Unità e varietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma

ESAURITO [2016] Unità e varietà linguistica nella moderna poesia dialettale della provincia di Roma, di Claudio Porena, prefazione Gianluca Biasci, Roma, Edizioni Cofine, pp. 512, ISBN 978-88-98370-25-2, euro 30,00

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IL LIBRO             

Sulla base di un esteso corpus di testi poetici scritti dichiaratamente in dialetto, la provincia di Roma viene indagata sotto il profilo dialettologico, attraverso l’analisi di 12 località rappresentative dei 121 comuni.

Aprono il volume considerazioni generali sul dialetto, sulla poesia dialettale e sullo stato dell’arte relativo al romano/romanesco, che è tenuto costantemente sullo sfondo come termine di riferimento rispetto alle convergenze e divergenze degli altri dialetti esaminati, in una continua dinamica tra unità e varietà.

Nella parte strettamente sperimentale l’autore espone i criteri operativi di selezione del materiale e di presentazione dei dati (profili linguistici per località e per area, tabelle delle frequenze e delle concordanze), la descrizione dei corpora e gli spogli linguistici completi e sistematici.

Grazie alla metodologia seguita, lo studioso determina i profili dialettologici in modo puntuale e particolareggiato, descrivendo una situazione di riferimento da cui muovere alla ricerca di ulteriori verifiche sulla realtà linguistico-dialettologica “viva”.

Lo studio mette quindi in luce la sopravvivenza di una ricca glottodiversità che denuncia il carattere piuttosto stentato della presenza di una koinè a base romana, soprattutto nell’entroterra.

A compendio del volume cartaceo pubblichiamo qui l’intero corpus (formato PDF) dei testi poetici presi in esame, suddivisi per località

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L’AUTORE           

Claudio Porena, nato a Roma nel 1974, laureato in Glottologia, è dottore di ricerca in Storia della lingua italiana e diplomato in chitarra classica. In passato si è occupato di questioni neurolinguistiche confluite nella tesi di laurea "La Risonanza Fonica Inconscia. Aspetti teorici e rilievi testuali di un fenomeno neuro-psico-linguistico". Si occupa assiduamente di dialettologia e di poesia, italiana e dialettale, sia come studioso sia come poeta, con diverse pubblicazioni all’attivo, tra le quali Dar trapezzio vocalico ar sonetto. Manuale di linguistica romanesca, retorica e metrica con sonetti scelti (Terre Sommerse, Roma, 2010).

