A scala è fìmmina di Saragei Antonini

Nota di lettura di Maria Gabriella Canfarelli

Una solitudine insediata in un perimetro domestico folto di visioni, di pensieri agri e  di riflessioni e ricordi intorno al tempo quotidiano, soprattutto serale e notturno quando più rumoroso è il silenzio interiore che dice dei contrasti e delle somiglianze, e consente di mettere in fila i  pinzeri ca si rumpunu comu rami / sutta i peri /abbruci nun sai ri cchì /sgrusciu ca nun ti fa ddommiri/ senti tuttu comu i casi leggi ( pensieri che si spezzano come rami / sotto i piedi / bruci / non sai di cosa / rumore che non ti fa dormire / senti tutto / come le case vuote). 

Nel mondo poetico di Saragei Antonini le cose, gli oggetti d’uso comune (tavolo, sedia, ago, candela, letto e altro) partecipano attivamente alla vita psichica e biologica dell’autrice, sicché la materia inanimata appare trasfigurata da una interiorità febbrile che tutto trasforma e riadatta, nella fattispecie la funzione meramente utilitaristica (di per sé impoetica) di arredi e  utensili viene rivisitata, si potrebbe dire “umanizzata” dal soggetto poetante che alle umili cose si affida; alla materia inerte la poetessa attribuisce ruolo di presenza partecipe alla sua propria personale esperienza, alla sfera privata d’un io che registra il malessere, na cucchiarata ri mancanza (una cucchiaiata di mancanza) da condividere.

Nelle pagine di A scala è fìmmina (prefazione di Manuel Cohen, nota di Giampaolo De Pietro) spicca di netto la relazione tattilo-visiva-psichica tra oggetto e soggetto, emergono azioni da compiere e quelle compiute, tra cui salire/scendere la scala fimmina, precisazione di genere che accenna a quella cifra matrilineare più compiutamente trattata nel primo esito poetico in dialetto A virina. La scala è qui mezzo che consente di ascendere/discendere, in alternanza dal sonno alla veglia, dal conscio all’inconscio, spostando lo sguardo dall’alto in basso e viceversa per decifrare il mondo esterno e soprattutto il mondo interiore, non-luogo oscillante tra una relativa quiete e la più che pungente inquietudine.

Stati d’animo da affidare alla Notte, màtri arrusbigghiata fa i cosi alleggiu ti ncapizza l’occhi (madre sveglia / fa le cose lievemente / ti rimbocca gli occhi). Dagli spazi aperti (della mente) e dal chiuso perimetro stanziale, Antonini ricava immagini  singolari, originali e specifiche sul piano espressivo risolto, in questo libro di particolare intensità, in  un dettato lirico tanto lucido quanto sorvegliato, sia quando la poetessa assimila, che quando restituisce in versi, del ciclo circadiano, una realtà trasmutata; in più, l’autrice pattuisce con gli oggetti domestici una sorta di alleanza, una solidarietà “di legno” da cui trarre forza per sopportare il peso di ciò che è, in altre parole l’assenza d’una spalla su cui poggiare la stanchezza, qualcuno su cui poter contare quando il fiato è corto, quando s’alluntana ro faru ri st’isula/ca è a me vucca/unni si parra a lingua ra ciospa (si allontana dal faro di quest’isola / che è la mia bocca/ dove si parla la lingua dell’amante). Tra gli oggetti deputati ad accogliere la stanchezza fisica e psichica è l’umile sedia stotta (storta), che tuttavia è solido e concreto punto di approdo e insieme postazione privilegiata per guardare al cuore e alla ragione, rigorosamente valutare il sopruso affettivo dell’alterità presente soltanto in forma e sostanza di soverchiante pinzeri ri tia (pensiero di te). In un’ altra  pagina la sedia rappresenta uno spazio di quiete e al contempo tale complemento d’arredo rinvia a più metamorfosi del soggetto scrivente: m’arrizzettu /na vuci mi chiama macari / iù àiu fami e fazzu a fomma ro pani /(…)/(…)/ mi fazzu a crosta /nta carina/a feddi ppì na simana /e addiventu rura comu u lignu  (mi calmo / una voce mi chiama / anche io ho fame / e faccio la forma del pane /(… ) / (…) / mi faccio la crosta nella schiena / a fette per una settimana / e divento dura come il legno). In definitiva, per uscire dall’attesa protratta e paziente, dalla solitudine affollata di riflessioni e amare constatazioni, altro non rimane che tornare a sé stessi, tunnari na panza ra stanza /rapiri i pugna/ addumannarisi ni quali manu si viri megghiu a strata ra vita (tornare nella pancia della stanza / aprire i pugni / chiedersi in quale mano / si vede meglio la strada della vita).

Saragei Antonini. A scala è fìmmina (ArcipelagoItaca, 2024)

 

Saragei Antonini (Catania,1973) ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie in lingua: Il cerino soggetto (La Vita Felice 2000); – L’inverno apre un ombrello in casa (Prova d’Autore 2004); Sotto i capelli una nave (Forme Libere 2010); Egregio signor Tanto (CFR 2013); La passione secondo (Forme Libere 2017). Nel 2019 pubblica la sua prima raccolta in dialetto, A virìna, con le edizioni Salarchi Immagini. Sue poesie sono presenti in antologie e riviste in Italia e all’estero, fra cui Sombra escrita, a cura di Stefano Strazzabosco (Vaso Roto edizioni 2023), e Contemporary Sicilian Poetry, a cura di Ana Ilievska e Pietro Russo (Italica Press 2023).