Frascati (320 m slm – 19314 ab., detti Frascatani – 22,41 kmq). A 20 km da Roma. Situato nel territorio dei Castelli Romani, sorge nell’area Tuscolana dei Colli Albani.
IL DIALETTO DI FRASCATI:
Il frascatano. Nui parlemo ’ssosì di Romano Mergé è suddiviso nelle sezioni a grammatica, a parlata, a poesia, u paese, i quarti e come ce aricaccemu. Riproduce lo studio, risalente al 1970, della svedese Marianne Rosander, allora laureanda in lingue all’università di Stoccolma che aveva inserito nella sua tesi di laurea un capitolo dedicato al dialetto di Frascati, sottoponendolo all’attenzione e alla correzione di Romolo Tardiola il quale lo giudicò non perfetto e contenente alcune ingenuità “poetiche”. La studiosa aveva aggiunto un’appendice di dialetto scritto e inciso dei nastri (non si sa che fine abbiano fatto) per far sentire il dialetto parlato dai veri frascatani.
- I vocabolari e le grammatiche
In Nui parlemo ’ssosì di Romano Mergé è riprodotta la grammatica della Rosander che contiene parti dedicate alla fonetica, agli articoli, alle preposizioni articolate, ai pronomi personali, agli aggettivi e pronomi indefiniti, ai pronomi
e aggettivi possessivi (che seguono, come nel latino sempre il nome: i libri téi), alle forme speciali dei nomi di parentela (padrému, màtrima, sorima, nonnimu), agli aggettivi dimostrativi, ai verbi ausiliari esse e avé o tené, alle coniugazioni prima, guardà=guardare; seconda, legge=leggere, terza, dormì=dormire e infine al verbo ire=andare. La trattazione del Mergè si intitola a parlata che esprime sia il parlare, che le inflessioni della voce, che i modi di dire.
In particolare si sofferma sui segni fonetici: la j per indicare la trasformazione del gruppo gl e la l seguita da una i, suono che vien molte volte ancor più accentuato se associato ad un’altra i (fijo, strija, mijo, tijo). Per quanto riguarda il suono di c seguita da i o da e, l’autore adotta la trascrizione sˇ (più corretta secondo lui della trascrizione sc) per indicare un suono leggermente strascicato e riporta alcune parole in cui le due notazioni fonetiche trovano una differenza appariscente e sostanziale: strasˇinà (strascinare) / strascinu (tipo di carretto), cosˇe (cuocere) / cosce (cosce), pesˇe (pece) / pesce (pesce). Secondo Mergè infatti non si può scrivere fascioli per rendere il suono di fasˇioli, smuscinà per smusˇinà.
Modificazioni di parole si hanno in genere nei gruppi di consonanti da rm in mm (portamme), nd in nn (quanno), lt in rt (sverto), ld in ll (calla), mb in mm (sammucu), rl in ll (sentilla), gl in j (giju), uo in o (bono) li in jj (bjja).
Dal vocabolario, ricco di molti modi di dire e proverbi, estraiamo:
allentà (rifilare, allentà na bufala), appullu (luogo di raduno degli uccelli al tramonto), s’arribòtica (si avvolge intorno), aripipolà (riprendersi), baramocjo (spauracchio per bambini), u bocjo (il padre), bonagràzzia-tea (grazie a te), caccià l’ogna (tirare fuori le unghie), cannufiena (altalena), capistière (contenitore di legno), cazzacciu (buono a nulla), cicciulardone (buono a nulla), ciciu pennicchiu (piccolo rimasuglio), colonnetta (comodino), consubrini (consanguinei), cutignàta (colpo in testa), drento de mine, de tine (dentro di me, di te), ellàne (suvvia, diamoci o datevi da fare), escita (l’uscire a passeggio), facocchiu (fabbricante di carrozze), ferracchiatu (speciale salame fatto con sangue di maiale, bollito con aggiunta di cioccolato, pinoli e bucce d’arancia candita, normalmente dentro un budello), fjanu-fjana (tenuto-tenuta a battesimo o cresima), forcò (forcina), fottìu (tanti, detto di persone o cose), frate turzò (frate che non dice la messa), gaimone (cosa grossa, ingombrante; anche donna molto grossa), gattaggio (andare a dare fastidio alle ragazze), gesuiti (animaletti neri che vivono sulla vite), gnocca (bernoccolo), gnògnera (indovina – donna che toglie il malocchio), làllera (bicchiere di vino), làllere (mezzi litri; normalmente già bevuti), liticagninu (attaccabrighe), mannarella (altalena), maruani (forestieri di campagna), martera (madia), patate a mascè (purea dipatate), mazzamorelli (bambini molto rumorosi), monachine (piccole lumache bianche, commestibili), Montecrompati (Monte Compatri), morgiu (sasso grande – persona insopportabile), nocella (malleolo), palatana (parietaria), paccutu (grosso, grossolano), pannilani (venditori ambulanti di tessuti), u libbru d’u panuntu (il libro dove si appuntavano i debitori di generi alimentari), petrosemolu (prezzemolo), pidicozzu (picciolo), piscaru (piccola sorgente), ’na quarta (unità di misura dei terreni vignati corrispondente a 4440 mq); i quarti (divisioni raggruppanti un certo numero di quarte, cui vengono dati nomi caratteristici), rabbelà (seppellire), ’rraganitu (rauco), ’rrechiameterna (requiem aeternam), sarapica (donna pettegola), sciaudona (donna che non cura la propria persona), scotrinà (indagare), stramicione (chi non cura la propria persona), sustacchina (palo, normalmente di abete, usato nell’edilizia), tresosmarinu (rosmarino).
