm 15×15 in basso alle porte di casa o delle stalle, per consentire ai gatti e/o alle galline di entrare e uscire a piacimento. La sera si chiudeva con una pietra o altro per impedire l’ingresso di animali notturni), chiou (chiodo; pl. chioi a RdM chiovu e chiovi), ciucciulapenta (lucciola), frocella (RdM, piccolo cestino di vimini per mettere la ricotta), jalle (a RdM, gallo), lamatura (frana), lèstra (tappeto di paglia o altro per le bestie. Figurativo, anche per case disordinate), loncestra (lucertola), nganà, naganatu/a (rimproverare aspramente; rimproverato, rimprovero; je dette na nganata), nganna (la gola, in gola), noelle (nessuna parte riferito a luoghi; no vaglio a noelle: non vado da nessuna parte), nvade da, a RdM: nvede da (non vi dovete), oremella (insieme di voci, vociare), ramazzola, anche rapazzola (specie di letto da campagna fatto su quattro forcine piantate per terra con bastoni sopra, tavole e paglia per riposare o addirittura dormire quando si rimaneva in campagna), rattattuglia (insieme di cose varie senza un criterio preciso, miscuglio), reocià/revocià (spalancare gli occhi per la meraviglia, per la sorpresa), retranca (fascia di cuoio per tenere fermo il busto sulla parte posteriore dell’asino), retrangà (temporeggiare, perdere tempo), rótu (cerchio di persone per conversare, di solito attorno al focolare: amo fattu i rotu), saprecone, a RdM, sapricone (sapientone), sbuturrià (srotolare; in senso fig. riferito a persone lente nelle loro faccende che non sanno districarsi: n’ se sbuturrìanu), scaglione (dente del giudizio; ha rimissu u scaglione, come dire: sei tornato giovane), siu (grasso di pecora; sciolto con il calore si usava per ungere la pelle degli scarponi onde proteggerli e mantenerli, oppure per ungere i cartuni per curare la bronchite), soprazzigliu (malleolo, detto anche j’ossu pazzigliu o mazzigliu), spatorcia (tavola rotonda con impugnatura corta usata in cucina per capovolgere la pizza di farina cotta sulla brace), stuà (cambiare d’abbigliamento; me dongo na stuata: mi cambio), tangani (fette di pane o companatico tagliate molto spesse; adda tangani che si tagliati: che fette spesse che hai tagliato!), utu (gomito); vavu (corridoio stretto della mandria, dove venivano fatte passare le pecore per la mungitura), zerlenghe (piccole strisce di stoffa; te faccio a zerlenghe: ti riduco a strisce), zicchià (schizzare), zoe (anelli di cuoio dove si agganciava la cavicchia dell’aratro al giogo).
2. I proverbi e i modi di dire
In Na rattattuglia di Michele Dari e Maria Pia Cimaglia tra le locuzioni idiomatiche vengono segnalate: O pe’ riffe o pe’ raffe (in qualsiasi modo), o snì o snà (sì o no), che va ntrussenno? (che vai girando a vuoto?), me sta a bullì nganna (desiderare ardentemente qualcosa), mozzacoa mozzacoa (tutto mortificato), me tt’appicco a l’alema! (ti uccido e faccio peccato mortale), n’ zia pe commannu (non ritenerlo un ordine), e chi ce l’appò co’ te! (nessuno riesce a sopraffarti), na bella fatta (una bella quantità), n’arietta e focu (un po’ di fuoco).
Tra i proverbi dallo stesso volume scegliamo: Anni e picchieri e vinu n’ se contanu; Stóngo cógli frati e zappo j’ortu (non prendere iniziative ma adeguarsi alla volontà del gruppo); Trova o mullu e ce ficca i zippu (quando ci si approfitta di persone deboli o arrendevoli); I fume va aglj begli e aglj jottaregli (il fumo va verso i belli e i ghiottoni); Donne e focu vau tuzzicate ugni pocu; chi cettu nasce, cettu pasce (chi nasce prima, cresce prima); Quanno rdiavuru teiu jea alla scola, i meiu già revenea (per ammonire chi crede di essere più svelto e più furbo); Se n’ esce i screpante ella Rocca no’ lenda e piove (se non si porta in processione San Michele, non finisce la stagione piovosa).
