Al poeta Ivan Crico non manca di certo né della conoscenza degli strumenti prosodici e lessicali, né della capacità di lettura dell’interna risonanza emotiva del dialetto veneto, ne è la conferma la bella traduzione del Critoleo del corpo fracassao di Biagio Marin (Quodlibet 2021, pp. 88): il liquido verso mariniano viene incanalato dentro la corrente a volte salina dell’italiano conservando quasi intatta la dolce e tiepida musicalità del gradese. Rendere in italiano infatti l’apparente semplicità della versificazione mariniana senza incresparne o depotenziarne l’onda prosodica richiede una particolare perizia versificatoria (di cui è già stata data prova nella traduzione del friulano I Turcs tal Friùl), se non si vuole scadere in un trasposizione meramente letterale quanto insipida, complice una certa prossimità dell’idioma dialettale ai vocaboli italiani.
La quartina, piccolo ordigno ritmico e metrico dentro cui Marin innesca la molla del suo procedere poetico, proprio perché in essa si deposita un lessico sillabicamente breve, comporta non poche difficoltà di versione in lingua italiana, incombe infatti ad ogni parola il rischio di allungare il verso con conseguente perdita di fluidità fonica e di chiusura semantica, o di cadere nel prosastico.
Si veda, ad es., come Crico risolve la seguente quartina della III lirica:
E cô tepido el sol E quanto tiepido il sole
sulla zente za in festa sulla gente già in festa
che se moveva lesta che si muoveva lesta
como cô ninte duòl. come quando niente duole.
Del testo originale Crico mantiene rime e schema, però volge il primo e il quarto settenario in ottonario, accompagnando però il chiasmo delle rime con quello del metro, egli ne varia e ne intensifica il modulo ritmico: Marin insiste sul ritorno ripetitivo degli accenti ritmici (nei quattro settenari cadono sempre sulla terza e sesta sillaba), Crico invece sommuove la quartina rompendone appena la regolarità (nel primo ottonario l’accento ritmico cade sulla quarta e settima sillaba, nei due settenari sulla terza e sesta, nell’ottonario finale sulla terza e settima): ecco qui l’increspatura imposta dalla versione italiana, il cui esito rimane comunque altrettanto intenso. Sul ciclico ritorno dell’onda marina sulla battigia mariniana, Crico fa soffiare un leggero vento di brezza non solo adriatica, ma è nell’incavo che egli ne conserva la forza vitale.
A volte Crico è pronto anche ad aprire (senza effrazione) la quartina ad una strofe di cinque versi, sovvertendone il modulo metrico in direzione di una serie semantica fedele alla sostanza del pensiero, pur incardinata nel ritmo di un verso che si vuole tendenzialmente breve. Si veda, ad es., la quartina incipitaria della lirica IX:
Quel rusigol canteva Quell’usignolo cantava
ma nissun lo intendeva ma nessuno lo capiva
el deva vose forte una voce forte offriva
a le ragion de vita e morte. alle ragioni della vita
e della morte.
Crico addirittura non esita non solo ad aprire la quartina, ma anche a spezzare l’endecasillabo che dà il titolo alla breve silloge (lirica IX):
el critoleo del corpo fracassao lo scricchiolio
del corpo fracassato
là dove nel verso di Marin c’è la cesura, egli sceglie di potenziarne l’effetto attraverso la scelta dell’enjambement. Così facendo salva, a nostro avviso, l’onda emotiva insita, anche grazie alla conservazione dell’allitterazione, nella pulsione poetica.
Certo se qualcosa va perduto nella traduzione, ad es., sono le rime contadina/fantolina e pavegie/maravegie, la cui movenza fonica è tutta e solo veneta, ma pur resta intatta l’eco della pietas che solo la parola di Marin sa sciogliere di fronte alla morte di Pier Paolo Pasolini. Crico sa sì approssimare il dialetto gradese alla lingua italiana, ne scandisce i tempi di respiro, ne dà la reciproche posture, ma ne mantiene pure lo scarto, che mai si risolve né in un pacifico incontro né in una completa separazione (W. Benjamin).
Nella traduzione a fronte, Crico sa dunque corrispondere con altrettanta dulcedo a Biagio Marin, cogliere nella sua lingua l’essenza spirituale, poiché, non solo in terra friulana, el mar xe un, co’ le so tante onde.