Note di glottologia Frascatana (di Anna Rita Romani per la rubrica Storia locale – Numero 71 maggio 2008)
Più di trenta anni fa (era il 1976) una tipografia frascatana diede alle stampe una singolare grammatichetta del dialetto frascatano dal titolo Nui parlemo ‘ssosì, rielaborazione della tesi in glottologia di una studentessa svedese. Tra le varie appendici di cui la grammatichetta è corredata, diverte soprattutto il dizionario frascatano-italiano, vero e proprio bozzetto folkloristico che include modi di dire ed espressioni idiomatiche; stupisce che all’interno di quello sia registrata senza commenti né notarelle linguistico-culturali una quantità significativa di proverbi locali, quasi un tesoretto antropologico che la studentessa svedese ha raccolto dal popolo un po’ distrattamente. Ebbene, aggiornando questa piccola raccolta con ulteriore materiale ricavato dalla viva voce dei frascatani più anziani, si ricava un vero patrimonio linguistico-culturale i cui tratti originali meritano qualche approfondimento. Tanto per cominciare un confronto tra la proverbiade frascatana e il ben più cospicuo materiale romano (ormai da tempo catalogato, commentato e diffuso) lascia emergere l’unicità di una gran parte dei proverbi frascatani, cioè la loro assenza nell’oralità romana; di conseguenza sono numericamente poco rilevanti i casi di uno stesso proverbio presente (con diverse vesti linguistiche) in entrambi i contesti geografici. Inoltre, generalizzando un po’, questa oralità frascatana delinea in modo abbastanza definito la fisionomia di un popolo che non vuole confondersi con la “pasquinità” feroce e un po’ blasfema che stigmatizza il popolano romano. Anzi, il proverbio frascatano esprime spesso, e in maniera aggraziata, l’integrazione dell’uomo con la natura che manca, per ovvie ragioni geografiche e sociali, nella confusa piazza della capitale. Affiorano talvolta espressioni di appartenenza ad una comunità omogenea e socialmente fiorente in cui tutti si conoscono, che ha nella benevolenza della terra uno dei suoi punti di forza.
Ecco qualche esempio:
Scortinno ‘e noci a Bacocco che ne teneva sette granari (tr.: Finirono le scorte di noci persino a Bacocco, nonostante possedesse sette granai. Il proverbio è usato come monito contro gli sprechi)
Pe me la vita nun vale pe’n tesoro; io me contento de vive de lavoro (tr.: per me la vita non vale in base alle ricchezze; io mi contento di vivere di lavoro).
Si sapevo cumm’era lo mete da piccolittu me jevu a fa prete (tr.: se avessi saputo quant’è faticoso lavorare la terra, da giovane mi sarei fatto prete)
Ognuno all’arte sua e u lupu a’ e pecore (tr. Ciascuno faccia il suo mestiere come il lupo insegue le pecore).
Tali dati linguistici sono oggi del tutto estinti poiché da qualche decennio il dialetto frascatano è stato assorbito dalla ben più diffusa parlata romana, un romanesco italianizzato che ha perduto le frange estreme diventando quasi, specie tra i più giovani, una lingua sovraregionale e settoriale. Ma non deve essere stato sempre così. A testimonianza di un’epoca di grande vitalità del dialetto frascatano la studentessa svedese di cui sopra annota nell’introduzione della sua tesi: <”La maggior parte della popolazione usa il dialetto soltanto insieme ad altri frascatani. […] L’uso del dialetto non è dipendente da ceti sociali o da sessi. Un frascatano mi disse una volta: ‘Se il nostro Primo ministro fosse frascatano, io parlerei con lui in dialetto’.”
2. I proverbi e i modi di dire
Modi di dire da Nui parlemo ’ssosì di Romano Mergé:
ecc’accicoria (e basta!), agnede a dàjela (andò a dargliela), te si allaccatu (non gliela fai più), anddò ne và, ne vjè (è come se non si fosse fatto niente), che t’aritiri (che vai a casa?), che t’arivanzenu li piedi fora da u lettu (non sei soddisfatto della tua posizione?), ognunu s’arrancia co’ l’ogna sei (ognuno fa quello che può), sta arrecchiata (sta con le orecchie tese, attenta), ha attonnatu ’n sacco de sordi (ha messo da parte un sacco di soldi), bonaseraggesù (è andato a finire male), j trova tutti a cacà (ha una fortuna sfacciata), va’ n cacàja (si rompono gli argini di sbarramento a un liquido), c’j’à cacatu ’n terrazzu (gli fa fare quello che vuole), è cascatu de quartu (è caduto male), che si celestinu (che porti malocchio), me porti a ciciungòllu (mi porti sulle spalle), fa a scema (amoreggia), m’esce da ’n fiancu (mi sorprende; non ero a conoscenza), e fichera te le sbofoni co u turzu e a coccia (non vai tanto per il sottile), a grugnu de lignu (ognuno per conto suo), nun guadambia ’na checca (non guadagna nulla), me pari ’ngicchitu (sei malmesso), me lampenu li pedi (mi fanno male i piedi), me guarda a lupigna (mi guarda in cagnesco), renne malagrazzia a Dio (quando si fa andare a male qualcosa), te merco! (ti colpisco in modo tale da lasciarti una cicatrice), te do un muzzicu a ’na recchia (non te sopporto più), che si natu a notte e Natale (non capisci niente), oremusse capimusse (ci siamo capiti), m’ha dittu pedalinu (non mi ha arriso la buona sorte), ’ssu pezzu de fregna (costui spreg.), me pari a picchiozza (mi sembri matta), so itu a piaggne (sono andato a trovare la fidanzata), ’na pila da tre paoli – ’na piluccetta da tre soldi (una pentola molto grande – una pentola molto piccola), tè u nasu a piscià ’n bocca (ha il naso aquilino), me trema u pizzu d’a camicia (non mi impressioni), na pacca de celu (uno squarcio di cielo), a culu puzzoni (inchinato in avanti), nun fa ’n retribbiu (non fa una piega), tu non si de riccòtta lesta (non raccogli in fretta – anche non capisci subito), fregà u santaru (fregare l’imbroglione), nun te sarva mancu Stoppolò (non c’è più nulla da fare – dal nome di un famoso medico), sborgna a cummugnone (una sbornia alla mattina presto, quando si fa la comunione); scantossite da ’ssane (togliti da codesto posto), m’aiuti p’a scesa (mi intralci), dà u schiaffu a Madonna (si dice quando si distribuiscono le carte in maniera opposta alle regole), a scjalòo! (detto in risposta ad un prezzo molto alto o non condiviso), scrivelo sott’a Madonna (dimenticalo, detto normalmente di crediti irrecuperabili o di cose che si vogliono dimenticare), m’ha fattu venì a verminara (mi ha messo paura), zompà comme ’n criccu (essere molto agile), ’n te fa ’nzurfà (non ti far mettere su).
