Yzu – Francesco Albano

Nei suoi versi i suoni, i profumi, i giochi e le gare dei quartieri di Pignola

L’ho conosciuto appena nato, Yzu. Era l’estate del 1971 e la sua mamma, figlioccia della mia, aveva appena dato alla luce Francesco, che poi avrebbe scelto Yzu come nome d’arte. Noi bambini di città, in vacanza nel paese materno, lo guardavamo incantati. Quaranta anni dopo, sempre d’estate, ci ha raggiunto un’altra notizia, quella della sua morte. Alla fine di settembre 2011, con la posta, è arrivato un biglietto con due foto e due poesie di Francesco. Poi, in rete, scopro questi suoi versi dedicati a un quartiere del comune paese materno. E, tutti insieme, sono arrivati i suoni, i profumi, i giochi e le gare dei quartieri di Pignola di quella estate che ha visto nascere Yzu-Francesco.

‘a chiazz’
sonetto p’u’ spusalizj’ d’ Mimm’ e Marij ………………….

a vederla dall’alto, sembra quasi un fiume,
Vignuol’: dau P’zzo’, s’apre in due rami e avvolge
di case un’isola, per riunirsi in salto
che i passi travolge, a camminarlo: scosceso –
‘a Chiazz! -, come appeso un imbuto a rovescio,
largo precipita – vertigine di pietre –
un invaso a sghimbescio sul vuoto sospeso
che accoglie un fluire denso di voci e suoni;
dai muri i mascheroni guardano passare
immobile il tempo; nascoste sotto i balconi,
sembrano pronte a lanciarsi, per abbrancare
prede ignare che qui indugiano, si fermano,
fiere dal femmineo sembiante; quieti leoni
placidi s’informano di quel che si dice;
e qui scenn’ u’ Paschier’, qui arriv’n’ vic’,
cundan’, l’addor’ da terr’ e di bosch’;
qui s’ sta buon pur si u’ Sol’ nun ghé;
qui s’ ferm’ ogn’ prucessio’; qui, puoi v’de’,
ogn’ tand’, ‘na bella figlio’ ca pass’
cundend, ca uoij s‘è spusa’ all’amor’ soij!
Yzu – Francesco Albano

Il 26 agosto 2012, a un anno dalla sua scomparsa, ho trascorso l’alba a leggere il libro che Francesco, con il nome d’arte di Yzu Selly, pubblicò il 17 agosto 1999, cucuwàsh. Il nome della civetta nel dialetto pignolese racchiude un romanzo “da bere sorseggiando vino”, un itinerario articolato in dodici racconti e quattordici poesie, nel quale lo scrittore mescola le carte e scompiglia volutamente i numeri romani che precedono ogni composizione. Al lettore la scelta dell’ordine da dare al suo percorso di esplorazione del testo. L’esergo con i versi da La terra e la morte di Cesare Pavese e i tributi, sparsi e riconoscibili, riepilogati in parte nei ringraziamenti – tra questi, Buzzati, Kafka, Rimbaud, Blake, Joyce, Ovidio, Campana, Fortini, CCCP–Fedeli alla linea – scandiscono il libro della consapevolezza. La rabbia sacrosanta non è relegata alla condizione giovanile – a 28 anni Yzu lo dichiara esplicitamente – e la scelta di liberarsi dal cappio ha un prezzo pesante. In questo i versi della poesia XVI – L’ergastolano sono significativi: “Stanco un giorno del cappio che mi obbligava/ movimenti e mente mi misi in viaggio/ cercando antiche strade che obliassero/ questo vivere immobile in un tempo assente./ Tornato vivo presi a combattere/ immerso in una ragione tenace/ tentai d’affermare l’indicibile./ Come un criminale eretico/ sono stato costretto a camminare/ fra gli scherni e la derisione/ accusato di assassinii che legalmente/ compie il potere, quasi con candore.” (100-101)

Nella raccolta cucuwàsh i versi che seguono portano il numero II.

II
Le pietre e i giochi – Il bambino a sette anni
Da bambino raccoglievo le pietre
e ci giocavo. Gli davo forma.
Le facevo vivere in dimensioni
parallele alla loro concretezza,
perché ogni pietra narrava una storia.
Le loro forme erano così vere
da non poter far altro che sedermi
osservarle fra le mani e ascoltare.
Senza saperlo, di quel gioco
ero la parte più importante.