Dal capitolo dedicato ai Mottetti spigoliamo: Maritate maritate alla Rocca, / te magni n’accidente che te spacca (detto dagli agostani per scoraggiare le loro compaesane a prendere marito a Rocca Canterano); Alla Rocca cólla mutinella, / all’Austa cólla canestrella; Alla Rocchemesu quattro casi e rdiaru mmezzu; Fiocca fiocca abballe pélla Rocca / moglie e maritu se rappallocca; Mancanu i prisutti, no j’angini (si dice quando si hanno sempre scuse pronte per giustificarsi).
3. I toponimi e i soprannomi
In Na rattattuglia di Michele Dari e Maria Pia Cimaglia molti sono i toponimi citati, a partire da quelli che segnano i confini del comune: I territoriu ella Rocca e Rocchemesu è ranne; a Sarrucchittu cunfina co’ Cantoranu, a Valle Cai co’ Rocca Se Stefanu, a Colleferia co’ Geranu, a Costasole co’ Cirritu, alla Crocetta co’ Saraciniscu e Anticuri, alla Casa eglju Colle co’ Maranu e allo piano de qua a fiume, coll’Austa. Da Costasole, la sua cima più alta, passando per la Cerasola, i Scrimone, Vallefria, a Retommella, i Fau, arriva fino allo piano ell’Austa (Agosta).
I rioni di Rocca Canterano sono: Porta Parata, Piazza di Corte, Porta e Croce-Manuccia, O Sale, A Morra ella Catena, Gl’Ortigliu, I Giardini, I Montecottu, I Furnu, Scanzano-Cappellaccio.
Il Santo patrono a Rocca Canterano è Sa Micchele, dittu i Screpante (cioè: persona piccola di corporatura, ma piena di orgoglio, coraggio, ardimento). A Rocca di Mezzo la protettrice è a Matalena che si festeggia il 22 luglio, durante la mietitura, così nonostante la festa, l’amatina subitu se jea fòre a fa a mmatinata a mète e po’ se revenea a messa e se ficea a pricissione.
Nel capitolo dedicato ai Personaggi locali sono indicati i soprannomi (tutti gli abitanti ne avevano uno che spesso veniva affibbiato da autentici specialisti della materia: i marachellisti). Eccone alcuni di Rocca C.: Bacarozzo, Buzzicu, Coccia d’argentu, Fuzzirichèo, Jù Betonne Benedicere, Pallinere (Luigi Cerini, uno stornellatore d’eccezione), Vinticinque e pochi altri di Rocca di Mezzo: Bricattèra, Ngollatigliu.
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi- gastronomia- feste&sagre-altro
4.1 Canti
In Dari-Cimaglia: Luisetta ficea i sacchi e gli jea a venne alla fiera de Santa Natoglia, i frategliu allora jé cantea na canzonetta: addà, addà Santa Natoglia / addà, addà quella benedetta / addà fà venne tutti i saccacci / addà, addà a sorema Luisetta.
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
Un breve filastrocca: Coccia pelata senza capigli, / tutta la notte ce cantanu i rigli / e ce casca la gelata, / viva viva coccia pelata.
Alcuni indovinelli:
Qual è quiglju animale che la mmatina cammìna co’ quattro zambi a mizzugiornu co’ doa e la sera co’ tre? (L’uomo: bambino, adulto, vecchio).
Doa pungenti, doa lucenti, / quattro zoccoli e na scopa. / Nenè, nenè, nduina se che è? (Il bue).
Tengo na cosa / retranghe e retrosa, / e cianghe de legno / e la trippa pelosa. / Nenè nenè, nduina se che è? (la sedia).