Alberto Tenerelli segnala nel suo libro Il prossimo mio un modo di dire che solo a Frascati non può essere equivocato: “Commà! me dì o culu (cioè il filtro per colare il vino).
Ed ecco alcuni proverbi frascatani dal libro già citato di Romano Mergé:
aiùtite lingua sinnò te tajo; acqua fina te rompe a schina; te và l’acqua pell’orto (ti va molto bene); cani, principi e fiji de mignotte nun chiudenu mai e porte; si Dio nun vò, li santi nun ponno; fidite de ’n riccu ’mpoveritu nun te fidà de ’n poveru arricchitu; quanno Monte Cavo mette u cappellu lascia a vanga e pija l’ombrellu; nisunu se fa u signu d’a croce pe cacciasse l’occhi; chi sopra a pulenta beve l’acqua arza a cianga e a pulenta scappa; Roma caput mundi e Frascati pe secunni; vale de più ’n bicchiere de Frascati che tutta l’acqua d’u Tevere; o vinu è a zinna de i vecchi.
3. I toponimi e i soprannomi
Romano Mergé, in Nui parlemo ’ssosì nella sezione “E… comme ce aricáccenu” elenca oltre 1.100 soprannomi tra i quali estraiamo:
Buceculittu, Bocca senz’osso, Buncachè, Berlicchetta, Bambinellu d’i frati, U loco d’e scimmie, Cacarittu, Ciaccapedocchi, Dente solitariu, Ghigni ghigni, Girimentorno, Mazzasomari, Mammaleopere, Mammalafregna, Mblè-mblè, A morte cazzuta, Moropelapatria, Michele Strogoffe, Muccuzuzzu, Pataccamara, Palle mosce, Panza e vermini, Piscia e scappa, Peppe de mamma, Recchiamozza, Rengasecca, Sippisonne, Sarvatore ’n te lu senti, Scapocciasarde, Sbragaminestre, Scespirittu, T’aggiuvistu, Topatopa, U topu ciecu, Te dongo u resto, U zippodoce, U zoppu sfacciatu.
Ancora Mergé, pubblica la pianta di Frascati con indicati i principali toponimi:
Sciarra, Funtana Vecchia, Funtana d’i passeri, Capucroce, palazzu Moroni, Fumasoni, I Frati, Saulini, u Spidale, a Passeggiata, Torlogna, For’e Porta, u Monumentu, u Bottinu, Salita de Santantonio,’Munnezzarò, Piazzetta d’e Scole, a Costarella, E maestre pie, Porta Granara, u Matone, u Terinu, a Porticella, Armetta, L’Ombrellinu, Caricacciolu, Mmazzatora, Sciaddonna, Palazzittu, Lazzeritu.
Il libro contiene pure la carta, molto accurata, dei quarti (le contrade) di Aldo Pacchiarotti.
Un curioso toponimo è nella poesia di Angelo Benassi “A funtana d’i merli”:
Regazzì / si statu tu a da focu a funtana d’i merli? / No… n’so statu io. / N’si statu tu? / E chi è statu allora? / N’ o saccio / ma io n’so statu. // S’o passati l’anni / so cambiati i tempi / a funtana d’i merli sta sempre lla. / Mo vedo n’omo che ce se specchia / n’omo
patre de fji / che ce se specchia drento / na lacrima ce scegne e smove l’acqua / co tanti circolitti… / e na figura se forma drento a ssa funtana / è n’munellu co i capilli bianchi / e se sente na vosce lontanu /…regazzi! / si statu a da focu a / funtana d’i merli?…
Nella poesia di Aristide Folli un toponimo caro ai frascatani, Capocroce:
Laggiù dove la strada fa ’na croce / c’è ’na Madonna drento a ’na cappella, / che fa da sentinella / ar colle tuscolano. ’Sta Madonna, / creata, nun se sa, da quale mano, / in una nicchia rustica e rotonna, / ortre che fa le grazzie è puro bella. / Quer sito, co’ la chiesa e la Madonna, / se chiama Capocroce. // Tant’anni fa cacciò er nemico armato / co’ l’arditezza e er core de sordato; / poi ’sta Madonna, forte e battajera, / fece da mamma ar fante ’ne la guera. / E quanno che ce fu l’artro sfacelo / restò insinenta a’ l’urtimo momento, / tra le bombe cascate giù dar celo, / sotto la furia der bombardamento
4. Canti – filastrocche-indovinelli – giochi – gastronomia – feste&sagre-altro
4.1 Canti
In Il prossimo mio Alberto Tenerelli riporta questo stornello frascatano:
Fiore de canna, / chi ppija moje a ’stu paese bbello / la pija bbella bbona e nun se ’nganna: / la dota sea è lu vino e lu tinello.
4.2 Filastrocche, indovinelli, invocazioni, scongiuri
Florido Bocci in Poesie e brevi racconti nei dialetti di Colonna, Frascati… ci offre una “Cantilena soporifera”, cantata da una nonna che, con il bimbo a cavalcioni sulle sue ginocchia, con un movimento ondeggiante avanti-indietro, cerca di ritmare per tentare di fargli prendere sonno:
Rie rie roma, / chi te ce porta? / La cavalla è zoppa. / Chi l’ha azzoppata? / Lu travu de casa. / Andovellu u travu? / L’hanno missu a focu. / Andovellu u focu? / L’ha smorzatu l’acqua. / Andovella l’acqua? / Si l’ha bevuta a capra. / Andovella a capra? / L’hannu scorticata. / Andovella a pelle? / Ciannu fattu le ciaramelle. / E pe’ chi? E pe’ chi? / Pe’ Isabella che sta a sentì!”
Scioglilingua popolare frascatano:
pia su sassu ’ssa mittelu’ ssa sopra che po passa issu che ’ssu pia e ’ssu porta a casa sea.
