Fabrizio Bregoli cammina dentro il largo campo del nostro vivere, sociale e civile, esistenziale al fondo, registrandolo a quoziente zero. Come gli autori (in exergo alle sezioni o ai singoli componimenti di questa raccolta che segue di due anni Il senso della neve: Montale, Zanzotto, Salvia, Sanguineti, Sereni, Di Ruscio, Luzi, Pavese, Mencarelli, Scotellaro, Pound) di una sua personale ricognizione, Bregoli si addentra in interrogativi, mutatis mutandis del contesto socio-civile e politico, con una asciuttezza di versi cólti in senso classico ma chiari, depurati di cedimenti a pieghe soggettive ma partecipi di un patimento condiviso per essere, i viventi, nella stessa aria irrespirabile.
Di oggi o di sempre questa asfissia? «La vita è il nulla che le dà principio / l’assurdo che s’intrude nel possibile» (Qui il mondo è un esitare, p. 18): si tenta di «colmare l’orizzonte», ci si rianima (- Il segreto è trattenere, riavvolgere / in una bolla evanescente, un fiato / appena un po’ più lieve di un rammarico -, L’amore al tempo dei Pòkemon, p. 73), ci si affanna a guardare criticamente nello spreco di storia (la sezione AMBA ALAGI come trasparenza di tentativo-sconfitta) e di persone-personaggi-metafora/simbolo (Frau Goebbels, Elena Ceausescu, Leni Riefensthal, Jack The Ripper, László Tóth) e di giorni: sarà sempre zero al quoto. E allora?
Allora su questo nulla si insiste con le parole («…comunque scriverne», p. 99), separando e ricucendo, enumerando, enucleando Nani, Ballerine, Trumpolieri, accumulando analisi e rendiconti, talora ironizzando senza che il riso («riso che cade leggero…rado tintinnio di cavigliere») passi, direbbe Machiavelli, drento: nessun moto liberatorio pur in finzione o nessuna soglia di indifferenza.
Zero al quoto più che rendersi epifania tragica si fa dramma. La tragedia, con personaggi a forti tratti emblematici, resta a monito del passato-presente e a gradino esemplare di accadimenti futuri. Il dramma si snoda, si sa, in un movimento ininterrotto in cui la soluzione non si dà restando sospesa e, sotterraneamente, ripetibile negli stessi punti costituenti il dramma stesso. Non sapendo “chi va e chi resta” (Montale) il protagonista fissa la domanda come il poeta ligure (“Il varco è qui?”) e cerca la “maglia rotta che non tiene” (Montale). Il varco non c’è. La maglia rotta non si trova.
Nello svolgimento il dramma può registrare tentativi di apertura, porte come prospettive, prospettive di porte, agonisti che agitano desideri e ragioni per liberarsi di corde. La fine si attesta sulla congiunzione di tutti i punti in un cerchio inciso a morsura.
E, nel dispiegarsi del mondo e delle cose di esso nell’oggi, la bella poesia di Fabrizio Bregoli, non sottraendosi al giudizio su di esso e su di esse, riconoscendo le rovine, quotidiane peraltro, dirette a rincarare il peso del nulla che dà principio alla vita, restituisce il cerchio tra un nulla (nascita) e un nulla (vita).
In Zero al quoto è l’esistenza stessa, infatti, in primo piano mentre l’accaduto diversamente si affaccia al resoconto: «E quando sarà sazio questo letto / di sole e pietra, e l’erba crivellerà / di verde le macerie, chi sa se mai qualcuno / chiamerà ancora acqua questa menzogna / docile sulle labbra, e vento il vento.» (Ritorno ad Onna, p. 59).
Poesia di pensiero, un pensiero chiaro, conflittuale in sé, sulle sorti dell’andare per giorni e stagioni, occasioni, conoscenze, esperienze anche intellettuali. Verità difficile, amara, di una poesia singolare, ricca di estro, di richiami, di echi di Maestri revocati in comune sentire e in fine intendimento.
Poesia che si distingue nettamente nel panorama letterario odierno: per lo scavo sulle frange, i frattagli della vita e il suo scarto. Restano impregiudicata la necessità di scrutarvi a fondo e irrisolto l’amore per la vita stessa. («Si mette zero al quoto tutto intero. / Si dice vedo: e più non ci s’imbroglia», Zero al quoto, p.85).
Fabrizio Bregoli, Zero al quoto, Prefazione di Vincenzo Guarracino, Pasturana (Al), Puntoacapo 2018