Pinnicuru, pinnicuru pennea, / durmicuru, durmicuru dormea, / casca pennicuru sopre a durmicuru / se riviglia durmicuru / e se magna pinnicuru. / Nenè nenè, nduina se che è? (la ghianda e il maiale).
Tengo un purchittu / attaccatu a un passitu, / né magna, né beie, / ma cresce a potere. / Nenè nenè, nduina se che è? (la zucca).
Tra le esclamazioni di rabbia malevola roccatane elencate da Dari-Cimaglia segnaliamo: te pozzi scrià (che tu possa sparire) oppure crepà, piglià un cancaru oppure ancora: te pozzi sprofonnà, piglià un corbu siccu, vastà, arrancà; te pozzanu scaporà, scannuccià; te se pozza fa na pipita (anomalia sul becco dei polli che ne impedisce l’emissione del verso e rende difficoltoso il beccare).
Comandi rivolti agli animali. Per asini, muli, cavalli e buoi: Aahh (per camminare), lee (per fermare), azapè (per alzare il piede), arretuquà (per indietreggiare), Arriquà (per cambiare direzione). Per scacciare alcuni animali: frustavia (per i gatti), passivia (per i cani), sciò sciò (per le galline).
4.3 I giochi
Nel capitolo “Finalmente si gioca” del libro di Dari-Cimaglia vengono descritti sia i giochi di bambini e ragazzi (Barba Girolamo/papà Girolamo, Sorgetto, Lippa, Castillittu/Castelletta, Tingolo, Topa topa, Cavagliu lungu, Morrone, Sottomuro, Salta la quaglia, Papocchio, Gioco a pèè, Sega sega, Asinu agliò, Pizzica mognegliu) che i giochi degli adulti (Morra – Carechè – La passatella)
4.4 la gastronomia
La conserva un tempo si faceva a mano. Una volta tagliati e bolliti i pomodori, se passeanu aglju sotacciu, fino a spremere tutta la polpa che veniva poi distesa sulle scife di legno, poi se porteanu aglju sole pe’ tre giorni, pe’ falla assuccà be’; ce lassèmo e vecchie e le varzette a stagghie attentu pélle mosche e péglju ventu, ma ce sse sa, e varzette se metteanu a razzà e le vecchie a pettegolà e la conserva se lla scordeanu, ma, tantu a zozzaria e prima nficea male, mica è comme quella e mo che è veleno!
La pulenna (polenta) era il primo piatto quasi sempre all’ordine del giorno, però era fatta in tanti modi: spianata alla spianatora, a palocchi, i pallocchi se ficeanu cóglju cucchiaru; tagliata, se ficea tosta a forma de pagnotta e sopre alla spianatora se tagliea a fette coglju spagu.
Sfriuli: ciccioli, ciò che rimane dello scioglimento dell’assogna (sugna), tipico grasso del maiale da cui si ricava lo strutto, tagliati a pezzettini e uniti alle patate lesse si cucinava una gustosa frittata oppure impastati con la farina di granturco per ottenere una variante di pizza gialla da cuocere sulla brace.
Cecamariti (di cui si tiene una sagra nella terza settimana di agosto) sono fatti con farina di grano e mais, conditi con salsa piccante di pomodoro e serviti in ‘scifette’ di legno.
Feste e sagre. Festa patronale di San Michele Arcangelo (8 maggio; dopo la processione, degustazione di ciambelle, dolci e vino). Festa di San Martino (fine settimana dopo l’11 novembre; seguendo una tradizione goliardica secondo la quale il santo è il protettore dei mariti traditi, si tiene un Corteo burlesco guidato dal “cornuto dell’anno” portato in trono per il paese da portatori in camice bianco con copricapi muniti di corna, mentre il poeta-cantore, su una somarella declama stornelli e rime rivolti ai personaggi del paese che più hanno meritato la sua attenzione. Intanto i giovani passano per le abitazioni dei più “chiacchierati” adornandone le entrate con nastri colorati e corna di diversa fattezza).