4.3 I giochi
4.4 La gastronomia
In “Natale” di Pio Camilloni la battaglia per preparare i dolci natalizi:
’Sti giorni a casa méa è ’nrattatuju, / ’ndo t’arivoti o giri pii de pettu, / scattele, scattoluni, è ’ncianfrasuju / de stracci, de fagotti, pare ghetto! / Le sfoje tutte stese sopra a lettu, / le ssedie piene zeppe de tielle, / se giri lu munnacciu ce scommetto / che ’ntrovi più né struttu né padelle. / Pignòli, nuci, zuccheru, cannella, / méle, zibibbu, mandele e canditi, / se dura ’n’atru pò jamo falliti, / tuttu pe la golaccia e le budella! / Stannu schiaffate ’ntorno a lu camminu / tutte affannate, l’avrissi da vede, / co’ ’na cannela accesa e co ’n luminu / che quanno arde tè la tremarella! / Chi attonna li pangialli a pagnottella, / chi cerne la farina co’ la seta, / ch’intruja dentro a’n piattu o ’na scudella / chi de sfuggita se lecca le deta! / Tuttu lu santu giorno stannu a sbatte / che ’ntenghenu più tempu da stà a sede / però a vedelle passenu da matte…
Memorabile in Frascati mea di Luigi Cirilli “’A lumacata”, con ricetta: Pe’ ’n par’ ’e giorni mettele a spurgà… / po’, c’acitu, ’n bellu smucinamento… / levice ’a schiuma, po’ valle a’ llessà, / cerchenno de nun falle rentrà drento, / ma fôra au gusciu: ce ti dà sapé ffà! // A sarzetta, pe’ falla ’npo’ bonuccia… / aiu, oiu, alice, pepe e mentuccia / pummidoro, sale, vinu… fà’ n po’ tu…
Secondo Cirilli “’A faciolata”, è: …’ a mejo pietanza de ’stu munnu… / comme sò-sò: ce piacenu de bruttu. / So bboni a ’nsalata, cò lo tunnu / o ’n umedu coll’ossu de presciuttu.
5. I testi in prosa: il teatro, i racconti
Dal libro di Romano Mergé Nui parlemo ’ssosì, ecco la parabola del figliol prodigo (U fiu scialone) tradotta in dialetto dalla svedese Marianne Rosander:
N omo teneva due fii giovini e u più picchelu de issi fesce au padre: Papà, damme a parte de a róbba che me tocca. E issu divise fra de issi a róbba. Doppu ’n po’, u fiu più picchelu se pià tutta a róbba séa, e se ne ì pe n paese lontanu e là se magnà tuttu, fascenno a vita bona. E quanno che s’era magnatu tuttu, a llù paese, ce venne na gran carestia, cosicchè issu sa ’ncominscià a passà male. E ì, e se mise ’nsieme a unu de llù paese là che u mannà pei prati a pasce i pórsci. E issu avria volutu riempissi la panza co le ianne che magnivenu i pórsci, ma gnisunu ce deva. Ma rinsavitu disse: Quanti servi de padrému ténghenu tuttu u pane che vónnu e io qua me sto a morì de fame! Io m’arzo e me ne rivaio da padrému e ce diraio: Papà, so peccatu contro u cielo e contro de ti; nun so più dignu d’èsse chiamatu fiu téu, trattime come unu dei servi téi.
Issu dunque chiappà e se ne riì dau padre. Ma mentre issu steva ancora lontanu, u padre u vidde e se ne commosse e curse e se lu abbrascicà e u bascià e u ribascià. E u fiu ce disse: Papà, so peccatu contro u cielo e contro de ti; nun so più dignu d’esse chiamatu fiu téu. Ma u padre disse ai servi séi: Sbrighetive, portete qua u vestitu più bellu e rivestetelu, mettetice n anellu au ditu e n par de scarpe ai piedi e cascete fora u vitellu più grassu, ’mmazzetelu e magnemo e stemo allegri, perché stu fiu méu era mortu e è ritornatu a vita, era persu e è statu ritrovatu. E se mettinnu a fa gran festa.
Mó u fiu più granne steva pe i campi e come ritornènno fu viscinu aa casa, sentì a musica e i balli. E chiamatu viscinu unu dei servitori ce domannà che voleva dì sa cosa. Quillu ce disse: È rrivatu fratétu, e padrétu ha ’mmazzatu u vitellu più grassu, perché l’ha riavutu sanu e sarvu. Ma issu s’arrabbià e nun volle entrà e allora u padre escì fora e u pregheva d’entrà. Ma issu, risponnènno disse au padre: Esso da n saccu d’anni te servo e nun te so mai disobbeditu a mi però, nun me si mai datu mancu n caprittu pe fa festa co l’amisci méi; ma quanno è venutu su fiu téu, che s’ha magnatu a róbba téa co le troie, tu si ’mmazzatu pe issu u vitellu più grassu.
E u padre ce disse: Fiu méu, tu sta sempre co’mmi, e tutta a róbba méa è a téa, ma bisogneva fa festa e rallegrasse perché stu fratellu téu era mortu, e è ritornatu a campà, era persu e è statu ritrovatu.
L. Devoti nel suo Il costume popolare dei Castelli Romani… riporta scene di vendemmia narrate da Agnese Maccari nel gergo delle mozzatore (vendemmiatrici):
“Era ancora scuru, quanno pe’ ’e vie de Frascati se senteva ’u zampettìu de’ ’e femmine che escìvenu da ’e case pe’ i’ a velignà. Sotto’e finestre se divenu ’u richiamu una co’ l’altra: ’n fischiu, ’n soprannome, ’na stornellata. ’U riddunu era a Piazza Spinetta. Llà ’a ‘caporala’ commanneva: vui jate a Colle Pisanu, vujatre a Passu Lombardu. Tu e tu a ’e Cisternole e vui dua a Spinoreticu. Posti diversi, ma ’e strade erino tutt’uguali: fossi, seminati de sassi, spini e cardellozzi; e, a ’nfroscià ce jvenu tutte, co’llu sonnu che s’aritrovìvenu… Quand’una più ffortunata, s’attacchea a ’a coda o a l’immastu d’u somaru che porteva ’nzieme a ’u patrone ’a cupella dell’acquata e ’a colazzione.
Mani a mani che s’arzeva ’u sole, se svejivenu e ’ncomincivenu a riccontasse ’e barzellette, i fatterelli séi e ppuru quilli dell’atri. Quannu s’erenu riscaldate bene bene, se sentìvenu certi stornelli a bracciu, a botta e risposta, e certi cori da fa invidia a quilli de San Pietro.