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NEL LIBRO         

PREFAZIONE di Gianluca Biasci

Il territorio dell’ormai ex provincia di Roma (oggi “Città metropolitana di Ro-ma Capitale”) costituisce un’area che dal punto di vista dialettologico – con l’ovvia eccezione della capitale e di poche altre località: Velletri e Subiaco per esempio – risulta scarsamente battuta dalla moderna indagine scientifica, potendo annoverare nei casi più fortunati descrizioni scaturite da studi pionieristici non sempre affidabili o isolati contributi amatoriali di eruditi locali. Qualcosa si è mosso negli ultimi decenni, come documenta l’eccellente Schedario del Lazio curato da P. D’Achille nella Rivista Italiana di Dialettologia, anche se «gli obiettivi sono stati raggiunti meno di quanto non sia successo per Roma e il roma-nesco», ai quali, peraltro, ha comprensibilmente continuato ad essere dedicata la maggior parte delle energie.
Mancava, soprattutto, un lavoro scientifico d’insieme che partisse dal dato documentario e tracciasse un quadro complessivo della situazione dialettale della provincia.
La ricerca di Porena sulla lingua della poesia dialettale moderna e contempo-ranea nella provincia romana colma questa lacuna da un duplice punto di vista, di merito e di metodo. Di merito, perché appaiono ora pienamente acquisite zone del-le cui caratteristiche linguistiche possedevamo conoscenze spesso disorganiche; di metodo, perché la ricerca è stata condotta secondo criteri scientifici saldi, che han-no prodotto analisi e considerazioni fondate non su valutazioni impressionistiche ma su concreti dati quantitativi.
Ne risulta così una fotografia bene a fuoco di un’area assai vasta e dialettologicamente composita, costituita da ben 121 entità comunali, che presenta condizioni molto diverse fra la parte nord-occidentale della provincia (la quale, attraverso le contermini parlate viterbesi, arriva a risentire di influssi toscani), i comuni a est del capoluogo (che denunciano condizioni sostanzialmente mediane) e le estreme propaggini nel sud della provincia (che offrono caratteri già alto-meridionali).
Dopo avere provveduto alla recensio di tutto il materiale poetico disponibile per il territorio provinciale (l’unica realtà territoriale esclusa a priori è stata quella romana, che tuttavia resta di continuo sullo sfondo e funge da costante punto di riferimento per la descrizione delle altre varietà), Porena ha lavorato su una partizione dell’area in sei zone dialettologicamente coerenti (I. Litorale nord; II. Tuscia romana-Valle del Tevere-Monti Cornicolani e Lucretili; III. Valle dell’Aniene; IV. Monti Prenestini e Lepini; V. Castelli romani; VI. Litorale sud), accettando una precedente suddivisione avallata da Vignuzzi. In seguito, per ognuna delle sei zone sono state opportunamente individuate due località-campione, che avessero caratteristiche tali da rendersi paradigmatiche dell’intera area rappresentata: tipicamente, da un lato un centro medio o grande, capace di esercitare attrazione sulle località vicine, situato lungo importanti vie di comu-nicazione e in fase di crescita demografica; dall’altro lato un comune rurale, di rilevanza territoriale e demografica limitata, con capacità attrattiva scarsa o nulla, collocato in posizione eccentrica rispetto alla viabilità primaria e in fase di ten-denziale calo demografico.
Per ognuna delle dodici località-campione così individuate, l’autore ha preso in considerazione tutti i poeti censiti che avessero dichiaratamente composto versi in dialetto locale, selezionando le opere secondo precisi criteri di rappresentatività. Ne è così scaturito un vasto corpus complessivo di 486 poesie di 87 autori diversi, sul quale è stata avviata la ricerca dei tratti dialettali.
Gli esiti dello spoglio linguistico (che ripercorre lo schema classico di questo generi di studi: fonetica, morfologia, sintassi e lessico) confluiscono, per ognuna delle località considerate, in due distinti capitoli dedicati ai tratti locali e ai tratti in comune con il romanesco, a sottolineare da un lato l’origine indigena – o almeno la diffusione limitata – di uno specifico fenomeno linguistico, dall’altro il verosimile influsso di Roma, con conseguente probabile matrice allogena.
Di particolare rilievo, anche metodologico, sono le tabelle che corredano gli spogli linguistici di ogni località esaminata. In esse i tratti dialettali sono elencati secondo criteri oggettivi, numerici, in base alla loro frequenza nel corpus, e sono soggetti a parametri rigorosi, non abituali in questo genere di studi. L’avere poi stabilito requisiti minimi per l’entrata dei fenomeni linguistici in tabella contribuisce a definire e circoscrivere i tratti che formano la facies dialettale più autentica, sterilizzando le occorrenze isolate od occasionali, che possono pur presentarsi alla penna di un singolo autore, delle quali viene comunque dato conto nello spoglio linguistico. Nelle tabelle sono poi evidenziati graficamente i fenomeni in comune con il romanesco, il che rende distinguibile già a colpo d’occhio la rispettiva rap-presentanza dei tratti locali e di quelli romani.
Nel loro insieme, queste soluzioni rappresentano una novità interessante per la caratterizzazione linguistica di un determinato dialetto (sia pure nei suoi aspetti “poetici”), non essendo mai state adottate in modo così sistematico e per una mole tanto imponente di dati.
Dall’analisi del corpus poetico provinciale che ci consegna Porena, il prevedi-bile influsso della lingua di Roma apparirebbe «alquanto ridimensionato», risultan-do così la fisionomia degli idiomi circostanti «ben differenziata in senso anti-romano». Il peso di queste affermazioni va naturalmente relativizzato: l’autore non intende sostenere che tutte le varietà territoriali dell’ex provincia sono immuni dall’influenza della parlata di Roma; e, del resto, lo studio della lingua delle poesie è lì a dimostrare la strettissima consonanza – per non dire la totale sovrapponibilità – dei dialetti litoranei con il romanesco, specie di quelli afferenti alla fascia costiera meridionale e al suo immediato entroterra. Si tratta, piuttosto, della constatazione che una funzione unificatrice di Roma continua a mancare, non soltanto su scala regionale ma anche nei più ristretti limiti provinciali (e ciò malgrado una crescente influenza della lingua di Roma fuori dai confini laziali), anche se è innegabile l’influsso fortissimo della parlata romana almeno nel litorale a sud dell’Urbe, quasi del tutto appiattito sull’idioma della capitale, tanto da indurre l’autore a parlare di “romanesco di Anzio” in luogo del tradizionale “dialetto di Anzio” o “anziate”.