Sagra dei cecamariti (terza domenica di agosto).
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
Ecco un antico scritto dialettale anonimo, riportato da Dari-Cimaglia, che descrive Rocca Canterano e Rocca di Mezzo e l’incantevole panorama che da lassù si può godere.
I munni è ranne, ma tu pe’ vedé a Rocca, abbasta che avardi enanzi a te.
Se vé daccapu abballe, da versu Roma-Tivuli, dóppu a salita ella Fortuna, abbasta che sgavalli Colleferia e a Rocca télla trovi nfaccia.
Se t’effatti da Guadagnolu, Crapanica o Rocca de Cave, te sempre a Rocca enanzi.
Se po’ ne vé dalla parte ella Ciociaria, arrivatu agli cunfini: addò vidi na manocchiara, quella è la Rocca.
Se avardi da Livata o dalla Cerevara, co’ sottu Subbiacu, Austa, Maranu: areèccote a Rocca.
Se ammece ne vé dalla parte egliu Rignu, arrivatu a Oricola, acquantu vidi na fila e casi remposte sópre na pentema, è sempre a Rocca.
A Rocchemesu sta appressu alla Rocca, più spianata, quasi sottu aglju monte che fa parte eglj monti Ruffi.
A Nord ci sta na spianata: Pratu Maranu, i Merro e de sottu se vede tutta a valle ell’Aniene, dagli Altipiani de Arcinazzu fiu a Roiate e tutti j’ari paisi che ci stau.
Eretu alla Rocchemesu ci sta Saraciniscu, Sambuci e propriu sottu Anticuri; so’ tantu vicini che se pó ji a péi.
Se unu se potesse mette ncima alla crocetta eglju campanile: se straccheria de contà i paisi che se vedanu dalla Rocca.
Mbè, a sera, te pare de vedè un pressepiu. Tante lucette: addó ammucchiate e addó affilate; pare n’esaggerazione, ma a Rocca è comme a stella cometa e Bettelemme: tutta sopre alle piètre. Versu e prata è messa a sciuricarella, ammece alla parte ella Cerevara e casi stau messe a na pentema; pure a Cchesia sta rincriccata.
Se leggènno tuttu quissu ve fussivu missi paura, n’vade da ppreoccupà preché a Rocca è bella e cesse sta bene. Ci sta tanta pace e te pó repusà comme te pare. Vecce na vota, cucì potarsi che quasi sicuramente ce revé.
Portate tante saccocce pe’ mettece l’aria. Preché l’aria ella Rocca n’a trovi a nugljara parte: ecchi l’aria è la maglju eglju munnu.
Ciao furisteru e oggi, Roccatanu e dimà.
Al carattere dei roccatani e roccamesani gli autori già citati dedicano un divertente e istruttivo capitolo con aneddoti scritti in dialetto (frutto di registrazioni fatte in loco). Il carattere dei roccatani era duro: quanno se presentea u Roccatanu jù rispetteanu a tutti i paesi vicini, aveanu paura, preché i Roccatani teneanu i viziu e bussà, erano pure de corteglju facile e le schioppettate n’ mancheanu mmai (…)
Gaetano Proietti, detto Cannone racconta: Anticamente alla Rocchemesu cj’abiteanu i briganti e glju capu banda era chiamatu i Zengaru, ecco preché i Roccamesani ancora oggi i chiamanu i zengari. I Zengaru ella Rocchemesu nzemmora aglju Saracenu, i capu banda e Saraciniscu, spadroneggia pélle montagne.