Ridenno e scherzenno ammazzìvenu ’a fatica, ’e pene e l’affanni. Amezza mattinata’a ‘caporala’ deva ’u segnale p’a colazzione: ’gnuna sboticchieva ’u fagottellu séu: ’ncantoncellu’e pa’ co’n pummidor’acconnìtu co’ ’na crja d’oju e ’n pizzicu de sale, oppuramente du’ pacche ’e pà’ co’ mezzu ’a cicoria ripassata ’n padella o ’na frittata de patate e cipolle. Tra ’n boccone e l’atru se facivenu ’na bevuta d’acquatu, e ’a fine, sgranocchivenu, ’n rampazzittu d’uva. Doppu magnatu, ricomincìvenu a tajà: su e ggiù p’i filari, co’ e forbici e co’ i sicchi, finente ch’a giornata ’nfinisceva. A rivenì risparagnìvenu ’u fiatu pe’ camminà: nun canteva più gnisuna”.
Valentino Marcon su “Controluce”(gennaio 2003) ha pubblicato un esaustivo articolo intitolato “Per una storia delle filodrammatiche a Frascati”.1
1 È difficile ripercorrere la storia delle filodrammatiche a Frascati, sia perché occorrerebbe risalire al 1890, epoca in cui si ha qualche notizia della prima di queste esperienze. (…) Agli inizi del ’900 – negli anni ’10 e ’20 – l’apertura delle prime ‘sale cinematografiche’, col ‘muto’ sembrò assestare un duro colpo alle filodrammatiche che invece risorsero subito dopo e a macchia d’olio dagli anni ’30. E tuttavia quello che sembrò maggiormente contrastare il successo di questa attività fu ritenuto “il mantenimento della tassa ai Teatri di Circoli e Associazioni, che colpisce in modo speciale le nostre filodrammatiche”, come si legge in un verbale della Gioventù Cattolica nel 1922.
In quell’anno, per la cronaca, nel tuscolano, avevano la
rispettiva filodrammatica, i Circoli ‘Giovane Lazio’ e ‘Capocroce’ a Frascati, i circoli, ‘Virtù e lavoro’ di Monte Porzio,’Religione e Patria’ di Monte Compatri, ‘Fede e Lavoro’ di Colonna e ‘Giuliano della Rovere’ di Grottaferrata. (v. V. Marcon, Fatti e Figure del Movimento Cattolico Tuscolano, 1983, p. 55).
Negli anni ’30, le filodrammatiche a Frascati si diffondono grazie allo svilupparsi dell’associazionismo cattolico giovanile. Ciascun Circolo della Gioventù Cattolica si faceva vanto di costituire la propria filodrammatica, come dimostrarono le esperienze più note a Capocroce, con quella annessa al Circolo ‘Domenico Savio’ e l’altra costituita dall’Associazione di S. Sebastiano a S. Maria in Vivario. Quella di Capocroce svolgeva le sue rappresentazioni, nella ‘vasta sala Francesco di Paola Cassetta”. Mentre la ‘San Sebastiano’ usufruiva della ‘Sala Vittori’. Si poteva a quel tempo assistere ad un’insolita gara tra queste filodrammatiche ‘cattoliche’ e quella dell’O.N. Balilla diretta da Piero Pieri con l’orchestra del maestro Gentili. (…) Tra le filodrammatiche tuscolane, famosa rimase per lungo tempo quella di Capocroce, nell’omonimo oratorio salesiano diretto da don De Bonis, anche perché, alla metà degli anni ’40, era venuto come insegnante a Villa Sora, don Amilcare Marescalchi, valente critico teatrale e autore di numerose commedie, traduttore e adattatore di opere straniere per i giovani. Alla Filodrammatica di Capocroce, Marescalchi fece interpretare diverse rappresentazioni. Dal 1945 collaborò con la Rivista ‘Filodrammatica’ fondata da Luigi Gedda e diretta da Turi Vasile, mentre fu esperto relatore in diversi convegni nazionali sul teatro. È proprio Marescalchi – morto nel 1959 a Frascati – che riporta alcune corrispondenze sulle manifestazioni locali. Nel ’48 si presentarono alla ribalta tre filodrammatiche. Quella di Capocroce che rappresentò “La collana del Principe Incas” (regia di don Aldo Conti), direttore dell’Oratorio salesiano; la filodrammatica di Villa Sora che portò sulla scena “Il divo del cinema”, infine la ‘Concordia’ (di
Roma?) che rappresentò “Yvonik”. (…) Negli anni ’50 e fino alla metà degli anni ’60 le filodrammatiche ebbero ancora un certo rilievo, grazie anche all’estro di Giuseppe Toffanello con la sua ‘Piccola Ribalta’ (divenuta poi ‘Piccolo Teatro della Città di Frascati’) cui si aggiunsero alcune opere di cui era autore Lucio De Felici. Toffanello è autore di innumerevoli drammi, e rappresentazioni, tra cui: “Lo Sposo di Madonna Povertà”, “Ci è nato un pargolo”, il trittico sulla Passione (“Io Barabba” del ’69, seguito da “Io Pilato” del ’71 e poi da “Io Giuda” del ’72). Calcando le scene della filodrammatica di Capocroce si avvierà poi ad un grande futuro l’indimenticato Tino Buazzelli, attore di teatro, cinema e tv.
6. I testi di poesia
Nella sezione Poesia di Nui parlemo ’ssosì di Romano Mergé, figurano composizioni di Pio Filipponi, detto “Capillone” (“Natale”, “Vita da pensionanti”, “Lite tra comari”, “Guera – o pace? Commenti da Osteria”, “Storici d’osteria”, “La disperazione de mamma”), di Giuseppe Masi, “Camillettu” (“Ricordo di Pio Filipponi”, “Luna tonna” “’N pass’arréto”, “’Na girata de capoccia”, “Festa a piazza Spinetta”), di Agostino Sellani, “Cannolicchiu” (“’A funtana d’i Merli”, “’I scolari”), di Angelo Benassi, “Rampichinu” (A belli-mé mov’arriconto ’na serata all’osteria tra Frascatani”) e di Anonimo la poesia “A banca Pizzi”.