Sulla scorta di queste considerazioni discende una ridefinizione del numero delle aree in cui può essere suddiviso dialettologicamente il territorio romano. In particolare, nelle quattro zone non litoranee Porena riconosce una sorta di “koinè dell’entroterra” riconducibile a due influssi principali – uno sabino, l’altro ciociaro e alto-meridionale –, che si impastano di continuo fra loro in proporzione variabile nei diversi dialetti e sfumano senza precisi confini, accomunati dal fatto di costituire sacche di resistenza alla definitiva affermazione del modello romano.
Sacche di resistenza che potremmo perfino immaginare più ampie ove esten-dessimo l’indagine ad altri tratti linguistici. Un paio di esempi. Interrogando rapso-dicamente il corpus, è possibile documentare la presenza della preposizione in con gli odonimi almeno a Tolfa (In via Annibal Caro ce so’ nato) e Velletri (Cossì ‘n Piazza Sagnaco ’no paìno venéa securo) e quella dell’avverbio come in frasi e-sclamative indicanti entità non numerabili a Tolfa (com’eran care ’ste vecchiette), Montelanico (Comme è bona! Comme è bella!), Subiaco (Comm’èra buffu: quasi na ranocchia!) e Velletri (Chillo pelo comm’è bello!). Naturalmente, occorrerebbe verificare nel dettaglio il numero di esempi e controesempi per potersi esprimere in merito alla reale diffusione di questi tratti nel dialetto poetico dei centri esaminati, e poi nell’insieme del territorio provinciale. In ogni caso, già la loro semplice pre-senza nelle località menzionate contribuisce a marcare un grado di separazione di queste ultime da Roma, e, insieme, a confermare il carattere generalmente più “ar-caico” della provincia rispetto alla capitale: in tali contesti, infatti, i tipi in e come, documentabili nel romanesco antico, sono ormai scomparsi dal dialetto moderno, soppiantati rispettivamente da a (vado a piazza Colonna) e quanto (quanto sei bella!).
A margine di queste osservazioni andrà tuttavia precisato che esprimere giudi-zi sulla fisionomia di un dialetto dopo averne analizzato i dati linguistici ricavati da una documentazione poetica scritta è sempre un’operazione delicata, che richiede la massima cautela. Intanto perché la pagina scritta, per sua stessa natura, offusca fenomeni significativi come la resa sorda o sonora della sibilante intervocalica e dell’affricata alveolare; e tende a opacizzarne altri, per esempio il grado di apertura della vocali medie toniche, il raddoppiamento fonosintattico o l’affricazione della sibilante dopo nasale o liquida, le cui effettive realizzazioni potrebbero essere recuperate solo in presenza di poeti linguisticamente consapevoli che facciano uso di grafie fonetiche: uso che però, anche nel migliore dei casi, difficilmente si rivela sistematico, il che in una ricostruzione quantitativa come quella esperita da Porena rischia di incidere sull’attendibilità dei dati relativi a un piccolo gruppo di fenomeni. In secondo luogo, l’operazione è delicata perché espone al pericolo di attribuire a un determinato dialetto la naturale conservatività insita sia nella scrittura sia nella parola poetica: tanto più al cospetto di poeti dilettanti, impegnati nella difesa delle proprie tradizioni municipali, e quindi anche del proprio dialetto, che tendono a restituire in una forma ideale, corrispondente a quella tramandata o a quella della propria gioventù (particolare non irrilevante ove si consideri che alcuni di questi poeti sono nati nell’Ottocento), più refrattaria a contaminazioni esterne di quanto non avvenga nella realtà odierna.
Porena – noto poeta dialettale egli stesso – si mostra ben consapevole di tali pericoli quando sottolinea la problematicità dell’uso di raccolte poetiche per la ri-costruzione dei dialetti; una tipologia testuale che restituirebbe solo una “fo-tografia ingiallita” e un po’ nostalgica delle parlate concrete, rendendo così indispensabili indagini e interviste da svolgere in loco per verificare i dati che emergono dal presente lavoro.
Assodato che quella da lui intrapresa è in primo luogo una ricerca sulla lingua della poesia dialettale e non sui dialetti tout court, e in attesa di inchieste sul cam-po, Porena ci consegna una rilevantissima quantità di dati di indubbio interesse, che possono aprire la strada a differenti considerazioni, come vedremo subito.
Della resistenza opposta dalla “koinè dell’entroterra” contro l’affermazione del tipo romano abbiamo già detto. Non si può tuttavia sottostimare l’efficacia dell’influsso capitolino già a livello di poesia dialettale se l’utilissima “tavola delle concordanze” mostra come numerosi tratti inventariati dall’autore sotto l’etichetta di “romani” siano fra quelli più capillarmente diffusi nell’intero territorio provin-ciale, a partire dai tipi sto a cercà, còre ‘cuore’, centinaro, de Roma, vedé, gnente, alcuni dei quali non estranei anche al toscano popolare e rustico.
Questi due esempi contrastanti – la forza espansiva della lingua di Roma e, all’opposto, la resistenza alla sua diffusione – manifestano implicitamente uno dei meriti maggiori di questo volume, che consiste proprio nell’aver messo a disposi-zione degli studiosi un’abbondante documentazione, resa immediatamente fruibile dall’ordinata esposizione in forma tabellare, tale da fungere da base per conclusioni anche diverse, a seconda di come si interpretino i dati. L’auspicio è che, insieme all’attesa inchiesta sul campo, la ricchezza documentaria di questo lavoro contribuisca a fornire lo spunto ad altri studiosi per descrizioni via via più raffinate di un territorio che attende ancora di essere definitivamente valorizzato dal punto di vista dialettologico.