Ed ecco nel capitolo “Economia autarchica” come i pastori realizzavano i precoglju (angolo per la lavorazione del latte): Ugnunu pe’ cuntu seu piantea j’arnaru, un passone róssu e ardu cógli rami mozzati che ficea da attacca mpicci: cutturu, ramina, colaturu, schiumarola, scucinaturu, cassi, fricelle e tuttu quello che n’era da sta pe’ terra. Sottu a na macera aggiusteanu i focu: un po’ de morre de llà e de qua pe’ remponece i cutturu pe’ coce o casu e la recotta. E come a cannua (canapa) passava dal seme al telaio. Quasi tutte le famiglie: somenteanu a cannua, i mese e maggiu, j’ommini prepareanu a terra, zappeanu pezzi e pezzi de cannaine, preché de cannua se nne somentea tanta, servea pe’ fa a dote alle regazze da maritu: lenzora, cannuacci, tovaglie, pagliaricci, co’ quella più grezza pure e saccocce péllo ranu e raniturcu.
Il bucato (a ocata a Rocca di Mezzo e a ucata se a Rocca Canterano) si faceva così:
Quanno s’eranu da lavà e lenzora, na vota ugni paru e misi, mettèmo l’acqua traventu alla callara, ce mettèmo a cennere e ficèmo bullì l’acqua; traventu a na canestrella se metteanu e lenzora una sópre l’ara, all’urdimu se mettea un pannu vecchiu che fermea a cennere e no’ passea alle lenzora, po’ co’ na pigna se pigliea l’acqua bollente e se jettea pianu pianu sopre glj panni. I lassèmo cusì u giornu e na notte, l’ammatina appressu torcèmo e lenzora e le jèmo a sciacquà aglj fossi. Pe’ torce e lenzora era na faticaccia! Eranu e cannua pesanti, allora ce mettèmo in doa, una da capu e n’ara da pedi, le stregnèmo e po’ una girea alla via ritta e una alla mancina, finu a ché ficèmo un zazicchiotto tuttu attortu e l’acqua se sprescea tutta. Doppu la spannèmo sópre li fratti.
6. I testi di poesia
Nel libro di Dari-Cimaglia sono riportati quattro componimenti poetici. Uno, “L’ultimo richiamo”, in italiano è di Lelio Antonioni e gli altri tre in dialetto: “I vecchi ella Rocca” (anonimo) , “La Rocca” (di autore ignoto, riportata nel libro di Clemente Merlo, Rocca Canterano) e l’altro di Michele Dari “Vita roccatana”: Alla montagna ella Cerevara èsce i sòle, / a quella e Sa Micchèle se rificca, / e propriu locu mmezzu ci sta a Rocca. // Cucì na vota n antenatu disse / pe’ spiegà a certi addò erèmo missi, / mó stemo ancora ecchi e n’ ce semo mossi. // A Rocca a mme me pare na rigina: / montagne e paisi je fau da corona, / tra piante e sassi e tanta aria bbona. // Se cali razzicchi, e se azzicchi recali, / e comme tuttu i munnu, è fattu a scali, / che pe’ sta bene, prima a da sta male. // Quanno revengo da fore straccu pijnu, / co’ mogliema, vicinu aglju camminu, / na pigna e fasori e u begliu fiascu e vinu. // Sarrà comme sarrà: / “Ma io me ntenno tantu Roccatanu”.
Antologia
Cenni biobibliografici
Lelio Antonioni, poeta di Rocca Canterano, è citato nel libro Na rattattuglia di Michele Dari-Maria Pia Cimaglia.
Michele Dari, poeta in dialetto di Rocca Canterano, autore di “Vita roccatana”.
Bibliografia
Dari, Michele- Cimaglia M.P., Na rattattuglia (Raccolta di fati e scritti in dialetto roccatano e roccamesano), Roma, Rotostampa, 2004 libro completo di ogni tipologia dialettale sia su Canterano che sulla sua frazione Rocca di Mezzo
Clemente Merlo, Rocca Canterano, 1966.
webgrafia
https:////www.comuni-italiani.it/058/084/index.html
https:////www.comuneroccacanterano.com/ (interessante nel sito del Comune le seguenti trattazioni: “Flora e Fauna dei Monti Ruffi” – Il paesaggio vegetale dei Monti Ruffi – I Castagneti – Le Leccete – I querceti a Rovella – I boschi misti – Rettili e anfibi – Avifauna – Mammiferi- Bibliografia)