Giuseppe Masi, in una poesia-ricordo di Pio Filipponi, esalta oltre al valente uomo e poeta (ha fattu sempre quello ch’a da fane / chi vo marcià tenenno’u capu rittu / e co’ le fronne sèi se vò accappane. / Nun s’è azzardatu mai de i’ a leccane / i pédi a quistu o a quillu, o a fa’ ’u schiavittu) anche l’appassionato gastronomo (…A fallu più’llustratu / ce vò ’na cazzarola e ’n sgommarellu / ’na battilonta, ’n spidu, ’n stennarellu, / àpise, carta e lena, e Pio è ’nquadratu). In “Luna tonna” Masi descrive i suoi “vecchjtti” sorpresi dal motivo di una canzone molto amata:
Mentre che poru patremu se steva / a ’nsaponà lu grugnu co’ ’u pennellu, / ’na radio sveja sopra lu carellu / raschiènno sonicchià “Comme pioveva!” / Fu ’na macchietta! Mamma che cuceva / se sbucià ’n ditu sopra ’u porpastrellu, / papà, co’ lu rasore, ’n puricellu / se scapoccià… e attantu fischiettava. / Vedenno ’sti vecchjtti così piati / da ’n motivittu de ’na canzonetta, / pensà tra mi: che spusi fortunati! / Campisseru cent’anni, ’n so’ spregati, / se ancora se ricordenu l’arietta / che jeva ai tempi che se so’ accoppiati.
In “Vita da pensionanti…” Pio Filipponi ci porta a spasso in una sua giornata tipo dalla sveglia al riposo:
Appena m’arzo, bevo ’na tazzetta / de caffè niru e se lu tempu è bellu / che p’escì fora nun ce vò l’ombrellu / faccio ’n girittu pe’ piazza “Spinetta”. // Me compro ’n sigherone e m’aritorno / e me ne vajo pe’ la passeggiata, / ’llà m’appiccio la pippa ’ntarterata
/ e chiacchierenno faccio mezzuggiorno. // Malappena magnatu ’llu boccone, / me n’arivajo giù pe’ foreporta, / fumo ’llu mezzu sigheru de scorta / versu le sei riacchiappo lu bastone. // ’Ncantoccellu de pane, ’na meluccia, / ’n po de caciu o ’na fetta
de presciuttu, / me faccio ’n par de lallere d’asciuttu (mezzo litro di vino secco) / rivajo a casa e m’arimetto a cuccia!
Di Filipponi riportiamo in Antologia una franca “Lite tra comari”, mentre i fervidi preparativi delle leccornìe natalizie, descritti in “Natale” da un intenditore qual era “Capillone”, sono nella sezione Gastronomia.
Di Luigi Cirilli la scrittrice Rosanna Massi dice che è un poeta che scrive in “lingua frascatana e che è capace di restituirci l’odore e il sapore della vita minuta di Frascati”. Secondo Massi, il lavoro di Cirilli ha un notevole valore di documentazione storica, ma anche “un merito di natura letteraria” possedendo egli “quella forza espressiva ed immaginativa che segnala il vero poeta”. Egli descrive “vivacissime scene di vita quotidiana che registrano usanze e costumi non più in auge. Tratteggia con mano leggera e ironica personaggi e situazioni che restituiscono pienamente
l’humus antropologico del territorio. Raggiunge inoltre vertici di acutezza e brillantezza negli esilaranti rifacimenti di grandi testi quali l’Iliade, l’Odissea e la Divina Commedia (“…’Ncenicu d’Iliade…’Npò d’Odissea… ariccontata a’la maniera méa”,“Parafrasenno ’a Divina Commedia”). In queste rivisitazioni sapienti e ironiche in cui non perde occasione di inserire personaggi frascatani. Cirilli offre una buona prova di maestria. “Ma al di sopra delle sue indubbie capacità espressive emerge prepotente il profondo e intimo amore per la sua Frascati, alla cui esaltazione sono indirizzati tutti i suoi versi.” Dalla poesia “Frascati ottava meraviglia” che introduce il volume Frascati mea e proseguendo poi con l’esaltazione del dialetto frascatano (me sento rintronà drento le recchie / ’stu stile dialettale doce-doce. / ’U senti più che mmai ch’è robba téa / che t’accarezza a’la magnera séa).
In “Frascati ieri e oggi. Carellata ’npo’ …autobiografica” ripercorre i luoghi dell’adolescenza, nominando con precisione toponimi e soprannomi ed episodi della vita locale, regalando squarci degni di nota come il vecchio “mercato degli schiavi”:
Vedo l’ortonisi c’ ’a vanga ’n mani, / a fa piazza co’ ciuciari e marchiciani / allineati, a vvòti, ’n doppia fila / staumuliati da sta zozza trafila. // Pe’ i a lavorà stivenu a offrisse / sperenno che quadunu li chiamesse. E i proprietari terrieri …i sgamivanu da capu a ppèdi / (ce mancheva d’aprì bocca a ’sti cristiani / pe controllà s’ ’i denti fussero sani) / scejenno i mejo pe’ li vari impieghi. // ’Na specie de mercatu de li schiavi…
e poi l’impareggiabile panorama su Roma:
Quanno d’inverno soffia tramontana / co’ l’orizzonte tuttu trasparente / potrissi co’ le mani ’lliscia Roma / pe quantu a vicinanza sia evidente. E, ancora, il romanticu angolittu di viale Ponzi (ora via Duca d’Aosta): qua succedeva che verso ’a scurata / tante coppiette ’n tenera ’mmucchiata / se divenu’n bacittu de’nniscostu… / chi tardi ariveva… n’troveva postu! // Ce steva allora più romanticismo… / p’avecce dato solu ’na carezza / tocchivu u cielo pe’ la contentezza.
L’amaro ricordo dell’antica miseria riaffiora in “Rimembranze di un adolescente”:
A comprà a ciccia co’ pochi quatrini / me lo ricordo comme fusse ieri) / jevo au macellu de Gino Valentini / ’ndo lavoreva zi’ Mario Bonnanzieri. // Da brodu ne pievo un’e cinquanta… / me vergognavo perché nun era tanta. / Diceva mamma: “ma va, sì grand’ e grossu, / anzi, pe’ giunta, fatte dà ’n bell’ossu! / Da Nunziata e Terìa battevo cassa / segnenno tuttu su ’n niru libbrittu… / Dicivenu: ’ma mammita nun passa?’ / Se riferivenu a’o pagà… io zittu!.