Una volta trovai l’isola
del minotauro, di teseo e arianna.
Dal lato opposto un drago spaventoso
mi soffiava fuoco negli occhi.
Trovai anche un pugnale turco
dalla lama ondeggiante e intarsiata.
La strana disposizione di alcune pietre
mi raccontò la vita di un brigante
ammazzato dai piemontesi; ecco le sue ossa.

Un’altra volta trovai tombe di barbari
sulla collina di ginestre.
Con gli amici e le nostre bimbe
andammo a smuovere quei cumuli di pietre.
Ci atterrì qualcosa e la luna enorme.
Corremmo a farci benedire
e fummo costretti ad aspettare
con la paura gonfia di lacrime
– il prete è impegnato, una scopa
a quattro e bicchieri di buon vino.

Il bambino aveva un paio di jeans rossi;
costrinse la madre a comprarli
col suo lagnare prepotente
al mercato assieme a una cinta anch’essa rossa
dalla fibbia difficile. Si sporcò.
Andò a giocare a pallone la sera stessa
nel campo sportivo di sabbia grigia
dimenticando il materno divieto:
“Nun t’gì a z’v’lià, ca t’accid’!’”

Poggiato contro la finestra
una guancia contro la grata fredda
un corpo adulto che preme alle spalle
chiede “Dov’è la luce”.
                                                                               Accesala

tornò contro la finestra. Una curiosità
infantile pagata a un prezzo troppo alto.

Nonostante il recriminare di sua madre
non mise più quei jeans rossi; i gerani
sul suo balcone gli diedero sempre
fastidio, dopo, per quel rosso.
Fino alla consapevolezza.

(da: Yzu Selly, cucuwàsh, 27-29)

L’ultima raccolta pubblicata da Yzu è Canzoni per una stanza abbandonata (Erreciedizioni, Anzi 2011). Come ricorda Antonio Lotierzo in Suonaci una poesia, YZU. Poesia e performance in Francesco Albano (Erreciedizioni, Anzi 2012), Yzu pubblica «la sua opera poetica più matura e più complessa» nel maggio 2011. Scelgo tre poesie dalla silloge, la prima e la settima dalla sezione ex machina , prima delle tre parti, e un lunedì – (in chiaroscuro), ultima delle sette poesie che compongono la terza parte, settimana di passione. Di questa poesia esiste una versione recitata da Vinicio Capossela ed eseguita presso l’Auditorium del Conservatorio di musica “Gesualdo da Venosa” di Potenza il 18 novembre 2011, come testimonia il DVD che accompagna il volume Suonaci una poesia, Yzu. Il mio ringraziamento va alla mamma di Francesco Albano, che mi ha fatto dono dei volumi di poesia di suo figlio, Yzu.

I
scrivo per non perdere memoria del brutto.
il lavoro sulla parola –
l’incisione in muri di pietra
di un quadro mobile
che ha vita propria e
un proprio incedere
svilupparsi metamorfosarsi narrare
come registrazione e proiezione –
la vita come un block notes …-
sì, prendo appunti –
fare di ogni miseria ricchezza
cogliere da ogni fiore
la merda che l’ha nutrito
serbare tra le mani
ogni goccia di profumo carpita
all’ignoranza dei corpi che incontro
donare quel po’ di puzza
che mi resta – baciare –
oppure diciamo così,
cerchi di salvare la tua vita
da bacarozzo in un processo
inverso di sublimazione
che passa tra la parola.

(argomento, p, 33)

VII

la mia mano sinistra
mi piace il suo imbarazzo
nell’affrontare un gesto
è impacciata non riesce
dinamica o precisa
ha una naturalezza
improvvisa come di
fotogrammi isolati
vive sorprese estreme
incantati contatti.
amo la sua estraneità
.

(la mia mano sinistra, p. 42)

 

un lunedì – (in chiaroscuro)

fratello buio

mesi vissuti al buio
mesi vissuti senza luce
luce ch’era riuscita
a smuovere un po’ la cenere
che asettica copriva
una brace dimenticata.

giorni abbracciato al buio
giorni serrati forte gli occhi
occhi che sanno luce
e fingono di non vedere –
ché tanto bellezza vissuta
non è brace dimenticata.

sorella luce

(p. 135)

 

di Anna Maria Curci