Luigi Devoti nel suo Splendore dei Castelli Romani (1992) riporta due poesie in italiano dedicate a Frascati di I. A. Chiusano e di M. Coromaldi, e, in frascatano, due di poeti locali. Il primo, Angelo Benassi, descrive il viaggio del carrettiere a vino:
Ieva fierusu versu Roma, de bon mattinu / prima ch’u sole escesse dai Colli Albani / de’ ’sta bella città porteva o meio vinu / piatu ne li frischi tinelli frascatani. // U cavallu sauru cammineva a piacimentu, / issu allegramente canteva li stornelli, / ’stu gaiu cantu veneva sparsu da ’u ventu / ’nsieme au dondoliu de tanti campanelli
e Agostino Sellani un grappolo d’uva matura:
Dentro a ’na pescoja, / sotto ’na canocchia, / un rrampazzu d’uva / se specchia e fà toletta: / se sgrulla ’a guazza / all’ultima ventata / aspettando ’u sole / se dà ’na rissettata! / Se veste d’oro, se gonfia, se matura…
Aristide Folli, a Frascati, ha dedicato la raccolta di poesie in dialetto romanesco La luna piena dar Tuscolo (1997), dalla quale citiamo “Ottobbrata a Frascati”: Ottobbre! È ’na bellissima giornata, / er sole ammanta tutta la collina / spojata de quell’uva che in cantina / fermenta come la città affollata. / La piazza pare un quadro e li colori so’ que’li de li fiori. / Sopra ’sta tavolozza / un raggio d’infilata / ricama tra la chioma / de lecci, parme e pini / la sagoma de villa Aldobrandini, / giojello in faccia
a Roma. / Villa Torlonia abbozza / e manna er mormorìo de’le cascate / mentre la brezza sfiora / le foje scapijate.
Pietro Ortolani è autore delle sillogi in dialetto e in lingua: èssive e poesie – ’co ’mpo de fatti e ’mpo de fantasie (1996), Poesie di casa nostra (1999), Poesie fra sogno e realtà (2001).
Le poesie di Florido Bocci (su ”Controluce” e in Poesie e brevi racconti nei dialetti di Colonna…) nascono da spunti tratti dalla vita quotidiana (“Lotteria gratta e vinci”, “’Na giornataccia”) oppure descrivono personaggi locali, come “Nanna ’a carbonara”, “Don Salvatore” “Suor Marta (all’asilone), “’A banda musicale”, “Ndindilicchiu” artista dei fuochi d’artificio, anzi “pirogirandobengallerazzista”:
Cominceva pianu pianu / co’ ’n po’ de margherite bianche e gialle, / e de monetine ramate e co ’na fuga / de cento belle foie de lattuga, / ’n incanto de nuvolette de bambacia; / spareva appressu mille razzi d’oro, / sprazzi de papiri verdi ’na gettata, / tanti schizzi de garani rosa / e de bacche colorate a manicciate, / rosmarinu fioritu’n quantità, / medaiuni d’argento scintillanti / e rose rosse de tante varietà…
e infine “Mazzarella”, che riportiamo integralmente:
’Na vota, pure a morì / ce steva più soddisfazione, / perch’eri sicuru d’avè riguardu / e più considerazione. // Sotto casa se presenteva Mazzarella / co ’n carrettone niru lucidatu, / sopra quattro colonne decorate / e du fanali d’ottone, Antichità e Pietrella, // grossu comme ’n monumento / rilucente e copertu de cristalli, / tiratu da du cavalli bianchi scalpitanti / co’ tantu de pennacchi de brillanti. / Mazzarella impettitu, / a cassetta co le brije ’n mani, / vestitu da cocchiere anticu / e coi paramenti a luttu, // solenne, co’ u tricorno ’n capu, / pareva San Pietro ’n persona / spuntatu da le nuvole / pe portatte drittu ’n Paradisu. // U mortu era davero soddisfattu / d’esse statu oggetto de tuttu ’ssapparatu, / s’aggiusteva passu passu / l’andatura pe l’utimu viaggiu.
Una poesia di Giovanni Di Carlo è pubblicata nel 1978 in “D’Abbrile canno l’aria se rescalla…”, della Proloco di Montecelio per il Primo Premio di poesia dialettale “Don Celestino Piccolini”, a cura del Comitato Festeggiamenti S. Michele.
La poesia dialettale a Frascati. – (intervento di Gianpaolo Senzacqua, Associazione Amici di Frascati, alla presentazione del libro Castelli Romani e Litorale sud. Dialetto e poesia nella provincia di Roma di Vincenzo Luciani e Riccardo Faiella (Edizioni Cofine, 2010) venerdì 21 gennaio, alle ore 18.00, nella Sala degli Specchi presso la sede comunale di Frascati in piazza Marconi 3.
Antologia
LUIGI CIRILLI
L’orticellu sotto casa
Me piaceria tené de fori ’a porta,
de casa, ’n pergolatu ’e pizzutellu,
e, p’usu famigliare ’n orticellu,
da piantacce verdura d’ogni sorta.
pòchi metri: n’vojo fatica’ tantu…
co’ pummidori e broccolitti ’e rapa,
carciofi, fave fresche c’’a ’nsalata,
faciolitti e maragnani accantu.
Fior’ ’e cucozza, salvia, rosmarinu
erbetta, sellero, radica gialla…
du’ cipollette c’’o peparoncinu
’Ssa robba fa piacere cortivalla
co’ ’e mani tèi, stile contadinu…
te parerà più bbona ciancicalla!
(Febbraio 2003)
PIO FILIPPONI
Lite tra comari
N’ t’arivotà de llà, guàrdime ’n faccia,
’sta papagalla tonta sboccacciata…
Che dici tu, che fìima è sprocedata?
Fàttice la bucata a ’ssa linguaccia…!
Piuttostu, guarda fìita, ’lla sciacquetta
che te s’è sdraiata sopra a la finestra
a fane da specchittu e da ciovetta,
che nun sa coce mancu ’na minestra!
Ma guarda gesuardo st’addannata
sì che razza de rogne va scovènno…
Che gnènte, gnènte, dimme, và cerchènno
chi te spiana ’ssa gobba? ’A si trovata!
A mmì ’n me toccà fìima, che sinnone
se scegno giù, mannaggia l’antenati,
te pìo ssi quattro zìreli sciattati,
teli sparpaio giù pe lu Matone!
E scigni, e véne, e cala, a scellerata…
Figùrite, me sta’ ’nvitenno a nozze!
Vè giune, che te faccio du’ ficozze,
te manno co’ la fronte arrigamata!
Cenni biobibliografici
Cirilli Luigi, è nato a Frascati nel 1928. Ha conseguito il diploma di assistente edile frequentando la scuola serale. Da pensionato ha potuto coltivare la sua passione letteraria. è autore delle raccolte di poesie Frascati mea (2007) e Rime frascatane (2008).
Buazzelli Tino (Frascati 1922-Roma 1980), il grande attore di teatro, cinema e tv, ha mosso i suoi primi passi artistici con la filodrammatica Caprocroce di Frascati. Buazzelli, diplomato all’Accademia d’Arte Drammatica nel ’46, iniziò la sua carriera con la compagnia Maltagliati-Gassman nel ’47.
De Felici Lucio, di Frascati, è autore di testi teatrali e dei libri: Istantanee tuscolane (vol I, 2004, e II, 2004) e Dizionario biografico di Frascati (2006).
Devoti Luigi, nato a Roma nel 1931, medico, è autore di testi scientifici. Dal 1970 vive a Monte Compatri. Studioso di arte e storia locale, collabora a diverse riviste. Tra le sue pubblicazioni: Il costume popolare dei Castelli Romani; Splendore dei Castelli Romani; Frascati una città millenaria; Gli scrittori che passarono di qua. Una biobibliografia completa è pubblicata in Wikipedia.
Filipponi Pio, bidello della media N. Sauro, autore di poesie in frascatano.
Folli Aristide, nato a Roma nel 1913, è stato assistente di Geografia politica presso l’Istituto Orientale di Napoli dal 1941 al 1943. Ha pubblicato poesie in vernacolo in antologie, quotidiani e riviste e le raccolte in dialetto romanesco: Finestra sur monno (1976) e La luna piena dar Tuscolo (1997).
Rosander Marianne, da studentessa di lingue all’Università di Stoccolma sostenne la tesi di laurea su “Il dialetto frascatano”. In Nui parlemo ’ssosì di Romano Mergé è pubblicata “U fiu scialone” (parabola del figliol prodigo), da lei tradotta in dialetto frascatano.
Marcon Valentino è autore di un documentatissimo articolo apparso su “Controluce” (gennaio 2003) intitolato “Per una storia delle filodrammatiche a Frascati” e del libro Fatti e Figure del Movimento Cattolico Tuscolano (1983)
Marescalchi don Amilcare, valente critico teatrale e autore di numerose commedie, traduttore ed adattatore di opere straniere per i giovani, operò nella filodrammatica di Capocroce a Frascati.
Masi Giuseppe, (1909–1984) è autore di poesie sia in dialetto frascatano che in ottimo italiano e romanesco. Ha pubblicato ’E ricordanze de Cammilletto (poesie), Frascati 1981.
Ortolani Pietro, poeta di Frascati, è autore delle sillogi in dialetto e lingua: èssive e poesie – co’ ’mpo de fatti e ’mpo de fantasie (1996), Poesie di casa nostra (1999), Poesie fra sogno e realtà (2001)
Tenerelli Alberto (Roma 1927-1998). Cultore delle tradizioni romane, ha collaborato a: “Castelli Romani”, Lazio ieri e oggi”, Strenna ciociara”, Lunario Romano”, all’Apollo Buogustaio e a Paese mio di Mario dell’Arco. Autore di: La domenica di un uomo qualunque, Vetusta Tellus e Il Prossimo mio, è stato poeta in rocchegiano e valente pittore.
Toffanello Giuseppe ha operato dagli anni ’50 fino alla metà degli anni ’60 nelle filodrammatiche tuscolane ‘Piccola Ribalta’ (poi ‘Piccolo teatro della città di Frascati’). è autore di drammi e rappresentazioni, tra cui: “Lo Sposo di Madonna Povertà”, “Ci è nato un pargolo” e il trittico sulla Passione: “Io Barabba”, “Io Pilato” ,“Io Giuda”.
Bibliografia
Minotti Tarquinio, Poesie e brevi racconti nei dialetti di Colonna, Frascati, Grottaferrata, Montecompatri, Rocca Priora, Monte Compatri, Edizioni Photo Club Controluce, 1996., Rocca Priora
Cirilli, Luigi, Frascati mea
Cirilli, Luigi, Rime frascatane
De Felici, Lucio, Dizionario biografico di Frascati, 2006
Giuliani, G., Poesie e brevi racconti nei dialetti di Colonna, Frascati, Grottaferrata, Monte Compatri, Rocca Priora, Montecompatri, 1996
Mergè, Romano, Comme ce aricàccenu
Mergè, Romano, Nui parlemo ’ssosì, Frascati, Tipografia Giammaroli, 1976
Mergè, Romano, Frascati nella realtà documentata (I vol), 1988
Mergè, Romano, Frascati nella realtà documentata (II vol), 1989
Mergè, Romano, Frascati sconosciuta, Frascati, 1983
Mergè, Romano, Contributo per una bibliografia su Tuscolo e Frascati, Indici letterari, Frascati, Associazione Tuscolana “Amici di Frascati”, 1982.
Luciani, Vincenzo e Faiella, Riccardo, Castelli Romani e Litorale sud. Dialetto e poesia nella provincia di Roma, Roma, Ed. Cofine, 2010
Ortolani, Pietro, èssive e poesie – ‘co ‘mpo de fatti e ‘mpo de fantasie. Composte: co u dialettu frascatanu, er dialetto romanesco e la lingua italiana, Frascati, 1996.
Ortolani, Pietro, Poesie di casa nostra, Frascati, 1999.
Webgrafia
https:////www.romacastelli.it